Noi chiamiamo a raccolta chi ci crede ancora.Chi si emoziona quando sente il nostro inno nazionale e guarda la bandiera dell’Italia alta nel
cielo. E non si rassegna a vedere donne e uomini messi ai margini, sfruttati, privati di ogni diritto.
Chi non accetta di sentir parlare male degli Italiani, chi si ricorda della nostra storia e la vede
ancora scorrere nell’immensa creatività di questo popolo e di questa cultura.
Le radici contano, l’identità di ognuno di noi è fatta della lingua, della cultura, della memoria
condivisa, dell’ambiente e del paesaggio che ci circonda e a cui dobbiamo dare valore. Per questo
l’identità di ciascuno di noi vive nelle comunità di cui facciamo parte, dalla famiglia ai territori, fino
alla Comunità nazionale.
Noi ci sentiamo europei, perché siamo innanzitutto e soprattutto Italiani. Se smetteremo di essere
Italiani, smetteremo anche di essere europei.
Noi crediamo ancora nel valore della cittadinanza che si radica nell’identità. Un valore che
chiede ogni giorno sacrificio, impegno sociale e partecipazione politica, ma che deve garantire il
lavoro per tutti e i diritti sociali per ogni famiglia. La cittadinanza non si regala a nessuno, né a chi
è nato italiano, né a chi viene da altri paesi.
La democrazia nasce dalla cittadinanza e dalla sovranità popolare, scompare quando si
diventa sudditi e quando i diritti sociali vengono negati.
Tutto questo è scritto nella nostra Costituzione, perché è scritto nella nostra storia, nella Dottrina
sociale cattolica e nell’Umanesimo del Lavoro.
Proprio per questo c’è bisogno di un profondo cambiamento e il tempo in cui stiamo vivendo è
propizio per questa svolta.
L’Italia deve uscire dalla condizione di sudditanza economica, finanziaria e politica, che è la
radice di tutti i suoi problemi. Siamo sempre più una colonia che subisce il vincolo esterno
dell’Unione Europea e le direttive geo-politiche del deep state americano, dietro cui non è difficile
cogliere gli interessi e i progetti della global finance. Non certo dei popoli europei o del popolo
americano, che subiscono quanto noi questa perdita di sovranità.
Non è solo una questione di orgoglio nazionale: dalla nostra indipendenza dipende il futuro del
nostro popolo e la nostra libertà di cittadini.
Non riusciremo più a dare un lavoro dignitoso ai nostri figli e a garantire i diritti sociali delle nostre
famiglie se non ci ribelleremo ai vincoli di austerità e liberismo che ci vengono imposti da
Bruxelles. Ancora oggi la Commissione europea – nel pieno di una guerra – vuole rapidamente
tornare ad un Patto di Stabilità ancora più severo e obbligarci ad approvare una riforma del MES
che ci metterà ancora di più a rischio di default. Queste riforme europee imporranno alla nostra
economia manovre finanziarie di tagli alla spesa pubblica di almeno 10 miliardi all’anno per dieci
anni, rendendo così impossibile ogni investimento per lo sviluppo e ogni spesa necessaria ai
servizi sociali essenziali.
Le direttive del deep state americano ci hanno imposto guerre devastanti per il nostro interesse
nazionale e per la nostra economia: dalla seconda guerra del Golfo, all’intervento nel Kosovo,
all’attacco alla Libia, fino al coinvolgimento in prima linea nel conflitto in Ucraina. Un paese come il
nostro, naturale ponte tra il Nord e il Sud, tra l’Est e l’Ovest, è stato trasformato in un confine
armato nel cuore del Mediterraneo.
Per questo la questione sociale esplode nel nostro Paese: squilibrio crescente nella distribuzione
della ricchezza; diffusione della povertà anche nel ceto medio; mancanza di lavoro dignitoso e
adeguatamente retribuito; smantellamento di tutti i servizi sociali, sanitari e previdenziali;
abbandono del territorio e devastante degrado urbano; tratta di esseri umani che porta sempre più
disperati sulle nostre coste; fuga dei nostri ragazzi all’estero per cercare lavoro.
Il divario tra il Nord e il Sud dell’Italia è tornato a crescere, i diritti e i doveri non sono più
uguali per tutti gli Italiani e il progetto di autonomia differenziata rischia di rendere irreversibili
questi problemi e queste ingiustizie. Nessuna regione trarrà vantaggio dalla divisione dell’Italia.
Per dare risposte a questa crisi sociale bisogna innanzitutto rilanciare lo sviluppo ricostruendo
le filiere produttive della nostra economia nazionale, con una nuova sinergia tra Stato e
piccole e medie imprese. Lo Stato deve rigenerare la nostra grande industria, le PMI devono
essere liberate dal peso delle tasse e della burocrazia, protette dalla concorrenza predatoria delle
grandi multinazionali, per poter esprimere tutta la creatività del made in Italy. L’Italia deve tornare
a produrre ricchezza e a ridistribuirla equamente tra tutta la popolazione. Ma tutto questo
non è possibile senza entrare in conflitto con i vincoli europei.
La nostra sudditanza finisce per colpire anche le libertà individuali e la dignità dell’essere
umano: è in atto un vero e proprio attacco “transumanista” alla nostra condizione umana,
l’evoluzione dell’eugenetica nell’era delle nuove tecnologie.
Le multinazionali del farmaco, Big Pharma, stanno costruendo la dittatura sanitaria, cominciata
con le campagne vaccinali per il Covid e oggi proiettata a conferire ad una OMS privatizzata il
controllo della sanità mondiale.
Le multinazionali biotech diffondono l’ideologia gender per aprire la strada alle peggiori
sperimentazioni biotecnologiche che manipolano il concepimento di un figlio, la dignità della vita
umana, l’alimentazione naturale e la biodiversità.
Big Tech, i giganti della tecnologia dell’informazione, ci impongono la transizione digitale, che
vuole consegnare all’intelligenza artificiale il controllo delle nostre possibilità di conoscenza e
percezione del reale.
La Green economy rende obbligatorie le tecnologie delle energie rinnovabili, le batterie e i pannelli
fotovoltaici fatti con terre rare estratte con il lavoro minorile, la limitazione dei nostri spostamenti, la
rottamazione delle nostre abitazioni e delle nostre autovetture. Ci illudono di contrastare il
cambiamento climatico con la transizione green, invece che con la cura del territorio e
dell’ambiente, la limitazione del consumismo “usa e getta” e una diversa qualità della vita.
Ma da dove vengono le strategie di queste multinazionali se non dall’Agenda di Davos del Word Economic Forum, dalla finanza globale in larga parte radicata in quel mondo occidentale che noi
dovremmo difendere in nome della “libertà del mercato” e della lotta contro le “autocrazie”?
Per reagire a queste devastanti manipolazioni dobbiamo difendere fino in fondo la libertà
personale di ognuno di noi e ripristinare la sovranità dello Stato nazionale sull’uso delle
tecnologie, con il rilancio della ricerca e della sanità pubbliche e con istituzioni scientifiche
trasparenti e qualificate. Tutta la cultura, la formazione dei nostri giovani e l’informazione
mediatica devono essere liberate dai condizionamenti economici e dagli interessi
lobbistici, con un forte intervento della mano pubblica finalizzato a garantire veramente la libertà
di scelta di tutti i cittadini.
Oggi, a differenza del passato, le porte della nostra prigione possono essere aperte. Sta
emergendo un mondo multipolare che mette in discussione la supremazia americana e permette
a tutti i popoli di riprendersi la propria indipendenza.
Per questo, dopo più di dieci anni di governi imposti dall’alto, speravamo che l’arrivo di Giorgia
Meloni a Palazzo Chigi potesse rappresentare questa svolta. Un governo votato dai cittadini,
un partito di maggioranza relativa premiato per la coerenza di rimanere sempre all’opposizione,
erano la premessa per rimettere in movimento la nostra Nazione.
Purtroppo, questi primi mesi di governo sono stati una profonda delusione: non si tratta solo delle
naturali difficoltà di avviare un nuovo Esecutivo contro una burocrazia ostile e tra mille trappole
nazionali e internazionali. Il problema è che la Premier, sotto la pressione di queste difficoltà, ha
scelto la strada sbagliata e la direzione opposta.
L’Italia è a un bivio, deve scegliere: sfruttare le opportunità offerte dal nuovo mondo multipolare o
rimanere imprigionata nel vincolo esterno di una Unione europea in crisi e di un atlantismo in
declino.
Non si può essere conservatori nei valori e liberisti in economia. Il liberismo nega i valori non
negoziabili e cancella i principi. Non si può difendere il nostro interesse nazionale facendo i primi
della classe in Europa e nel G7. Solo andando controcorrente si risale la china.
Queste verità erano già state intuite tanto tempo fa, quando la destra sociale e nazionale parlava
di alternativa al sistema. Oggi le stanno denunciando tanti “mondi del dissenso” trasversali e
non ideologici, che raccolgono coloro che stanno pagando sulla loro pelle il prezzo della
sudditanza.
Per questo non abbiamo nessuna intenzione di essere “la destra della destra”, di continuare
l’antica disputa della destra sociale e identitaria contro la destra conservatrice e liberista.
Con il Forum dell’indipendenza italiana noi vogliamo raccogliere tutti coloro che cercano di
uscire dalla prigione della sudditanza, aperti a ogni confluenza e a ogni confronto, guardando
alle prospettive e non alle provenienze. Perché questo non è più il tempo del settarismo, delle
antiche faide che hanno dilaniato il nostro popolo in una interminabile guerra civile, rendendoci più
deboli di fronte alle colonizzazioni.
Noi speriamo che questo Governo eletto dal popolo riveda le sue posizioni, perché non
vogliamo certo tornare a governi tecnici imposti dall’alto, mentre l’opposizione progressista ci
appare ancora più condizionata dall’Agenda di Davos e per questo lontana dai bisogni degli
Italiani.
Noi chiediamo a tutta la politica ufficiale di tornare a confrontarsi con i problemi reali, anche per
contrastare un astensionismo sempre più dilagante. Bisogna superare i partiti personali, fatti da
cerchi magici e ras locali, dove non c’è democrazia interna, partecipazione e radicamento nel territorio. Bisogna ridare al popolo il diritto di scegliere veramente i propri rappresentanti, con
preferenze e collegi uninominali contendibili, di eleggere direttamente il Presidente della
Repubblica, di indire referendum ogni qual volta sarà necessario.
Per questo facciamo appello al mondo delle liste civiche che esprime una parte importante della
politica italiana, proprio quella più radicata nel territorio e meno disponibile a piegare la testa di
fronte alle imposizioni dei partiti. Bisogna coinvolgere questo mondo in un grande progetto politico
nazionale, perché anche i problemi locali possono essere risolti soltanto liberandoci dai vincoli
dell’Unione europea.
Vogliamo confrontarci con le rappresentanze della società civile, le organizzazioni di categoria
e le rappresentanze sindacali, gli ordini professionali, le fondazioni e casse di previdenza, il
mondo delle associazioni, le Camere di commercio e le Università. Al di là di tanti interessi
lobbistici e giochi di potere, esiste in tutte queste realtà un potenziale di partecipazione e di
progettualità che non può essere disperso.
Sovranità popolare, rigenerazione dello Stato-nazione, rilancio dell’economia nazionale, diritti
sociali garantiti dalla Costituzione, partecipazione e sussidiarietà sono i principi da contrapporre ai
poteri forti dell’economia e della finanza.
Questo è il tempo del popolo che si ribella contro il tradimento delle classi dirigenti, dei v alori umani e cristiani per reagire agli attacchi della tecnocrazia, degli italiani che vogliono riprendersi le chiavi di casa.
Noi non ci tiriamo indietro, chiediamo a tutti di fare altrettanto.
Un movimento per l’Italia può nascere davvero.
Orvieto, 30 luglio 2023
🇮🇹A questo link tutti i documenti e le istruzioni per sottoscrivere il Manifesto di Orvieto del Forum per l'indipendenza Italiana.
https://www.comitatofermarelaguerra.it/manifesto-di-orvieto/?fbclid=IwAR05s8FEpB5V2BS1GfTVEFSahdvES6-0QQuMcZ-m8Qh7G7CYWNEqeEX-xjo