STATO E MASSONERIA


Gioacchino Volpe

Lo Stato e le sette segrete

Relazione della Commissione
dello studio
delle riforme legislative

Non una trattazione storica, ma poche parole intro­duttive sulle società segrete in Italia, cioè, essenzial­mente, sulla massoneria. Le sue origini, del resto, salvo qualche radice filiforme, non si sprofondano affatto nei secoli. 

Cominciamo a trovarne traccia fra noi nei primi decenni del 700, al tempo e in conseguenza di quel grande rimescolamento europeo che fu la guerra di successione spagnuola e le altre guerre che seguirono fino al 1748. E veniva da fuori, come del resto, allora, molti elementi di coltura, molti stimoli o fermenti di vita intellettuale; più precisamente, veniva dall'Inghil­terra, che allora si stava affermando nel Mediterraneo e prendeva contatto con l'Italia. Quasi contemporanea­mente un'altra corrente del genere scendeva dai paesi tedeschi, con il dominio austriaco, e si allargava a Na­poli ed in Lombardia. Mentre la massoneria inglese si teneva sul terreno di un vago filosofismo, quella austriaca si avvicinava di più alla politica e poteva dare qualche motivazione e qualche incitamento al Giuseppinismo. Infine, dalla Francia, con la Rivoluzione. E Napoli che dalla fine del '600 era stato uno dei mag­giori porti di approdo delle novità straniere in Italia, diede la prima ospitalità a questa massoneria francese che aveva poi nell'illuminismo il suo fondamento filo­sofico. Essa fiorì largamente nei due decenni della con­quista francese, della Repubblica e del Regno d'Italia, specialmente dopo che, al posto del Vice-presidente Melzi, ostile alle loggie, venne Eugenio Beauharnais. La classe media, gli uffici pubblici, la magistratura, l'eser­cito si riempirono di massoni. Napoli e ancor più Mi­lano furono grandi centri massonici. E la massoneria costituì un altro vincolo fra Italia e Francia, passivo più che attivo per noi, un altro tramite di influenze politiche e intellettuali francesi su di noi. Essa accen­nava tuttavia già a decadere, nonostante l'esteriore ri­goglio. Veniva mancandole ormai la ragion d'essere, poi che i suoi elementi vitali si erano in gran parte rea­lizzati. E poi le nocque moralmente la troppa diffu­sione e la troppa prosperità, l'essere un po' diventata un « instrumentum regni » nelle mani di Napoleone e dei suoi regoli. « La massoneria si addormentò nelle braccia protettrici del primo Impero, del Regno d'Ita­lia franco-lombardo, e in una con quel regime si spense ». Così uno storico recente della associazione, Ulisse Bacci. 
Perciò dopo il 1815 la gran massa degli accoliti, le­gata da venti anni alle fortune di Francia, si sbandò col declinare di queste fortune. I massoni, salvo qual­che tentativo di resistenza degli ufficiali inscritti alle loggie, disertarono compiutamente la loggia o caddero in sonno letargico o si fecero austriacanti e servirono i nuovi padroni, considerati come restauratori dello ordine e della pace, come più veri realizzatori di quel principio monarchico che i massoni dichiaravano di aver servito in Napoleone. L'Imperatore d'Austria poi, con certe sue velleità di spregiudicata politica ecclesia­stica e con l'ambizione malamente dissimulata di allar­garsi in Italia a spese dello Stato della Chiesa, dava agli ex massoni italiani la speranza di un nuovo Giu­seppe II Molti, anche, specialmente nel sud-Italia, en­trarono nelle fila della carboneria, nata da poco: una specie di massoneria anch'essa, ma con carattere più popolare, con spirito assai meno anti-religioso e anti­chiesastico, con un contenuto più politico, quasi per il suo adattarsi alle esigenze di un paese che cominciava ormai ad avere una coscienza politica, e dei problemi politici da risolvere. Anche per questo era avversa in genere alla Francia e sottostava piuttosto a suggestioni inglesi. Pare anzi che l'Inghilterra, sempre intenta a trovare e creare nemici alla Francia e vogliosa non solo di soppiantar le influenze politiche e commerciali fran­cesi nella penisola, ma di crearsi in Sicilia anche una solida base mediterranea, favorisse a Milano e nel sud gli inizi del movimento carbonaro. Certo, fu considerata già allora la carboneria come emanazione di loggie mas­soniche inglesi; certo ancora, qualche costituzione car­bonica siciliana ammetteva come possibile la annessione dell'isola all'Inghilterra. In ogni modo, differenza no­tevole tra massoneria e carboneria, nonostante che più tardi i massoni considerassero questa e anche la maz­ziniana « Giovane Italia » come travestimenti della mas­soneria, imposti dalla tirannide, salvo poi nella libera Italia riapparir essa con i suoi genuini lineamenti. 

In realtà la massoneria fu assente dal Risorgimento. Disertori della causa nazionale, chiamò Mazzini i mas­soni. Quei titoli di benemerenza che oggi l'associazione rivendica sono fittizi. Ed appare dagli stessi documenti che storici massoni come il Bacci hanno pubblicato. Appare da tanti processi politici che si svolsero fra il 1821 e il 1858: rarissimamente la massoneria vi com­pare. Vi furono tra i patriotti dei massoni, ma non operavano come tali: tanto che Garibaldi, ad esempio, inscrittosi nel 1844 in una loggia di Montevideo, 4 anni dopo offriva a Pio IX la sua spada. Se mai, a Risorgi­mento compiuto, cominciarono a sentirsi massoni e ad apparire ed operare come tali. Altri, e forse i più, si inscrissero dopo il 1860. Tutt'altro spirito animava il Risorgimento ed i suoi uomini più rappresentativi. A parte che la massoneria non aveva un contenuto poli­tico vero e proprio. Ma essa era cosmopolita e umani­taria; era pacifista, anzi tradizionalmente e program­maticamente attaccata ad una blanda tattica avvolgente e penetrante; era antireligiosa e specificatamente anti­cattolica. Il Risorgimento fu invece un fatto nazionale e, qua e la, quasi nazionalista, con talune forti reazioni contro l'astratto umanitarismo; fu combattivo e guer­riero e a volte esaltò la guerra e lo spirito militare in se stessi; celebrò il sacrificio, e la sua virtù rigenera­trice degli Italiani infiacchiti, anche se momentaneamen­te sterile di risultati visibili: fu religioso e quasi sempre cattolico, anzi tenne al cattolicismo come ad un mezzo di unità spirituale e di conservazione della personalità morale del popolo italiano. Esso fu anche, specialmente dopo il 1831, avverso alle sette in modo esplicito, com­batté i loro metodi, rilevò la loro inutilità per un verso, il guasto profondo che generavano per l'altro. Tutti ri­cordano il quadro che Pietro Colletta, Ministro della Guerra dopo la rivoluzione di Napoli del 1820, fece del­l'esercito napoletano permeato dalla carboneria e disci­plinarmente corrotto. Ma anche fuori della milizia, si vedeva nelle sette segrete altrettanti Stati nello Stato, una fonte di corruzione del carattere, un sostanziale di­spotismo sotto veste di libertà. Parecchi dopo entrativi, ne uscirono tediati e sdegnati per il ridicolo cerimonia­le, per il nullismo di quelle congreghe, per lo spirito ge­suitico che vi regnava, per la cura più degli interessi privati che dei pubblici. Nel migliore dei casi, si consi­derarono sette e società segrete come un male neces­sario, frutto del dispotismo, destinato a scomparire con l'avvento di più liberi tempi. Arma legittima dove non è patria e libertà, pensava e scriveva Mazzini, esse pos­sono essere sciolte dalla nazione che abbia conquistato la sua patria e la sua libertà. Se l'associazione, aggiun­geva, deve realizzare un più alto progresso, deve sotto­mettersi al giudizio di tutti. 

Accenna la massoneria a risorgere poco prima del '60. A Napoli ciò avviene in connessione con certa pro­paganda che allora si fece a favore del Principe Murat, gran maestro della massoneria francese. Anche questa volta, la luce veniva... dall'occidente, e la massoneria serviva, consapevole o no, ai fini della politica francese in Italia. Fra il 1860 e il 1870, quando la questione ro­mana diventò il problema centrale della vita italiana, si ebbero altri progressi massonici. Non che la massoneria italiana, come tale tenesse molto a Roma italiana. Essa

combatteva il Papa. Il Papa assai più che il Papa-Re. Dichiarava, per bocca di un suo gran maestro assai amico di Napoleone III, che essa non voleva far politica, discussione o azione che fosse, ma combattere i pregiu­dizi e la superstizione. Tanto, trono più trono meno sul­la faccia della terra, importava poco... Ma l'Italia, con la sua passione per Roma, con i suoi sentimenti e ri­sentimenti contro il temporalismo della Santa Sede, for­niva un buon terreno da coltivare alla massoneria, e così i vecchi fratelli si svegliarono dal letargo, si chia­marono di lontano, si cercarono, si ritrovarono, tolsero dagli scaffali i rituali e i simboli polverosi. La propa­ganda si fece più viva. Le nuove reclute affuirono. Ac­cennarono a rivivere le loggie e molte nuove se ne co­stituirono. Cominciò anzi la ressa alle porte e l'intrufo­larsi dentro di tanta gente che dalla massoneria sperava un qualche vantaggio, oppure era legata a consorterie e interessi che cercavano conquistare l'istituzione ai propri fini. D'onde i gridi d'allarme che subito si udi­rono, da parte degli altri che temevano di essere som­mersi dalla torbida ondata e ponevano l'aut-aut: o epu­rarsi o scomparire. I documenti pubblicati dal Bacci par­lano chiaro in proposito. Essi accennano anche a « grup­pi di cosidetti massoni che obbedivano ad ispirazioni di estere potenze »; e non è difficile trovare quali fossero queste « estere potenze ». Aggiungi discordie, baruffe tra fratelli, per questioni di riti, di alti gradi, di preminen­ze, per rivalità personali e regionali, per spirito campa­nilistico che procedeva a braccetto con lo spirito uni­versalistico. Vi furono invettive, bandi e scomuniche co­me entro una chiesa in stato di scisma!

Ma poi, attorno al 1880, la macchina cominciò a fun­zionare più regolarmente ed a marciare con passo rapi­do. Si lusingò e adescò l'elemento intellettuale che rispose con molta larghezza: professori, avvocati, magistrati, impiegati, anche uomini d'affari, cioè commercianti, for­nitori, commessi viaggiatori, ecc. Bisogna tener presente quella fase della vita italiana, con la sua folla di gente nuova dalla mezza coltura, intenta a trovarsi la sua strada; col suo positivismo filosofico e la sua mentalità al quanto semplicistica; con alcune grandi divinità im­poverite di contenuto e abbassate a idoli o feticci; ot­timo terreno di caccia per la massoneria. Vi era poi molta gente delusa e tediata di questa nuova Italia così diversa, com'è naturale, da quella sognata. E la masso­neria ne trasse adepti. Non pochi repubblicani o inclini a democrazia radicale o credenti nel Dio « Progresso » sperarono, ad esempio, trovar in essa un punto d'appog­gio per instaurare la repubblica o far trionfare in terra « Giustizia e Libertà ».


Diffuso lo spirito anticlericale, nel senso più negativo •della parola, in cui si rispecchiava l'assenza di filosofia e l'assenza o decadenza di altri più sostanziosi e positivi ideali. E anche di questo la massoneria si avvantaggiò, prendendone stimolo ad esasperare il suo vecchio anti­clericalismo e farne la sua ragion d'essere. Si venivano lentamente creando, sotto il conflitto ufficiale, le condi­zioni — almeno pel futuro — di più pacifica convivenza tra le due podestà, e viceversa la massoneria affilava tut­te le sue armi, quasi temesse quell'evento, quasi suo com­pito fosse non tanto combattere i nemici esistenti e rea­li, quanto suscitarli e immaginarli. Di che cosa, altri­menti, essa avrebbe vissuto? Tutto ciò voleva dire, nel campo politico, anche più netta determinazione del vec­chio orientamento francofilo e rinfocolata austrofobia. Quindi alle loggie guardò con fiducia anche l'irredenti­smo italiano che allora si veniva formando, e dalle log­gie venne all'irredentismo, qualche aiuto: per esempio, quando sorse la Dante Alighieri, che mirava, essenzial­mente, alla italianità di Trento e Trieste. Ma la Dante Alighieri dovè poi subire una larga infiltrazione masso­nica che vi determinò vivi contrasti interni e parve in un certo momento metterne in pericolo l'esistenza. 

Si voleva dai massoni dominare anche questo come tutti i gangli e centri nervosi della società italiana. An­che l'esercito. E verso l'esercito cominciò, alla fine del secolo scorso, il meditato e metodico lavoro di penetra­zione. Era un po' la cittadella da conquistare, dopo aver smantellato molte opere accessorie. Correvano gli anni di maggior annullamento dello spirito militare del paese. Diffuso pacifismo, propaganda socialista e antimilitari­sta, mito delle « spese improduttive », sconfitte africane che fornirono ai bardi della democrazia, a molta parte della borghesia moderata, al presuntuoso semplicismo di qualche sociologo, una miniera senza fondo di luoghi comuni. Attorno all'esercito era il vuoto. Gli si lesinava il pane e, ancor più, il credito e la fiducia. Ciò spiega quella certa fortuna che la propaganda massonica vi ebbe. Le leggi potevano servire a togliere l'ufficiale dal­l'isolamento e dargli qualche aiuto nella grama e con­trastata carriera. Lo stesso aiuto, del resto, vi sperava l'impiegato, il giudice, il professore, tutta la vasta e cre­scente famiglia burocratica, assillata e agitata dalla po­vertà, dalle angustie della carriera, dalla idea fissa che tutto, in alto, fosse favoritismo e protezione, dalla osti­lità e sfiducia verso lo Stato, anzi dallo spirito di rivolta che anche lì cominciava a serpeggiare. La famiglia bu­rocratica assai si lasciò permeare dalla massoneria: vale a dire si legò ad una legge e ad una disciplina che pote­vano coincidere e potevano anche non coincidere con la legge e la disciplina dello Stato. Non tanto si trattava, per i più, di ideali da servire, quanto di bisogni pratici o ambizioni personali da soddisfare. Ciò che spiega co­me ugualmente, col regime di libertà, col suffragio po­litico che si allargava, col Parlamento che diveniva sem­pre più il centro costituzionale del paese, con i giornali che si moltiplicavano, le sètte segrete, anziché disfarsi come nebbia al sole secondo le previsioni e i desideri degli Italiani del Risorgimento, crescevano. 

Si trattava ora di una sètta unica, ma ormai poten­tissima. Aveva accumulato, pur senza personalità giuri­dica e capacità di possesso, un ricco tesoro di guerra. Aveva portato in Roma il suo quartiere generale e mu­tato in un magnifico palazzo la stamberga dei primi tempi. Faceva sentire largamente le sue influenze, e mol­te leve di comando della vita italiana e dello Stato ita­liano erano nelle sue mani. Essa vigilava specialmente, con occhi d'Argo, la politica ecclesiastica, e più di un ministro o Presidente del Consiglio dovè subire in un certo momento il richiamo dei Gran maestri al dovere massonico. Qualcuno di essi sentì pioversi addosso an­che la scomunica, quando volle bonariamente dichiara­re in pubblico che, insomma, non era più il caso di agi­tare lo spauracchio temporalistico, perché non c'era più italiano che non volesse l'unità della patria con Roma capitale. E tutto questo nel mistero. Il quale se poteva indurre molti ad esagerare la forza delle loggie e vedere massoneria da per tutto, come da per tutto in altri tem­pi si eran visti gesuiti o giacobini, accresceva poi effet­tivamente quella forza; con relative malefiche ripercus­sioni nell'ordine morale, nella disciplina delle pubbliche gerarchie, ecc. Al segreto si voleva da taluno rinunciare, al tempo di Nathan gran maestro. Si rilevava anzi, dal Nathan stesso, come ormai gli atti, i fini, i riti della massoneria fossero di dominio pubblico. E ciò in parte era vero. Ma il segreto sulle persone veniva gelosamen- 

te custodito e non si aveva nessuna voglia di svelarlo. Lì era la forza dell'associazione, ma lì, anche, il pericolo e il danno. 
Si ebbe perciò una reazione, che coincide con quei vari e in apparenza contraddittorii conati di rinnova­mento della vita italiana che si fanno visibili attorno al 1900. Vi era stata, avanti tutto, la reazione del socia­lismo che aveva combattuto nella Massoneria l'umanita­rismo, la democrazia parolaia, addormentatrice, piatta­mente borghese, francefila. Ora, a mano a mano che an­che il grosso del socialismo si apriva alle influenze mas­soniche e si lasciava conquistare, reazioni di ristretti gruppi di socialisti realizzatori, di socialisti rivoluziona­ri e sindacalisti, di educatori, di filosofi idealisti, di gio­vani liberali, di democratici cristiani, di pattuglie inno­vatrici e futuristiche nei campi morale-artistico-politico, di nazionalisti. È l'epoca del riformismo, del collabora­zionismo, dei blocchi, ecc., avversati dalle correnti più schiettamente liberali e nazionali. È anche l'epoca che i cattolici abbandonavano le loro pregiudiziali contro lo Stato italiano ed entravano nella vita pubblica, trovan­dovi non più solo diffidenza e ostilità, ma anche consen­si di varia natura. Anche in ordine alla massoneria. Alla quale si fece il processo su tutta la linea, dal punto di vista filosofico e culturale, politico e morale. Sì vide in essa una sopravvivenza di illuminismo settecentesco, an­che se poi era assai dubbio che una qualsiasi filosofia fosse a base dell'azione massonica; si vide in essa una sorgente di cattivi abiti mentali, di confusionismo nelle idee politiche e nei partiti, di degenerazione della vita pubblica; si vide in essa personificato l'intrigo e la ca­morra e il mutuo soccorso illecito. Specialmente il na­zionalismo attaccò a fondo e quasi rappresentò Tanti-massoneria, cioè lo spirito antagonistico contro il pacifìsmo, la nazione contro l'internazionalismo e l'umanita­rismo, lo Stato forte contro ogni fermento di dissolu­zione, la tradizione religiosa del popolo italiano contro l'anticlericalismo e certo tendenziale protestantismo massonico. 

Alla vigilia della guerra, cioè nel 1912-1914, la cam­pagna fu veemente. Le fornirono materia assai delicata certi atteggiamenti della stampa notoriamente massoni­ca durante la spedizione di Libia, assai male accetta alla massoneria italiana e internazionale, dati ì suoi legami con la Giovane Turchia; qualche perturbatrice influenza massonica che si intravide in funzione negli alti gradi dell'esercito; in ultimo le dimissioni dalla massoneria di un valoroso generale, Gustavo Fara, che, irretito nelle spire della associazione, trovò a un certo momento la forza di ribellarsi e liberarsene. L'attenzione pubblica si concentrò allora specialmente sul problema della mas­soneria fra i pubblici funzionari, e in particolar modo, nell'esercito e nella marina. La intossicazione massonica apparve in questo campo di una particolare gravità. Non che il male fosse proprio molto esteso. Ma certo aveva attaccato l'organismo. La marina, forse, più dell'esercito. Comunque, l'appartenenza alla setta creava scissioni là dove doveva essere perfetta e fraterna unità soldatesca, creava vincoli di opportunistica solidarietà, là dove era necessaria netta distinzione fra superiori e inferiori; so­vrapponeva e contrapponeva una gerarchia massonica ad una gerarchia militare, una gerarchia occulta ad una gerarchia palese; costituiva una violazione del regola­mento di disciplina che vietava agli ufficiali di entrare in società segrete ed affermava per essi l'obbligo di ri­nunciare a certi diritti e libertà proprie, per meglio ga­rantirne l'esercizio a tutti gli altri cittadini; sottraeva al necessario controllo dei superiori una parte della attività dell'ufficiale; minava alla base quello spirito di militare franchezza e lealtà che nel soldato è virtù essen-zialissima. L' Idea Nazionale pubblicò su tutto questo una serie di articoli. Si occuparono del problema, con­sentendo nella critica e nell'allarme, anche altri giorna­li, tra cui il Corriere della Sera e la Tribuna. Si invoca­rono parole chiare dai ministri della Guerra e della Ma­rina. Vi furono interrogazioni e mozioni alla Camera ed al Senato da parte di chi voleva sentire confermata o negata, in nome della disciplina o della libertà, la in­compatibilità tra ufficiale e massone. Venne dal banco del Ministro la parola attesa, e fu, da parte di Spingardi, parola di ammonimento paterno ai giovani ufficiali che potessero essere tentati di legarsi a società segrete in vi­sta di più rapida carriera. Ma essa non parve sufficiente­mente netta ed esplicita. Il Ministro dichiarava di igno­rare che cosa fosse la massoneria. Meglio parvero rispon­dere le dichiarazioni del ministro Mirabello, in seguito ad interrogazione dell'oli. Giacomo Ferri. Disse fra l'altro, che alle agitazioni dei sottufficiali di marina e alla dimo­strazione della Spezia, avvenuta tempo prima, non era stata estranea qualche loggia di quella città. Infine, una mozione firmata da una cinquantina di deputati affermò « pregiudizievole allo Stato e incompatibile coi doveri militari » che ufficiali entrassero nella massoneria e in consimili sette. La discussione parlamentare investì an­che i magistrati per i quali, pure, si affermava da taluni la incompatibilità col vincolo massonico. Ma per i ma­gistrati, dichiarò il sottosegretario di Grazia e Giustizia on. Gallini, nessun divieto vige nelle leggi e nei regola­menti. Militari e magistrati, confermò l'on. Giolitti, sono cosa diversa. Donde una mozione Chiesa, Treves, Co-mandini, Cappa, Samoggia, Campanozzi, Gaudenzi, ecc., del 13 giugno 1913, la quale, constatato un contrasto stridente nelle dichiarazioni circa gli ufficiali ed i ma­gistrati, considerato tale contrasto come effetto di cor­renti diverse e discordi entro la compagine ministe­riale e di incapacità dei ministri radicali a far valere le loro idee, mentre urgeva omogeneità e decisione di uomini per fronteggiare i clericali ed attuare una « po­litica di resistente libertà di fronte all'azione del par­tito clericale », concludeva nella sfiducia al Governo. 

Fra tanto le colonne dell'« Idea Nazionale » accoglie­vano un referendum intorno ad alcuni quesiti posti da quel giornale su la rispondenza o meno della massone­ria alle condizioni della vita pubblica moderna ed alle tendenze del pensiero contemporaneo, sul danno o be­neficio che la sua azione occulta o palese poteva aver specialmente sull'esercito, la magistratura, la scuola. Ol­tre un centinaio di scrittori, pubblicisti, uomini politi­ci, risposero. Naturalmente mancò la voce degli amici e parlarono solo gli avversari o estranei alla massoneria, anche se transfughi da essa. Ma questo stesso silenzio era assai significativo ed accresceva valore al giudizio degli altri, che poi erano uomini come Croce e Varisco, Tamassia ed Amendola, Benini e Catellani, Donadoni, Galletti, De Viti, De Marco, Einaudi, Mosca, Venezian, D'Ancona, Calò, Sergi, Ricchieri, Roiti, Bonomi, Porro, Raina, Cavaglieri, Perozzi, Giacosa, Bonfante, Filomusi, Guelfi, Vittorio Rossi, Arcari, Solmi, Maroni, Borghese, D'Ovidio, Villari, ecc. ecc. In generale, condanna aperta della massoneria e di ogni setta segreta, con frequente richiamo alle particolari ed eccezionali circostanze che ne giustificavano l'esistenza nel Risorgimento e non più nell'epoca moderna e nell'Italia d'oggi. Particolare av­versione per la massoneria nell'esercito, nella magistra­tura, nella scuola. Taluno trovava attenuanti: non la so­la massoneria ci irretisce, ma ci irretiscono tante forze

più o meno occulte, colossali raggruppamenti partico­laristici, mille privilegi politici, economici, doganali. Qualche altro trovava perfettamente naturale che in re­gime di largo suffragio, il quale presuppone una orga­nizzazione di minoranze intelligenti, fosse sorta, man­cando quella palese, una organizzazione segreta. E se ne concludeva o con la inutilità di una lotta, o col dan­no che poteva venire dal concentrarla contro la masso­neria solamente. Ma che questa fosse un ferro vecchio, che intaccasse molti delicati congegni, che contravvenis­se al nostro grande bisogno di disciplina che non può essere se non unica e assoluta, che minasse il senso del­la responsabilità, che perturbasse lo spirito pubblico, nes­sun dubbio, da parte di nessuno. Molti anzi invocavano un'energica azione di difesa. Possiamo considerare que­sto « referendum » come una chiara e larga manifesta­zione antimassonica del paese prima della guerra eu­ropea. 

La quale arrestò il movimento che era in sul cresce­re. La massoneria aderì all'interventismo, anzi lo capeg­giò. E se ciò tenne indietro, esitanti o restii, gran parte dei cattolici, fece tacere la campagna nazionalista. Ai massoni nessuno chiese perché e per chi, veramente, in­vocavano la guerra, anche se tutti constatarono il loro veemente riscaldarsi per « la libertà e la giustizia », nonché per il paese che ne aveva, in terra ,la rappresen­tanza e il monopolio. Ma durante e dopo la guerra non sono mancati saggi eloquenti dell'intrinseca natura del­l'interventismo massonico; e quali fini si proponesse e a quali parole di ordine obbedisse, e quali ostacoli, in certi casi esso possa costituire alla libertà d'azione in­ternazionale dello Stato italiano. Male che la massone­ria sia una associazione di mutuo soccorso, ma peggio ancora che sia un'associazione orientata in certo determinato senso politico e che tenda ai suoi fini per vie occulte. Quanto si è esposto sin qui, circa i precedenti sto­rici delle sette segrete e, in modo speciale, della mas­soneria, in Italia, e circa lo stato dell'opinione pubblica italiana nei riguardi della setta massonica, nel momen­to in cui si iniziò, con lo scoppio della guerra europea, il grande periodo storico, di cui è il necessario prodotto il moto di rinascita e di restaurazione della coscienza nazionale onde è sgorgato il Fascismo, dimostra che il problema relativo ai rapporti fra lo Stato e le sette se­grete non è un problema nuovo, sorto ora per la prima volta e per la arbitraria volontà del Partito e del Go­verno Fascista, ma è un problema già antico nella co­scienza della Nazione. Che le sette segrete costituiscano per lo Stato moderno, in genere, e particolarmente per lo Stato italiano, un pericolo, era già stato, come si è visto, avvertito — se non dalla massa, e neppure dalla classe parlamentare dominante nel periodo prebellico — dai moti più profondi della coscienza nazionale avviantesi alla rinascita. E già sin d'allora gli antesignani e gli interpreti più animosi e vigili di quella coscienza ave­vano gridato allarme. Il problema era già, sin d'allora, in altri termini, maturo. Ma lo Stato democratico e libe­rale dell'anteguerra non era e non poteva essere pronto a risolverlo; anzi non era neppure disposto, nei suoi organi dirigenti, a sentirne la gravità ed urgenza. Nulla di più naturale, quindi, che l'allarme sia stato dato invano.

Il problema risorge, ora, nella nuova Italia ritem­prata dalla guerra e dalla vittoria; ma risorge di fronte ad uno Stato, che non è più lo Stato democratico, ma è veramente, o si avvia ad essere, quale la guerra e la vittoria lo foggiarono nella coscienza del cittadino, lo Stato Nazionale. E chiede ora di essere risolto, ad uno Stato che ha in sé la volontà e la forza di risolverlo, per­ché ha in sé la volontà e la forza di difendersi dai suoi nemici. Tali sono infatti, come la storia insegna, e come la coscienza nazionale intuì sempre, dovunque essa fos­se in atto presente, le sette segrete. 

Non vi è dubbio che la difesa dello Stato nazionale contro l'azione delle sette segrete importa, innanzi tut­to, la difesa dello Stato nazionale contro l'azione della massoneria. Ma ciò non esclude che il problema possa e debba porsi da un punto di vista più generale. Giacché le associazioni massoniche non sono certo le uniche for­me di società segrete possibili. Ora, qualsiasi specie di società segreta, anche se, ipotesi, il fine ne sia etica­mente e giuridicamente lecito, è da ritenersi, pel fatto stesso della segretezza, incompatibile con la sovranità dello Stato e con la uguale libertà dei cittadini di fronte alla legge e incompatibile specialmente con la sovranità dello Stato nazionale moderno. 

1) La massoneria rappresenta la sopravvivenza, nel­la nazione italiana ritornata, nella indipendenza e nella unità, signora di sé e dei suoi destini, di una mentalità importata dallo straniero e intrinsecamente antinaziona­le, perché intrinsecamente individualista, democratica, antistorica, nel senso più meccanico e atomistico del termine; rappresenta cioè un formidabile ostacolo al for­marsi di quella salda e coerente coscienza nazionale, che è purtroppo tuttora il privilegio o il desiderio di una minoranza di italiani, e deve diventare, perché l'Italia si avvii veramente a un avvenire di potenza, patrimonio comune di tutti. La mentalità della massoneria italiana è fondamentalmente una mentalità francese; ma, si ag­giunga, una mentalità francese, che è ormai da qualche decennio superata o corretta, nella stessa Francia, dal­l'avvento di altre correnti spirituali e politiche, di cui la mezza o la falsa coltura massonica non ha neppure sospetto, per una organica ingenuità, ma non è per que­sto meno pericolosa. Essa è prezioso strumento di pene­trazione e di dominio presso gli altri popoli, che hanno sempre offerto alla politica francese le teorie internazio­nalistiche, pacifiste, egualitarie, umanitaristiche, che i massoni italiani continuano a prendere sul serio, e con­tinuano sul serio a volere applicare, anche se l'appli­cazione ridondi a danno dell'Italia. Senza accorgersi che i massoni stranieri, resi più avveduti da una secolare tradizione di coscienza nazionale nella valutazione degli interessi delle rispettive nazioni, si sono sempre guardati dal dedurne o dal pretenderne applicazioni contrarie ai diritti o alle aspirazioni del proprio paese. 

2) La massoneria è un istituto che è, e pretende di essere, quasi in antitesi alia Chiesa cattolica, universale e perciò internazionale, di cui le singole massonerie na­zionali sono organi o partiti. Ciò aggrava il pericolo insito nella sudditanza mentale della massoneria italiana verso teorie foggiate dagli stranieri rendendo facile alle massonerie straniere farsi ispiratrici della massoneria italiana per perseguire scopi estranei o antitetici agli scopi della nazione italiana. Basta addurre a prova di ciò le rinuncie adriatiche a cui si sono lasciati trascinare i massoni italiani nei convegni massonici del periodo post­bellico. Ma una anche più deleteria conseguenza dell'es­sere la massoneria italiana intimamente legata e spiri­tualmente subordinata alle massonerie d'altri paesi, è che essa apre facile adito alle intromissioni di governi e di partiti stranieri nella politica interna nazionale. Tanto più grave è questo pericolo, in quanto è purtroppo vecchia e sciagurata consuetudine italiana, ed è davvero la più tur­pe eredità dei secoli di servaggio, quella per cui la intro­missione straniera è talora cercata o incoraggiata da ita­liani che non si vergognano di mendicare all'esterno aiuti o consensi contro il governo della Patria. 

3) La massoneria, obbligando i propri adepti al si­lenzio anche a costo di mentire, contribuisce a corrom­pere e a falsare il carattere degli Italiani, per sua natura disposto a franchezza e a sincerità. La consuetudine del­la menzogna, della dissimulazione, del mistero, sono, co­me è noto, una delle più deplorevoli conseguenze delle sette segrete; ed è ben triste privilegio massonico quel­lo di insistere, in regime di libertà nazionale e politica, a perpetuarne gli effetti. I quali sono particolarmente perniciosi sul costume politico del popolo italiano, alla cui innata e organica sanità unicamente si deve se non ne derivano jatture maggiori di quelle che pure è d'uopo constatare, per volerne guarire. Tutti i partiti politici nazionali ne sono più o meno inquinati o avvelenati. La lotta politica in Italia non potrà svolgersi con piena sin­cerità e genuinità di atteggiamenti e di rapporti, sino a che sarà possibile ad una setta insinuarsi in ciascuno, sotto mentite spoglie, per asservirne a interessi o a fina­lità ignote o inconfessabili il programma, per deviarne lo spirito, per controllarne o carpirne le deliberazioni, per tradirli, infine, tutti; sino a che, insomma, ciascun partito potrà temere o sospettare, e troppo spesso non invano, di avere, senza saperlo, il nemico nelle proprie fila. 

4) La massoneria, che dopo la soluzione della que­stione romana e la totale unificazione della patria non ha più nessun pretesto — come poteva averlo fra il '60 e il 70 e, nelle provincie redente dalla vittoria, nel pe­riodo anteriore all'ultima guerra — per annunciarsi in­terprete degli interessi nazionali, è costretta da qualche decennio a restringere le manifestazioni pubbliche o uf­ficiali della propria attività, e ad impegnare quindi l'at­tività dei propri aderenti, ad una politica di gretto e fazioso e antiquato anticlericalismo, da più lati danno­so alla vita nazionale; sia per l'ostacolo che frappone al graduale e pacifico risolversi del dissidio fra l'Italia e il Papato, e pei pretesti che offre alle resistenze e alle reazioni dell'intransigenza gesuitica e ultramontana; sia per la diffidenza o il sospetto verso lo Stato italiano che desta e mantiene artificiosamente nella coscienza di molti cattolici, cui soltanto l'avversione per la masso­neria e il timore di un suo eventuale predominio sul go­verno del paese trattengono dall'assoluta incondizionata adesione alla politica nazionale; sia, infine, per la pro­paganda di volgare irreligiosità e di presuntuoso e astrat­to razionalismo che con enorme danno per l'anima po­polare va compiendo tra i ceti meno preparati a resi­sterle della borghesia e del popolo. 

5) Ma questo tradizionale atteggiamento anticlericale è troppo spesso solo un orpello esteriore che neppu­re tutti gli iscritti alla setta prendono sul serio, di cui molti tra essi non si occupano, lasciandone la cura e la responsabilità ai dirigenti, e dietro cui si cela una assai diversa e assai meno confessabile attività, che ben più dell'altra, ufficiale o politica, interessa la maggior parte degli iscritti. Ad essa sappiamo che la massoneria deve sopratutto, specialmente dopo l'80, l'accorrere di sem­pre nuove reclute fra i suoi ranghi. Si allude alla atti­vità, per cui la massoneria si risolve troppo spesso in una specie di organizzazione camorristica a difesa di interessi puramente privati. Di questa attività, di cui sono troppi gli indizi per poterla mettere in dubbio, an­che se talora si tende a esagerarne la portata, è inqui­nata in tutti i suoi rami l'amministrazione centrale e locale, dello Stato e dei comuni. Essa si insinua negli organi più delicati della vita nazionale, e fa leva del­l'alta Banca, in buona parte asservita a elementi masso­nici; la sua arma precipua è il segreto, che avvilisce le coscienze, le piega a una disciplina cui non è possibile ribellarsi senza tradire la setta, le obbliga ad una soli­darietà interna che annulla o supera ogni altro dovere di lealtà e di giustizia, e che assicura a chi se ne giovi l'impunità. 

È così che la massoneria è riuscita a infiltrare la pre­senza di propri membri in tutti gli uffici dello Stato e degli enti autarchici, e perfino nella magistratura e nel­l'esercito, e a sovvertire con la propria segreta e inaffer­rabile ma pur potentissima e inesorabile gerarchia, la pubblica gerarchia civile e militare. Il che, ove si pensi alle caratteristiche finora denunciate dell'organizzazione massonica, e ai suoi legami con le massonerie straniere, è, specialmente nei riguardi della magistratura e del­l'esercito, di una tale gravità, che può parere perfino in­verosimile — se non fosse purtroppo vero — che lo Stato l'abbia sinora sopportato, limitandosi a fingere di ignorarlo. Che se ciò nonostante, così la magistratura che l'esercito si sono sempre nel loro complesso man­tenuti all'altezza dei compiti loro assegnati ai fini del­la nazione, ciò costituisce un altissimo titolo di merito della grande maggioranza dei magistrati e degli ufficiali italiani, la cui fondamentale onestà e lealtà ha saputo vittoriosamente resistere all'azione disgregatrice di così potente veleno; ma non autorizza a dissimularsi la en­tità del pericolo e la necessità di correre ai ripari. Per tutti questi motivi, la Commissione non esita a riconoscere nella lotta contro la massoneria uno degli atti preliminarmente necessari di ogni politica diretta a risanare gli organi della vita nazionale e a purgare dei germi perniciosi di avvelenamento la coscienza del po­polo italiano. 

Nella formula stessa, con cui è stato presentato il quesito sul quale essa è chiamata a dire il suo avviso, sembra alla Commissione di scorgere già il riconosci­mento, in cui essa pienamente concorda, della inoppor­tunità di affrontare la lotta facendo la massoneria, co­me tale, oggetto di una legislazione repressiva singo­lare. Distruggere la massoneria, sciogliendola, e vietan­do ai singoli di appartenervi, e perciò dichiarando reato il farne parte, sarebbe certo un rimedio radicale, se fosse possibile. Ma, in realtà esso è impossibile, sia ma­terialmente (perché equivarrebbe a circondare la mas­soneria di un'aureola di martirio o a costringerla ad agire anche più in segreto, di quanto ora non faccia), sia giuridicamente, per l'impossibilità di vietare a priori — senza violare veramente, in ciò che vi ha in essa di inviolabile ai fini stessi dello Stato nazionale, la libertà di pensiero, di parola, di associazione — la professione delle teorie o delle dottrine massoniche e il diritto di associarsi ai fini di esse. 
Ma la massoneria offre nell'arma stessa, di cui essa si serve per la propria opera malefica, il mezzo per co­stringerla a sottostare alla legge comune. Questa arma è il segreto; e può esserle spuntata nelle sue stesse mani. Il segreto non può più essere dallo Stato nazionale tol­lerato, né nell'organizzazione massonica né in alcun'al-tra forma di società segreta. Lo Stato non ha motivo di vietare a priori l'esistenza di una associazione che prenda nome dalla massoneria, ma ha il diritto e il dovere di vietare che essa sia comunque segreta. Non il fatto di essere iscritto alla massoneria può quindi esser te­nuto come un reato; ma il fatto di volerlo nascondere. 

La commissione crede perciò non potersi escogitare rimedio migliore contro i pericoli e le insidie della mas­soneria, sia essa una associazione, un ente o un istituto, che l'obbligo imposto per legge ai direttori, capi e am­ministratori di tutte le associazioni, enti ed istituti, che comunque esistano o siano per esistere — sotto minac­cia dello scioglimento e di gravi sanzioni penali e pe­cuniarie, tali da impegnarne solidalmente la responsa­bilità — di denunciare fedelmente e integralmente alle autorità di pubblica sicurezza l'elenco nominativo dei soci, le cariche sociali, la costituzione interna, lo statuto, e qualsiasi altra notizia di cui vengano richiesti: nonché l'obbligo imposto ai singoli soci con gravi sanzioni tra cui la sospensione temporanea dai diritti politici, di non celare al pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue fun­zioni, e di non dissimulare, la propria appartenenza a dette associazioni, enti ed istituti. 

Il rimedio proposto dalla Commissione non è senza qualche precedente nella legislazione di altri stati rela­tiva alle associazioni. Giova ricordare qui le norme san­cite nella legge tedesca del 19 aprile 1908 sulle associa­zioni. L'art. 3 di questa legge dispone che « ogni asso­ciazione che si proponga di esercitare una influenza su gli affari pubblici (tra cui non v'ha dubbio doversi ascri­vere la massoneria) deve avere un comitato e degli sta­tuti. Il Comitato è tenuto a rimettere, nelle due setti­mane che seguono alla fondazione dell'associazione, gli statuti e la lista dei membri del comitato alla autorità di polizia competente secondo il territorio e così ogni successiva modificazione ». Le sanzioni a carico dei mem­bri del comitato sono stabilite nell'art. 18. Nell'art. 22 si aggiunge che « il comitato deve ad ogni richiesta del tribunale rimettergli un certificato attestante il numero dei membri dell'associazione ». 

Come è facile vedere, il sistema adottato dalla legge tedesca nel 1908 non è in tutto analogo a quello pro­posto dalla Commissione, in quanto non contempla l'ob­bligo di render noto, oltre la lista dei dirigenti e il nu­mero dei soci, anche il nome e la professione di questi, e non presuppone alcun dovere dei soci di denunciare la propria qualità. Ma la commissione ritiene che senza estendere l'obbligo della pubblicità anche al nome dei soci, e senza impegnare anche la responsabilità indivi­duale di questi, il proposito, che ha evidentemente ispi­rato anche il legislatore tedesco, di impedire le società segrete, rimarrebbe lettera morta, e sopratutto rimar­rebbero intatte le più tristi conseguenze morali e poli­tiche dell'organizzazione massonica. 

Ma la Commissione ritiene di dover fare un passo ul­teriore e di particolare importanza. Se l'appartenenza dei cittadini privati alla massoneria, come a qualsiasi al­tra società che non si proponga fini delittuosi, può es­sere dallo Stato, purché nota e confessata, ritenuta leci­ta, salvo il controllo della pubblica opinione o la vigilan­za che l'autorità è tenuta ad esercitare su ogni forma di attività pubblica, vi sono cittadini cui lo Stato non può assolutamente permettere, senza abdicare a sé stesso, di appartenere a organizzazioni di tipo massonico, anche se non più segrete, ma ormai pubbliche: e sono i cittadini, che siano impiegati o funzionari pubblici, civili e milita­ri, così dello Stato che degli enti locali. La assoluta im-compatibilità tra la qualità di massone e quella di impie­gato o magistrato o ufficiale di tutte le forze armate del­lo Stato (Esercito, Marina, Aviazione, Milizia nazionale) deve essere, una volta per tutte, dichiarata senza possibilità di equivoci. Un altissimo interesse nazionale lo im­pone. Il divieto deve essere però, per evidenti motivi di opportunità e per evitare ogni possibilità di inganni o di frodi future, non specifico, ma generico, e riferirsi a qualsiasi associazione, ente ed istituto, i cui statuti im­pongono comunque ai propri membri doveri di discipli­na, di obbedienza e di fedeltà incompatibili con quelli inerenti alla qualità di pubblico impiegato, o che man­tengono almeno in parte carattere segreto. La sanzione non può naturalmente essere, previa diffida, che la desti­tuzione. Soltanto, la Commissione ritiene necessario, a scanso di equivoci e per evitare allarmi o preoccupazio­ni, le cui ripercussioni potrebbero nuocere alla politica nazionale, escludere in modo esplicito dal divieto le as­sociazioni religiose riconosciute dalla Chiesa cattolica o ammesse dallo Stato. 

La Commissione non si nasconde che i rimedi propo­sti sono lungi dall'essere radicali, e che offrono, come del resto tutti i rimedi legislativi a mali od a vizi intima­mente connessi con le consuetudini e con la mentalità collettiva, il fianco alla frode, o all'inganno. Potrebbe darsi, ad esempio, che la massoneria, pur non ribellan­dosi alle imposizioni della legge o fingendo di attenervisi per non incorrere nello scioglimento, che le vieterebbe qualsiasi specie di manifestazione di carattere pubblico o ufficiale, e per evitare le conseguenze penose a carico della persona o del patrimonio dei dirigenti e dei soci, cercasse di eluderne lo spirito, dichiarando solo in parte la verità, e forse sdoppiandosi in una duplice organiz­zazione, una pubblica e una segreta. Ma è ovvio che il tentativo avrà tanto minor probabilità di successo, quan­to più attiva e solerte nell'applicazione della legge sarà la vigilanza dell'autorità e quanto più rapida e rigida l'azione della magistratura.Comunque, la Commissione crede che il congegno che si onora proporre (e che per comodità di esposizione è riassunto in uno schema di decreto che fa seguito alla presente relazione) possa utilmente servire, se non a sra­dicare la organizzazione massonica, a toglierle gran parte, e la più immediatamente pericolosa, della sua capacità di nuocere. Poiché il proselitismo massonico è principal­mente favorito dalla persuasione che l'essere massone non può recare che vantaggi, il fatto che, d'ora in poi, questa concezione brutalmente utilitaria non potrà più reggersi — e ciò specialmente nei rapporti degli impie­gati pubblici, alla cui carriera l'appartenenza alla setta massonica porrà un insuperabile ostacolo — eliminerà la maggior spinta ad entrare nell'associazione. D'altro la­to, con l'obbligo della pubblicità verrà meno la comoda posizione di privilegio sinora goduta dalla massoneria, per cui fruiva insieme dei vantaggi della segretezza e di quelli del riconoscimento di fatto per parte della autori­tà e della pubblica opinione. Essa dovrà d'ora in poi sciogliersi. O mettersi in regola con la legge, cioè render noto tutto ciò che essa ha voluto e potuto finora tener così profondamente celato (ed è presumibile che l'ana­cronismo dei simboli e dei riti e del cerimoniale, di cui essa si compiace, non potrebbe resistere, una volta re­so di pubblica ragione, all'onda del ridicolo), nel quale caso essa dovrà sottostare al continuo controllo pubbli­co e dell'autorità. O rassegnarsi ad entrare totalmente nell'ombra, e a condurre una esistenza illegale, con tutte le conseguenze derivanti dal porsi fuori dalle leggi dello Stato. 
La Commissione deve però avvertire che c'è un lato, e certo non meno pericoloso, dell'attività della masso­neria, che i rimedi legislativi ora proposti non riguarda­no se non in minima parte: l'attività massonica internazionalista ed i rapporti della massoneria italiana con le massonerie degli altri paesi. La prima sarà veramente posta nella impossibilità di nuocere alla politica nazio­nale solo quando si sarà riusciti a recidere i legami che stringono la setta alla massoneria universale. Ma. per ot­tenere ciò non basta colpire la massoneria unicamente dal punto di vista della segretezza, ossia come società segreta; occorre colpirla anche dal punto di vista dell'in­ternazionalismo, ossia come società internazionale. Qui è forse il pericolo più grave e il problema più delicato. La Commissione ne rimanda lo studio a quando passerà ad occuparsi dell'altro quesito sottoposto al suo esame, relativo ai rapporti fra lo Stato nazionale e i partiti in­ternazionali. Ma non esita ad affermare che qualsiasi mezzo di difesa dello Stato contro l'attività dei partiti internazionalistici sarebbe insufficiente e inadeguato al­lo scopo, se non fosse tale da riguardare e comprendere anche l'attività della setta massonica, che in sé riassume tutti i peggiori elementi e caratteri dell'intrigo e della corruzione dentro e fuori i confini della patria. 

Schema di decreto 

Art. 1. — Le Associazioni, enti ed istituti costituiti ed operanti nel Regno sono obbligati a comunicare all'auto­rità di pubblica sicurezza l'atto costitutivo, lo Statuto e i regolamenti interni, l'elenco nominativo delle cariche sociali e dei soci, e ogni altra notizia intorno alla loro organizzazione ed attività, tutte le volte che ne vengano richiesti dalla autorità predetta per ragioni di ordine o di sicurezza pubblica. 

L'obbligo della comunicazione spetta a tutti coloro che hanno funzioni direttive e di rappresentanza delle associazioni, enti ed istituti, nelle sedi centrali e locali, e deve essere adempiuto entro due giorni dalla richiesta. 

I contravventori sono puniti con l'arresto non infe­riore a tre mesi e con l'ammenda da lire duemila e sei­mila. 

Qualora siano state date scientemente notizie false ed incomplete, la pena è della reclusione non inferiore ad un anno, e della multa da lire cinquemila a trentamila, oltre l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. 

In tutti i casi di omessa, falsa o incompiuta dichia­razione, le associazioni possono essere sciolte con de­creto del Prefetto. 

Art. 2. — I funzionari, impiegati ed agenti di ogni or­dine, dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, o di un istituto sottoposto per legge alla tutela dello Stato, della Provincia, o dei Comuni, non possono appartenere, nep­pure in qualità di semplice socio, ad associazioni, enti ed istituti costituiti ed operanti in modo clandestino o occulto, o i cui soci sono comunque vincolati dal segre­to, sotto pena della destituzione. 

I funzionari, impiegati ed agenti attualmente in ser­vizio debbono ottemperare alle disposizioni della pre­sente legge entro quindici giorni dalla sua pubblicazione. 

Art. 3. — La presente legge andrà in vigore il giorno della sua pubblicazione nella « Gazzetta Ufficiale del Regno ». 

Relazione che accompagna il testo del decreto contro le associazioni segrete 

« A tutti è nota la parte che, nel moto del risorgimen­to italiano, ebbero le Società e sette segrete. Il giudizio sul contributo che dettero al movimento nazionale appartiene alla storia. Certo è che, se poteva ritenersi giu­stificata l'esistenza e l'attività di associazioni occulte in tempo di servitù, come mezzo di lotta del popolo iner­me contro lo straniero, tali società avrebbero dovuto sparire o trasformarsi il giorno in cui, conquistata l' in­dipendenza e l'unità, divenne lecita, anzi meritoria ogni forma di attività intesa ad elevare e diffondere lo spiri­to nazionale. Accadde invece il contrario e le libertà in­terne sancite dallo Statuto e smisuratamente, e diremo quasi illimitatamente allargate dalla pratica costituzio­nale del nuovo Statuto italiano, furono incitamento e motivo di una sempre crescente diffusione delle associa­zioni costituite ed operanti in modo clandestino ed oc­culto, a cui accorsero in folla, così i malcontenti e i de­lusi del nuovo ordine di cose, come tutti coloro che cer­cavano di far la propria strada col massimo dei vantaggi e il minimo dei rischi. Fenomeno che spiacque ai più grandi uomini del Risorgimento i quali considerarono le sette e società segrete come un male necessario, frutto del dispotismo e della servitù, e destinato a scomparire con questi. Arma legittima dove non è patria e libertà, scriveva Mazzini, esse possono essere sciolte dalla Na­zione che abbia conquistato la sua patria e la sua libertà. Se l'associazione, aggiungeva, deve realizzare un più alto progresso, deve sottomettersi al giudìzio di tutti. 

Ora, qualsiasi specie di società occulta, anche se, in ipotesi, il suo fine sia eticamente e giuridicamente lecito, è da ritenersi, pel fatto stesso della segretezza, incompa­tibile con la sovranità dello Stato, e la eguale libertà dei cittadini di fronte alla legge. La libertà politica consiste nella facoltà, che le leggi limitano per poterla meglio ga­rantire a tutti, di parlare e di agire in pubblico per il proseguimento di fini che siano o si presumano utili alla collettività. Chi pretende parlare ed agire in segreto, si 

per asservirne a interessi o a finalità ignote o inconfes­sabili il programma, per deviarne lo spirito, per con­trollarne o carpirne le deliberazioni; per tradirli, infine tutti e ciascuno; fino a che insomma ogni partito potrà temere e sospettare, e troppo spesso non invano, di ave­re, senza saperlo, il nemico nelle proprie fila. 
Ma uno dei maggiori pericoli delle Associazioni ope­ranti in modo clandestino ed occulto è il loro diffondersi tra i pubblici impiegati e persino tra i magistrati e gli uf­ficiali dell'Esercito e della Marina. Non è chi non vegga quanto sia pernicioso e. diremmo quasi fatale per l'auto­rità dello Stato all'interno e la indipendenza dall'estero, questo sovrapporsi di una gerarchia privata ed occulta alla gerarchia statale e pubblica. La libertà esterna, cioè l'indipendenza dallo straniero, conquistata a sì caro prezzo e a sì caro prezzo mantenuta, viene gravemente minacciata da questa penetrazione nei più delicati con­gegni dello Stato di associazioni occulte, sottratte ad ogni forma di vigilanza e di controllo, bene spesso aven­ti all'estero i centri di direzione e di influenza. Una si­mile condizione di cose non può essere a lungo tollerata. Nessuna persecuzione, nessun divieto di alcun genere, nessuna limitazione del diritto di associazione. Solo ob­bligo, a tutte le associazioni, come avviene nei paesi più civili, di agire palesemente. 

Questo l'intento del presente disegno di legge. Il qua­le vuole raggiungerlo con un mezzo semplice e per nul­la affatto fastidioso: dando facoltà all'autorità di pubbli­ca sicurezza di richiedere e obbligando i dirigenti delle società, enti ed istituti costituiti ed operanti in Italia, a comunicare l'atto costitutivo, lo Statuto e i regolamenti interni, l'elenco nominativo delle cariche sociali e dei soci. Stabilendo che l'obbligo della denuncia sorga solo quando vi sia una esplicita richiesta dell'autorità, si evita di imporre a tutte le società le quali già esistono ed agiscono pubblicamente, l'onere di una formalità inutile. 

Con l'art. 2 si provvede a tutelare lo Stato contro il pericolo del sovrapporsi di una gerarchia occulta alla sua gerarchia, colpendo con pene disciplinari gli impie­gati pubblici di ogni ordine, compresi quindi in prima linea i magistrati e gli ufficiali dell'Esercito e della Ma­rina, che facciano parte di società occulte. 

Con tali disposizioni, che non sono violatrici, ma tutrici della libertà dei cittadini (perché nessuna attività vietano che si svolga palesemente e sotto il controllo della pubblica opinione) il governo confida che sarà da­to nuovo e più vigoroso impulso a quella educazione ci­vile degli italiani, che è uno dei problemi fondamentali della vita nazionale ».




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