Sovranità, civiltà, identità. La Persia è il ponte levatoio sulla millenaria cultura del Sacro, che si ammira (ed invidia) dai cunicoli delle velleità occidentali. Ecco perché il rigurgitare del capoccia leghista è fuori luogo: la visita di Rohani ha avuto un'imponente portata diplomatica e (soprattutto) simbolica, riservando all'Italia - comunque irrimediabilmente oppressa dalla soggezione - un piazzamento di rilievo nel contesto geopolitico contemporaneo.
Oggettivamente, la corretta dose di fastidio, apparecchiata alla copertura delle scultoree nudità dei Musei Capitolini, è legittima. Specie da parte di chi denoti nella sudditanza verso il prossimo, la negazione delle proprie radici. Per giunta, senza che un’espressa richiesta di evitare lesioni all’altrui sensibilità, sia stata avanzata. D’altronde, però, la percezione di una manifesta inferiorità, affligge i nervi scoperti di un’Italia troppo accorta alla forma, e per nulla concentrata sulla sostanza. Ma se lo scotto da pagare – per garantirsi il privilegio di un osanna alla maestosità dei Secoli – è il deprecabile nascondere la magnificenza dell’arte, si sorvola pure sull’imbarazzo dell’irresponsabilità. Perché, più della vigliaccheria del servilismo – che poi servilismo non è, stante l’indifferenza delle istituzioni iraniane -, irrita il rimbalzo della colpevolezza. Ove Renzi, Franceschini, e la romana Sovrintendenza ai beni culturali, si contendono il protagonismo del ridicolo. Premettendo – una volta ancora – che a Rohani interessassero l’apertura di credito di Palazzo Chigi, e il desiderio del dialogo di Papa Francesco.
A sollevarli dal disagio, ci pensa Matteo Salvini, che si impantana nella laguna della sua incoerenza, e si decreta guascone della (insensata) polemica. Dal maggio 2014 – ossia, da quando ha dissotterrato i tumefatti resti della Lega Nord dal feretro dei Trota, Belsito, e Rosy Mauro -, il suo intercalare ha sconfessato la ritualità della propositiva dialettica pubblica, per assumere le sembianze di bieco interventismo d’opinione. Un rullo compressore di strafalcioni, da far impallidire persino il patriarca dell’artificio retorico: quel Matteo Renzi che, a tratti, pare addirittura farsi preferire al suo principale oppositore. L’oratoria salviniana si cosparge di supporto allo Stato d’Israele, e di lotta al terrorismo – a cui il paffuto milanese dal maglione verde, accosta costantemente ed erroneamente l’Islam -. Pretendendo, altresì, che si chiudano le porte all’Iran, e non ci si confronti con l’unica regione mediorientale in grado di ridimensionare gli equilibri di quelle aree, e di tutelare l’integrità della comunità internazionale, trivellata dalle acuite tensioni tra l’Oriente e l’Occidente mondiali.
Gli affreschi della cattedrale armena di Vank, IRAN
Senza contare che, fra i territori dell’est del Pianeta, l’Iran sia il meno arabo. Salvini inconsciamente (?) contrasta ciò che vorrebbe difendere. Sovranità, civiltà, identità. La Persia è il ponte levatoio sulla millenaria cultura del Sacro, che si ammira (ed invidia) dai cunicoli delle velleità occidentali. Ecco perché il rigurgitare del capoccia leghista è fuori luogo: la visita di Rohani ha avuto un’imponente portata diplomatica e (soprattutto) simbolica, riservando all’Italia – comunque irrimediabilmente oppressa dalla soggezione – un piazzamento di rilievo nel contesto geopolitico contemporaneo. Forse, però, qualcuno deve ancora spiegarlo al Capitano (sic!).
DUBAI CITY -Si vedono solo la notte. Aspettano sedute, nelle centinaia di locali e discoteche che tengono sveglia Dubai fino al mattino. Giovanissime, alcune appena diciottenni, pelle chiarissima, corpi minuti, stretti in jeans attillati e vestiti cortissimi. Lo sguardo, nascosto dalla falsa sicurezza con cui si presentano ai clienti, è per tutte lo stesso: di paura. «Ciao come stai? Posso offrirti qualcosa da bere?» «Sono 1500 dirham se vuoi passare la serata con me». «Come ti chiami? Di dove sei?» «Nargiza, sono russa amico». I clienti li trovano così oppure direttamente negli appartamenti, su appuntamento, ma sempre al chiuso e senza dare troppo nell’occhio.
Perché negli Emirati Arabi Uniti la prostituzione, secondo le legge della sharia, è vietata e illegale: la pena è di minimo quattro anni di carcere per le donne e altrettanti per i clienti. Dubai, come la definiscono in molti, “parco dei divertimenti della penisola arabica”, è diventata una nuova rotta del traffico di donne. Arrivano dalle Filippine, dalla Cina, dall'India, ma le più richieste sono bianche provengono dall'Europa, dalla Moldavia, dalla Russia, dal Kirghizistan, e poi da Ucraina, Kazakistan, Armenia, Tagikistan, Bielorussia, Turkmenistan, Georgia, Azerbaigian.
Quantificare il fenomeno è difficile in ogni parte del mondo, ma negli Emirati i dati ufficiali cercano di celare la gravità della situazione, mentre le Ong e le associazioni in difesa delle vittime sono ostacolate e hanno bisogno di una concessione governativa per operare e per raccogliere fondi. È certo, però, che il traffico di esseri umani ha raggiunto proporzioni gigantesche ovunque, soprattutto gli Emirati ed Israele: secondo l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (l’Oim) rappresenta il terzo mercato mondiale dopo il traffico di armi e di droga, con profitti che toccano ogni anno i 13 miliardi di dollari. La tratta a fini di sfruttamento della prostituzione incide per il 79% sull’intero fenomeno del traffico di esseri umani e coinvolge ragazze sempre più giovani. Negli Emirati non è diverso: ogni ragazza russa rende tra 60mila e 80mila dollari all’anno. I clienti sono principalmente arabi, che arrivano a Dubai dall'Arabia Saudita e dagli altri paesi della penisola arabica.
Juergen Gasiecki, amministratore della chiesa ortodossa del Paese, vive negli Emirati da dieci anni: ha cercato di aprire una Ong e un rifugio protetto per le vittime, ma il Governo degli Emiri non lo ha permesso. Così lavora nell’ ombra, ma ha sotto gli occhi la tragica realtà della tratta delle ragazze russe.
Un altro dato fa chiarezza su come venga affrontata la tratta nel Paese: Dal 2006 esiste una legge contro il traffico degli esseri umani (la numero 51), ma è molto debole e, soprattutto, non fa cenno al supporto alle vittime. I trafficanti sono punibili da 5 anni alla pena di morte, ma da quando è entrata in vigore le condanne definitive si contano sulla punta delle dita: solamente sette. Al contrario, per una ragazza è quasi impossibile ricevere protezione dal Governo: se vanno alla polizia e denunciano la situazione, vengono arrestate come prostitute. Inizia così una lunga trafila, che richiede avvocati e contatti, e che nella migliore della ipotesi le porta in un rifugio protetto del Governo, più simile a un carcere che a una casa dove ricevere supporto.
Le ragazze vengono contattate da persone delle quali si fidano che promettono loro stipendi altissimi Questa donne sono vittime molto fragili.
Ma come avviene il viaggio? Che rotte segue? Malika Matchanova lavora per l’Oim di Tashkent: Quasi sempre i trafficanti usano passaporti falsi e a tutte viene promesso uno stipendio di 1000-2000 dollari al mese. Se hanno contratto dei debiti, anche dopo averli ripagati, sono costrette a prostituirsi ancora oppure i trafficanti le vendono ad altre organizzazioni. E' un circolo vizioso, senza una fine». «Un giorno ero al lavoro – racconta una di loro - e non ho più trovato il passaporto, mi è sparito. I miei datori, allora, mi dissero che mi avrebbero aiutata ad andare a Dubai: una città ricchissima, dove lavorando in un ristorante avrei guadagnato molto di più. Mi hanno detto che avrebbero pensato loro a tutto, anche a procurarmi un nuovo passaporto». Dinara si è presentata all'aeroporto di Tashkent, una mattina all’alba: le è stato dato un biglietto aereo di sola andata e un falso passaporto kazako. Così è partita, insieme al suo datore di lavoro, che l'ha accompagnata fino a Dubai. Una volta atterrata, è stata consegnata ad altri uomini. «Appena arrivata – prosegue - mi hanno portata in un appartamento dove vivevano molte altre ragazze. Qui eravamo controllate da un’altra donna. Nelya, questo il nome della mia sfruttatrice, si è avvicinata e mi ha detto subito: bene, da oggi dovrai lavorare come prostituta. Io le dissi che ci doveva essere un malinteso, che i miei datori di lavoro mi avevano assicurato un lavoro come cameriera. E lei mi svelò la verità: ero stata venduta proprio da loro, per 15.000 dollari».
Dinara non aveva scelta e ha cominciato a lavorare come prostituta. I clienti la sceglievano direttamente nella casa in cui viveva con le altre ragazze: «Se mi lamentavo venivo picchiata, regolarmente – racconta -, porto ancora le cicatrici delle botte sul mio corpo». A un certo punto si è resa conto che chi non si ribellava poteva stare fuori con i clienti anche una notte intera. Era quella l'unica possibilità per fuggire. Un giorno un cliente indiano l'ha richiesta e Dinara gli ha raccontato tutto: «Non avevo nulla da perdere – dice oggi -. Sono stata fortunata, ho incontrato un uomo molto buono: mi ha subito portata a casa di un suo amico e sono stata nascosta lì, per molti mesi. Poi con l'aiuto della Chiesa ortodossa di Abu Dhabi e dell’Oim in Uzbekistan sono riuscita ad avere il mio passaporto e tornare a casa».
La maggior parte delle ragazze, peró, non riesce a sottrarsi dalla schiavitù. Come Nargiza, appena 19 anni, anche lei uzbeka. Ha provato a chiedere aiuto a un cliente tedesco che per la sua libertà ha pagato perfino 5mila euro alla donna che la controllava, ma non è servito a nulla: Nargiza la sera è ancora lì, seduta al bancone nella discoteca di un noto hotel della città vecchia. E spesso ci sono anche bambini, nati negli Emirati, da violenze o da rapporti sessuali non protetti. Lo scorso anno Juergen e Lena ne hanno assistiti 13, insieme alle loro mamme. La gravidanza fuori dal matrimonio è illegale nel Paese, così come l’aborto. «Da me vengono in media due o tre donne al mese: mi dicono che sono incinte e non sanno che fare - spiega la dottoressa Shashikala, che si è trasferita a Dubai cinque anni fa dall’India e ha un piccolo studio medico a Karama, un quartiere popolare della città -. Il Governo non offre supporto di nessun genere e associazioni che si occupano di questi problemi non ce ne sono.
La castrazione chimica è un tipo di castrazione, solitamente non definitiva, provocata da farmaci a base di ormoni, indirizzata alla riduzione della libido e dell'attività sessuale. Il farmaco più in uso attualmente è il medrossiprogesterone. Agisce sul cervello inibendo gli ormoni che stimolano i testicoli alla produzione di testosterone.
La castrazione chimica su base volontaria, è una realtà in 8 Stati degli USA, dov’è in vigore dal lontano 1997. Stesso discorso per il Canada, che consente ai condannati per pedofilia di ricorrere al trattamento farmacologico che riduce i livelli di testosterone.
In entrambi i Paesi, per i responsabili di crimini sessuali che accettano di sottoporsi al trattamento farmacologico con l’uso di sostanze che annullano il desiderio sessuale alcuni Stati consentono una riduzione della pena.
Attualmente la castrazione chimica è praticata anche in alcuni Paesi europei, tra i quali Russia, Svezia,Danimarca, Gran Bretagna, Germania Spagna e Francia, Norvegia, Polonia.
In Germania addirittura viene applicata – sempre su base volontaria, dopo una perizia medica e solo su uomini che hanno superato il 25° anno di età – dal 1969.
In Danimarca la legge, in vigore dal 1973, permette al colpevole di scegliere tra lo scontare la pena in carcere, abbinata a terapie psicologiche, e la castrazione chimica. Chi si sottopone al trattamento beneficia della libertà anticipata o di uno sconto di pena.
La Svezia l’applica dal 1993, e solo con il consenso dell’interessato e se quest’ultimo è suscettibile di diventare recidivo. Chi sceglie di sottoporsi al trattamento farmacologico riceve riduzioni di pena e benefici.
Anche in Spagna la castrazione chimica può essere applicata su base volontaria per i recidivi di violenze sessuali.
Le misure più restrittive nei confronti di coloro che commettono reati sessuali sono state decise in Francia nel 2007, dopo un fatto di cronaca che scosse l’opinione pubblica: un pedofilo, condannato già diverse volte per abuso su minori, appena uscito dal carcere venne nuovamente arrestato per aver stuprato un bambino di 5 anni. Anche in Francia la castrazione chimica è volontaria: può scegliere di sottoporvisi il reo, se giudicato pericoloso e a rischio recidiva.
In Gran Bretagna, dove lo stupro è punito con pene che possono andare dai 5 anni all’ergastolo, la castrazione chimica come opzione volontaria per coloro che sono stati condannati per reati sessuali contro i minori, è stata introdotta nell’ordinamento giuridico nel 2008. La legge prevede,qualora il condannato accetti di sottoporsi al trattamento, l’utilizzo di farmaci che riducono il livello di testosterone.
Pedofili e stupratori si possono veramente fermare con la castrazione chimica, come invocano Salvini e la Lega Nord (l'unica proposta di legge a riguardo fu presentata anni fa proprio dal leghista Calderoli), insieme ad altri esponenti del centrodestra come Alessandra Mussolini, che nel caso fosse applicata in Italia avrebbe potuto vederla applicata nei confronti del marito? Inibire chimicamente soggetti che si sono macchiati di crimini contro bambini e donne, risolve il problema?
Per attuare la castrazione chimica che mira a provocare atrofia testicolare si ricorre a due ormoni di sintesi, il leuprorelin (enantone) o il depo-provera (medroxyprogesterone), prevalentemente usati il primo per il trattamento del cancro prostatico ed il secondo come anticoncezionale. Entrambi i farmaci bloccano la produzione da parte della ghiandola ipofisi dell’LH, ormone luteinizzante, che normalmente stimola la funzione testicolare. Pertanto, in assenza di questo stimolo ormonale ipofisario i testicoli rimpiccioliscono e cessano di produrre il testosterone, con scomparsa del desiderio sessuale». Uno dei problemi di fondo è che la sessualità dell’uomo non è soltanto un fatto ormonale, permeata com’è da una quota psichica non testosterone-dipendente condizionata dal costume, dalla famiglia in cui il violentatore è vissuto, dalle sollecitazioni ambientali e mediatiche. Esiste pertanto il concreto pericolo che il soggetto in trattamento “si vendichi” della castrazione che la società gli ha imposto e, proprio perché privato del desiderio sessuale, infierisca in altro modo sulle sue vittime. Proprio l'aspetto più importante, la componente psichica, non è tenuta molto in conto dai fautori della castrazione chimica.
L'assunzione di sostanze per la castrazione chimica, incide negativamente sulla libido fintanto che la cura sussiste, per poi cessare ogni effetto in seguito alla sospensione della terapia. Da qui la necessità di affiancare un trattamento diverso, d'ordine psicologico e psicoterapeutico. Una seconda questione, investe proprio gli aspetti psico-motivazionali. Negli Stati Uniti una persona giudicata pericolosa o malata in questo senso può scegliere, in alternativa alla detenzione, un iter di riabilitazione che prevede sia l'intervento farmacologico sia la psicoterapia. La scelta dunque è solo parzialmente libera, poiché potrebbe essere una scelta di comodo, effettuata solo per abbreviare la detenzione. Gli psicologi che effettuano la psicoterapia sanno benissimo quanto conti, ai fini della riuscita della stessa, la motivazione personale al cambiamento che, in questo caso, sarebbe molto debole e solo strumentale all’evitamento del carcere. Nei Paesi dove la castrazione chimica è stata introdotta viene applicata come una pratica volontaria, perché oltre al problema di ammettere un trattamento sanitario obbligatorio come pena, c'è anche l’evidenza che la sua efficacia nella diminuzione della recidiva della violenza sessuale è stata rilevata come molto modesta. Pensare di forzare qualcuno alla castrazione chimica è difficilmente concepibile, tanto più che è possibile contrastare gli effetti del farmaco con sostanze antagoniste facilmente reperibili o farmaci che favoriscono l'effetto contrario, come ad esempio il Viagra o il Cialis. L’efficacia del trattamento è quindi difficilmente ipotizzabile in caso di volontà contraria del condannato.I pedofili molto difficilmente sono suscettibili di terapie, per cui non “guariscono” mai dal loro disturbo, perché è impossibile cambiare clinicamente le tendenze e le devianze sessuali. La castrazione, inoltre, può avere effetto solo per un periodo determinato e, una volta terminati gli effetti, nessuno garantisce la non recidività del soggetto. Ogni singolo pedofilo che si è reso colpevole di abusi sessuali a danno di bambini indifesi è vittima di gravi e incurabili devianze psicologiche ed egli stesso è vittima di atteggiamenti impossibili da prevenire e modificare, pur dopo una forte terapia ormonale. Esistono poi persone perfettamente coscienti, ma amorali e semplicemente incapaci di resistere ai loro più bassi istinti, che commettono reati sessuali e che non trarrebbero alcun beneficio dal trattamento chimico. Il vecchio sano carcere duro sembra attualmente ancora la migliore cura per queste devianze.
Quando una immigrazione selvaggia travolge una società, come sta accadendo nell' occidente americanizzato, il pericolo di stupri lo devi mettere in conto, indipendentemente da questioni che riguardano la razza o la religione. Dobbiamo però riconoscere che c'è una componente particolare nella cultura araba, non generalmente Islamica, nell'Islam esistono visioni diverse e interpretazioni diverse della religione, dovute anche a fatti culturali, ed etnici, basta guardare l'Iran e l'Arabia Saudita ed osservare il ruolo totalmente diverso della donna nella società e io aggiungerei anche la tolleranza verso le altre fedi. Ricordiamo anche che il Mullah Omar, che pur rappresenta un Islam quattrocentesco, si distinse per la durezza con cui reprimeva lo stupro, nei villaggi dove una donna veniva stuprata, il Mullah si presentava, prendeva lo stupratore che finiva velocemente appeso ad un palo nella piazza principale. Gli Afghani e gli Iraniani non sono Arabi. Ricordiamo quello che è accaduto nel 2013 in Piazza Tahrir, alle reporter di France 2 e Cbs, e ad una incauta turista olandese. Quindi c'è sicuramente nel mondo arabo, come in altre realtà, penso all'India, una certa propensione allo stupro di massa. Con questo non voglio dire che tutti gli Arabi sono uguali, ma è un fatto di cui occorre tenere conto. Anche i fatti accaduti nel territorio dello Stato Islamico sono elementi di valutazione. C'è un altro fatto da aggiungere, basta andare alla memoria di quanto è accaduto in Italia con l'ingresso di centinaia di migliaia di romeni, gli stupri si sono moltiplicati, è il risultato del fatto che l'elemento sessuale è una componente importante nella vita delle persone, si badi che con questo non voglio essere giustificativo di alcunchè, ma solo dire che tecnicamente nella gestione di un fenomeno migratorio importante che riguarda centinaia di maschi adulti, chi governa o dovrebbe governare, questi flussi dovrebbe tenerne conto. Quando pretendi di governare un fenomeno, tenevi tenere conto delle ricadute che questo ha nella società reale.
Ad esempio con l'entrata della Romania nell'area Schengen nel 2007, centinaia di migliaia di cittadini romeni sono entrati in Italia, tanto che già nel 2008 la comunità romena con 796.477 si classifica come prima comunità straniera sul territorio nazionale, nel 2008 saliva a 887.763 presenze. Nel 2007 è stato registrato un aumento dei casi di stupro addirittura del 5% rispetto al 2006, da 4.821 a 5.062 episodi. Roma ad esempio ha fatto registrare un picco del 13 % in più nel 2007, con 339 delitti, il 24 % ad opera di romeni e nel 3 % dei casi da egiziani. Non era prevedibile tutto ciò? certo che lo era. L'applicazione del trattato di Shengen doveva prevedere step differenti, un piano triennale di applicazione, ci sarebbe stata una integrazione migliore e ci saremmo risparmiati parecchi dolori. La cosa non riguarda solo i casi di stupro ma anche una variegata tipologia di reati. Nel 2007 a Roma su 3577 stranieri arrestati i rumeni erano stati 2.689.
Secondo i dati di uno studio dell' ONU, la Romania era tra i Paesi europei quello con l’indice più alto di violenza alle donne, con 2226 casi nel 2003 e 2198 nel 2004, Ogni anno in Romania, soprattutto in campagna, migliaia di donne anziane o minorenni venivano stuprate e percosse. Questo lo dico senza odio verso la Romania, di cui apprezzo paesaggio, storia e cultura. Non si possono fare leggi, in alcun settore che poi abbiano una ricaduta selvaggia sulla realtà sociale. E chi sbaglia se ne deve andare, e i popoli devono arrivare a capire quale è il rapporto causa ed effetto delle decisioni di chi governa e tornare a presentargli il conto. Esercitiamo la memoria anche ricordando che la più importante sanatoria di immigrazione irregolare della storia della Repubblica Italiana fu fatta con la legge 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota come Bossi-Fini. Furono regolarizzati 700.000 clandestini.
Il sistema naturale Italiano di organizzare le autonomie è quello che da sempre è esistito, municipia e provinciae, e ha dimostrato di funzionare nei secoli, i comuni e le province. Storicamente "l'idea regionale" ha radici nell'Ottocento, in quei movimenti di pensiero d'epoca risorgimentale facenti capo ad Antonio Rosmini, a Vincenzo Gioberti e a Carlo Cattaneo. Mazzini stesso nel 1861 sostenne l'esigenza di riconoscere la Regione quale ente intermedio fra la Nazione e il Comune, precisando che l'unitarietà non doveva identificarsi necessariamente con l'accentramento. Ma fu nel primo dopoguerra che, soprattutto da parte di Luigi Sturzo, si riaccesero i riflettori su tale problematica. Per la dottrina dello Stato fascista è l'autorità dello Stato sovrano, che ha fini superiori a quelli degli individui e dei gruppi e che la sua sovranità (in vista degli interessi supremi e collettivi della Nazione) esso deverigorosamente e indefessamente attuare. "La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni". Nel secondo dopo guerra con articolo 114, ora modificato dalla riforma costituzionale del 2001, i costituenti vollero introdurre nella Costituzione le Regioni, come nuova ripartizione territoriale della Repubblica in aggiunta alle due già esistenti delle Province e dei Comuni. Il progetto cosi' come proposto, trovò l'avversione di Togliatti il quale rilevava come ci si trovasse di fronte ad un complesso di norme che, lungi dall'essere coerenti, erano, anzi, "contradittorie" e "ridicole", osservando in esse "un difetto fondamentale": rimanevano tracce profonde di federalismo mentre non esisteva il decentramento poiché si finiva con l'appesantire "in modo molto grave" l'apparato amministrativo. Anche il discorso di una autonomia finanziaria regionale preoccupava non poco il dirigente comunista per "il pericolo di creare una divisione economica fra le singole Regioni". Anche Benedetto Croce mostrò tutta la sua contrarietà per uno sconvolgimento dell'ordinamento giuridico che suscitava «il gran dolore di chi, come noi, crede che il solo bene che ci resti intatto degli acquisti del Risorgimento sia l'unità statale che dobbiamo mantenere saldissima se anche nel presente non ci dia altro conforto (ed è pure un conforto) che di soffrire in comune le comuni sventure.Togliatti stesso vide il pericolo di "tanti piccoli Staterelli" in lotta l'un contro l'altro per contendersi le risorse del Paese. Per Nitti «L'autonomia regionale è intesa, in fondo, come un distacco di cui si possono avere tutti i vantaggi della unità senza il peso. Presto o tardi, potete essere sicuri, si arriverà alla separazione, e voi, che siete più giovani di me, ne vedrete le terribili conseguenze. La Regione autonoma, con amministrazioni basate sulla proporzionale, non può sboccare che nella diffidenza, e la diffidenza non può sboccare che nella difficoltà della convivenza. (.) L'Italia non può avere che un nome, un'anima unica nazionale. Noi non possiamo rompere il nostro paese in pezzetti e governarlo con l'assurdo delle Regioni e poi sprofondare le Regioni nelle lotte e nelle diffidenze delle proporzionali». Nel gennaio 1970 si apre il dibattito sui provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario. Nel dibattito parlamentare fu Almirante a caratterizzarsi come decisamente contrario, " Perché? Perché le regioni tanto più costeranno quanto più saranno politicizzate; tanto meno costeranno quanto più rappresenteranno o potranno rappresentare o potrebbero rappresentare (poiché la mia credo sia ormai una vana illusione) degli organismi meramente amministrativi. L'articolo 15, sia attraverso il congegno della delega, sia e soprattutto attraverso l'abrogazione, improvvisa e improvvisata con enorme leggerezza, dell'articolo 9 della legge n. 62 del 1953, è esattamente l'articolo che politicizza al massimo, che autonomizza al massimo ma in senso politico, vorrei dire, con brutto neologismo, che «sovranizza» al massimo, sino a trasformare lo Stato in uno Stato federale, le regioni a statuto ordinario." Il 2002 e stato l'anno della concreta attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. La cessione di sovranità che è avvenuta a favore delle Regioni, sulla base della nuova suddivisione delle funzioni legislative tra stato centrale e periferico ha aperta la forbice che sta ora dilaniando i rapporti tra il governo (Renzi arriva dopo Berlusconi, Letta, Monti e Prodi) e i governatori. Tutti si sono trovati a fare i conti con una situazione sempre più precaria dal punto di vista dei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sono proprio questi gli anni (dal 2001 ad oggi) in cui, non sarà un caso, il debito pubblico italiano è passato da 1.620 miliardi di euro (solo il 108% del Pil) a oltre 2.160 miliardi (più del 133% del Pil): in termini assoluti, 540 miliardi in più, uno score catastrofico.Eppure basta rileggersi con attenzione l'articolo 117 della Costituzione, novellato proprio da quella revisione di inizio millennio, per capire che si sarebbe andati a sbattere. È lunghissima e piena di ricadute finanziarie la lista delle cosiddette materie "di legislazione concorrente" e cioè di competenza esclusiva delle Regioni, un mare magnum che soffoca ogni logica senza un adeguato sistema di controlli ex ante della spesa e un analogo potere impositivo territoriale. La lista dei poteri ''devoluti'' offre un'idea compiuta della mostruosità economica e forse anche giuridica di una tale riforma. Si tratta di rapporti internazionali e con l'Unione europea; commercio con l'estero, tutela e sicurezza del lavoro; istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale); professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Gran parte di queste mansioni va gestita con i soldi dello Stato centrale. Un'assurdità. Le regioni si sono rivelati mega-organismi dai piedi (e dai bilanci) d'argilla. Questo al netto delle inchieste che hanno interessato molti consigli regionali. Lo Stato è diventato una Ferrari che deve consumare come una Panda, il sistema delle Regioni è l'esatto contrario. La benzina è la stessa e sta finendo per tutti. Abbiamo così, non uno ma oltre 20 parlamenti, fonte di sprechi, favori, clientele e privilegi. Le regioni si sono trasformate come previde Togliatti in "tanti piccoli Staterelli" in lotta l'un contro l'altro per contendersi le risorse del Paese, dove spesso, come temeva Almirante, attecchisce il germe della "sovranizzazione", e come ebbe a prevedere Nitti, "Presto o tardi, potete essere sicuri, si arriverà alla separazione", avaporerà così " il solo bene che ci resti intatto degli acquisti del Risorgimento", come Del Noce affermava, l'unità statale. Oggi infatti La Lombardia governata da Maroni della Lega Nord per l'Indipendenza della Padania invoca lo statuto autonomo, una pazzia. Il Veneto governato da Luca Zaia dello stesso movimento separatista, invoca l'indipendenza del Veneto.
Centomila firme affermano i leghisti sono state raccolte per l'indipendenza del Veneto nei gazebo allestiti dalla Lega nella regione. Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, ha ringraziato: "La Lega c'è, la Lega corre. Quest'anno - ha chiosato - ci saranno i referendum per l'indipendenza in Catalgona e in Scozia, e io spero che il Veneto faccia da apripista in Italia".
Nel linguaggio e nei metodi usati dagli esponenti della Lega Nord per l'indipendenza della Padania si intravede il fomento dell'odio nei confronti dei fratelli, nei confronti dei simboli dello Stato, la sua capitale Roma, (poi abbiamo visto che i ladroni si trovano ovunque) la sua Bandiera il Tricolore. L'attuale segretario della Lega Nord per l'Indipendenza della Padania è venuto per la prima volta alla ribalta della cronaca perchè agitatore delle notti alcoliche dei Giovani Padani, usi a bruciare Tricolori, con coretti da stadio che inveiscono contro i Napoletani " Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i Napoletani".Oggi fa l'indossatore di mode di stagione. L'on Grimoldi, segretario nazionale (sic) della Lega della Lombardia quando rivendica fondi lo fa attaccando altri progetti che si realizzerebbero altrove, è una politica. . Le sante milizie che i Comuni della Lega Lombarda strinsero intorno al Carroccio, in una volontà di Vittoria, in un voto di morte, rivissero popolando di Eroi le desolate nudità del Carso, le contrastate rive del Piave, le aspre giogaie trentine. Sul giuramento di Pontida, la Patria riconiò il nuovo patto di fede. A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà, affinché, nelle officine e nei campi e fra il popolo si imparasse a mortificare e a cancellare lo spirito settario, nel nome d'Italia. Legnano fu grande, perché assai grande era l'Idea di Roma, sede del pensiero universale, erede del passato di gloria, tempio della preghiera, di quella che da diritto agli uomini di elevarsi fino a Dio. Grazie prof. Miglio le regioni vanno abolite, e non abbiamo davvero bisogno di creare altri mostri.
E' il primo gennaio 2002, l'anno della nascita dell'euro e della attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. Se l'avvento della moneta unica ha segnato una costante devoluzione dei poteri economico-monetari dello Stato alle istituzioni comunitarie, la stessa cessione di sovranità è avvenuta in contemporanea a favore delle Regioni, sulla base della nuova suddivisione delle funzioni legislative tra stato centrale e periferico. Negli anni (dal 2001 ad oggi) , non sarà un caso, il debito pubblico italiano è passato da 1.620 miliardi di euro (solo il 108% del Pil) a oltre 2.160 miliardi (più del 133% del Pil): in termini assoluti, 540 miliardi in più, uno score catastrofico.
Abbiamo delegato funzioni cruciali del vivere sociale a mega-. organismi dai piedi (e dai bilanci) d'argilla. lo Stato è diventato una Ferrari che deve consumare come una Panda, il sistema delle Regioni è l'esatto contrario. La benzina è la stessa e sta finendo per tutti.
Andiamo verso due altre regioni che pretendono uno statuto speciale e l'altra l'indipendenza
Il programma punta ad aumentare tra i ragazzi il senso civico per «il destino della nazione» e a innalzare «i livelli di coesione sociale». In questo ambito, uno dei terreni d’azione sarà l’impegno per incrementare «il prestigio delle forze armate», anche questo finalizzato a «instillare nelle giovani generazioni la voglia, sia dal punto di vista fisico che psicologico, di difendere la madrepatria e sviluppare un senso di orgoglio e profondo rispetto per la bandiera, lo stemma e l’inno nazionale».
I nuovi finanziamenti riguarderanno il prossimo quinquennio e ammontano a1,7 miliardi di rubli, più o meno 25 milioni di euro, che sarannocoperti dal bilancio federale. L’ultimo piano, quello2011-2015, era stato finanziato con777 milioni di rubli. Il programma è partito nel 2001, ovvero alprimo mandato di Putin da presidente della Federazione russa. Sarà il ministero dell’Istruzione e della Scienza a occuparsi dell’applicazione pratica del piano, in piena collaborazione però con il ministero della Difesa e con quello della Cultura.