“Hanno
inventato il termine
stalinismo.
Ma non c’è mai
stato
nessuno stalinismo.
Fu
un’invenzione di Krusciov
per
attribuire a Stalin quelli
che
sono invece i caratteri
fondamentali
del comunismo,
le
sue colpe congenite.
In
realtà aveva già detto tutto
Lenin”.
Aleksander
Solzenicyn
Premessa
Fu
Lenin per primo a teorizzare e praticare il terrore al potere, nel
1922, in occasione della preparazione del codice penale
sovietico scriveva: “Il tribunale non
deve eliminare il terrore, prometterlo significherebbe ingannare
se stessi e ingannare gli altri; bisogna giustificarlo,
e legittimarlo sul piano dei principi, senza
falsità e senza abbellimenti”. In Lenin, come in una
matrioska russa, c’è già Stalin. Per il gulag, si è cercato di negare le
responsabilità all’ideologia
ed al sistema che lo hanno generato addossandone
la colpa a un loro momento e a un loro
rappresentante, ecco l’invenzione dello “stalinismo".
E’ curioso notare che il filosofo tedesco
Habermas usi la reticente e vaga definizione di
“espulsione” per lo sterminio staliniano dei kulaki che risale
agli anni Venti, ed è a tutti noto che i kulaki nonfu rono
semplicemente evacuati, ma proprio massacrati. Quando
Luigi Berlinguer ricoprì l’incarico di Ministro della
Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, emanò
curiose circolari sull’insegnamento della storia del
Novecento che eludono l’uso della parola comunismo, preferendo
definizioni come stalinismo o sovietismo, questo
suscitò una vivace polemica (si veda il libro Sostiene
Berlinguer, con testi di Abbruzzese, De
Michelis
e Galli della Loggia che contiene anche una ricca
appendice che riproduce i documenti ministeriali oggetto
di critiche), continua il “depistaggio stalinista” denunciato
da Solgenitsyn in Voci sotto le macerie. I vari
comunismi sparsi nel mondo e lungo l’arco del secolo sarebbero
dunque tutti surrogati, forme abusive di comunismo,
illusioni ottiche, disguidi e tradimenti. Il comunismo
resta così una magnifica promessa nell’alto dei
cieli che non si è ancora incarnata nella storia. E’
pertanto indispensabile per una comprensione compiuta del
comunismo ripristinare l’unità ideologica e la
continuità storica del comunismo, a partire da Lenin.
Non si
comprendono nè Stalin, né Mao, né Gramsci e
nemmeno Gorbacev se non si parte da Lenin e non
si restaura il senso di una continuità. Non si
comprendono le espressioni multiple del comunismo mondiale
se non si riannoda quel filo. Ma più
vastamente non si comprende il secolo delle
rivoluzioni se non partendo dalla scintilla, Iskra,
scintilla si chiamava, appunto, la rivista da cui
partì la rivoluzione, che Lenin accese nel 1903.
Iskra
Non c’è
frattura tra il leninismo e l’idea di egemonia in
Gramsci, ma prosecuzione coerente in ambito occidentale della
pretesa leninista di guidare la storia e le masse,
incarnando lo spirito del tempo e sostituendo ogni
altra aspirazione in ogni sfera pubblica e privata, a cominciare
dalla religione.
Ma non
c’è frattura nemmeno tra il leninismo e il gulag, prosecuzione coerente
della rivoluzione e del terrore che ebbero in
Lenin il primo convinto interprete, non solo ideologico. Non si
tratta di demonizzare il comunismo, e di caricare sulle
sue spalle il peso dei mali della modernità, si tratta, all’inverso,
di riconoscerne la portata e la grandiosa incidenza nella
storia. Si tratta di prendere sul serio il comunismo.
L’idea
di sopprimere la realtà, di estirpare la storia vera e
di abolire la società presente, la responsabilità degli
esiti dolorosi non può essere attenuata, nè attribuita alle
circostanze o all’infame corso degli eventi. Laddove
alcuni ritengono di cogliere il titolo di nobiltà del totalitarismo
comunista, si annida al contrario il suo punto di
inarrivabile crudeltà: l’idea dell’abolizione della storia, il sogno
di una umanità mai nata e una società mai realizzata che
nega radicalmente l’umanità concreta e la società vivente, è già
il cuore del male totalitario allo stato puro, non dunque degradazione
di principi, ma perfetta conseguenza di essi. Possiamo accettare la distinzione di Giovanni XXIII
tra l’errore e gli erranti e cioè di quanti al comunismo
credettero in buona fede, a volte dedicandogli la loro
vita e la loro passione intellettuale e civile. Anche
le cause peggiori possono attirare gli uomini migliori. C’è
una’antica parentela tra angeli e demoni. La
sensazione di vivere in un inferno, genera disperanti speranze
in altri inferni prossimi venturi, in cui si rovesciano
le parti, e dannati e carnefici si scambiano i ruoli. Le
utopie inoltre attraggono spesso nobili intelligenze e cuori disperati,
tra i primi non sarà difficile trovare intellettuali che al
comunismo credettero, salvo poi ricredersi e rovinare la loro
esistenza per quel loro ravvedimento, tra i secondi non
sarà difficile individuare le grandi masse di dannati della terra
che affidarono al sogno di redenzione del comunismo le loro
speranze di riscatto sociale, di dignità e di un radioso futuro
per i loro figli ed il loro risentimento, la loro voglia di far
scontare agli sfruttatori le sofferenze che avevano subito. L’espiazione,
un’antica categoria religiosa introdotta nella storia,
spiega una delle spinte psicologiche del comunismo.
Sul
piano storico e negli assetti sociali, il comunismo è
stato in alcuni Paesi un grande liquidatore di società arcaiche
premoderne, e un grande traghettatore verso la modernizzazione
capitalistica, quasi un taxi con tassametro impazzito
(con costi esorbitanti) che ha trasferito le masse dalle
comunità tradizionali alla società globale.
A partire dalla
Russia zarista, dove la rivoluzione comunista è stato un
corso accelerato di modernità, come sosteneva lo stesso Trotzkj,
che aveva fatto vivere, a tappe forzate, alla Russia le
rivoluzioni politiche e sociali moderne: la rivoluzione francese
ma anche la rivoluzione industriale, il terrore giacobino
ma anche la ricerca scientifica e l’applicazione tecnologica.
Il comunismo ha rappresentato per la Russia la
transizione cruenta fra il mondo premoderno, asiatico e
zarista, di cui pur aveva ereditato alcuni incantamenti magici
e liturgici, alcune restrizioni etiche e morali e alcune
ossessioni geopolitiche ed imperiali, e il mondo moderno
delle ricerche spaziali, degli armamenti, delle
fonti
energetiche, dell’economia come chiave del mondo. Il
comunismo nasce dal progetto di adeguare la realtà ad una idea
che diventa norma: da qui la normalizzazione come procedura standard
del comunismo al potere e la sua versione debole
e dolce di perseguire il sogno di un Paese normale di
alcuni intellettuali e politici nelle democrazie d’Occidente.
Ottobre
‘17
Nella
rivoluzione dell’ ottobre 1917 occorre distinguere tra due
movimenti, momentaneamente convergenti: l’ascesa
al potere, attraverso una accurata preparazione dell’insurrezione,
del partito bolscevico, minoritario, che si differenzia
radicalmente da tutti gli altri attori della rivoluzione,
per prassi politica, organizzazione ed ideologia ed una
diffusa rivoluzione sociale, multiforme ed autonoma caratterizzata
dalla ribellione di uno sterminato numero di
contadini, segnati da secoli di servaggio e povertà, che avevano
radicato un odio profondo nei confronti dei proprietari terrieri
e caratterizzata da una profonda diffidenza contadina verso
la città, il mondo estraneo alle comunità di appartenenza e
quindi verso ogni forma di ingerenza dello Stato.
Inoltre
l’estate e l’autunno del 1917 rappresentano il compimento
alla fine vittorioso di tutta una serie di rivolte iniziate
nel 1902, e caratterizzanti gli anni dal 1905 al 1907 .
L’ottobre
‘17 fu l’anno della svolta nello scontro tra contadini
e latifondisti per l’assegnazione delle terre, arrivava infine
la tanto attesa “ripartizione nera”, ma anche l’anno
che segnò uno dei momenti della lotta delle
campagne che opponevano un rifiuto ad ogni
forma di tutela imposta dal potere residente
nei centri urbani, tra contadini e Stato. Un
conflitto che ebbe in seguito i suoi momenti culminanti nel
1918-22 e poi ancora negli anni 1929-1933, per finire con l’annientamento
del mondo rurale, troncato alle radici dalla collettivizzazione
forzata delle terre. Il 1917 si caratterizza anche
per la completa disgregazione dell’esercito, formato
da 10
milioni di contadini, chiamati a combattere da tre anni una
guerra di cui non comprendevano il senso, e motivati a far
ritorno alle proprie comunità rurali di appartenenza.
Nelle
città dove si concentrano gli operai, che rappresentano solo il
3% della popolazione attiva, in un ambiente che vive
tutte le contraddizioni sociali di una modernizzazione economica
avviata da non più di una generazione, nasce un movimento
di rivendicazione operaia, che agisce politicamente e tende
alla conquista del potere (“potere ai soviet”). I
popoli assoggettati dall’ ormai ex impero zarista tornano
a reclamare dapprima autonomia e poi l’indipendenza. E' questo il contesto dove forze diverse e dai fini eterogenei, che è
impossibile ricomprendere nella sola azione e negli
slogan dei bolscevichi, contribuiranno a far
dissolvere ogni forma di istituzione tradizionale e in
generale ogni forma di autorità. In
questa fase il colpo di Stato politico e la rivoluzione sociale convergono
e sommano le loro forze, i bolscevichi minoranza politica
che opera in un sempre più ampio quadro di
vuoto istituzionale, procedono nel senso delle aspirazioni generali
della maggioranza delle forze in campo, ma i loro obiettivi
per l’immediato futuro sono radicalmente diversi.
La
prima guerra mondiale rivelò tutta la fragilità del regime zarista,
la cui modernizzazione incompiuta, rendeva la
Russia dipendente dall’estero per afflusso di capitali e tecnologie,
l’avanzata dei tedeschi e degli austro ungarici sin dal
1915 impedì l’arrivo dei prodotti dell’industria polacca peggiorando
ulteriormente la situazione, l’economia non
resse a lungo. Il
sistema dei trasporti ferroviario si stava sgretolando sin dal
1915, mancavano i pezzi di ricambio, la riconversione a scopo
bellico di quasi tutte le fabbriche diede il colpo di
grazia
al mercato interno. Mancavano i prodotti manifatturieri e
l’inflazione salì alle stelle.
Nelle
campagne la situazione precipitò rapidamente con il blocco
del credito agricolo e della riforma terriera, la mobilitazionedi
massa degli uomini in un esercito dove il soldato
era trattato più da schiavo che da persona,tutto
ciò confermò l’idea che i contadini avevano
dello Stato, una forza ostile ed estranea.
Alla fine del 1915 nessuno era più in grado di controllare la
situazione, non esisteva più nessun potere, e si
andavano organizzando in ogni dove comitati e associazioni che si
sostituivano nell’ amministrazione del
quotidiano, cosa che lo stato non riusciva più a garantire, si era
avviato un grande movimento scaturito dal
profondo della società russa la cui evoluzione nessuno era
ancora di immaginare appieno, e che sicuramente non fu
compreso dallo czar Nicola II, che isolato a
Mogilev sede del quartiere generale, aveva di fatto
rinunciato a dirigere il paese, lasciando spazio alla
Imperatrice Alessandra, che non godeva nel popolo alcuna
simpatia per la sua origine tedesca.
Nel
1916 tornarono gli scioperi, fu ucciso Rasputin, il
discusso consigliere dell’imperatrice Alessandra, le
agitazioni si estesero all’esercito.
Le
giornate del febbraio del 1917 rivelarono non solo la
estrema debolezza del sistema zarista, travolto dopo
cinque giorni di manifestazioni operaie e
l’ammutinamento di alcune migliaia di uomini della guardia di
Pietrogrado e lo stato di decomposizione dell’esercito, ma
anche l’estrema impreparazione e frammentazione delle forze
di opposizione, dal Partito costituzional democratico fino ai
socialdemocratici.
Le
forze dell’opposizione non furono mai alla guida degli
avvenimenti in nessuna di questa fase di questa rivoluzione
popolare spontanea cominciata nelle strade
e conclusa nelle stanze di palazzo Tauride. Liberali
e socialisti coltivavano opzioni diverse, l’obiettivo di una
russia capitalista, moderna e liberale che guardava alla Francia
e all’Inghilterra i primi, mentre per i secondi si prefigurava nel
tempo, essendo scoppiata la rivoluzione borghese, la ditttaura del proletariato.
Se da
un lato il governo provvisorio pareva preoccupato di
ristabilire un minimo di ordine e aveva scelto la via
parlamentare, dall’altro il potere del Soviet di Pietrogrado,
costituito da un gruppo di socialisti che si
annunciava erede della tradizione del Soviet di Pietroburgo del 1905, affermava il principio di rappresentare le
masse più direttamente ed in senso rivoluzionario. Il
“potere dei soviet” era in verità rappresentato da una galassia
in continuo fermento, movimento e cambiamento. I tre
governi provvisori che si succedettero dal 2 marzo
al 25 ottobre 1917, con i liberali in maggioranza nei
primi due e i socialisti rivoluzionari nel
terzo, si dimostrarono incapaci di far fronte alle
problematiche che attanagliavano il Paese: crisi
economica, proseguimento della guerra, questione operaia
e questione agraria. Era salita al potere una èlite urbana
colta, divisa tra una fiducia cieca nel popolo e la
paura delle masse oscure, una realtà quella del popolo che
peraltro questa èlite cittadina, formata sia da liberali che da
socialisti rivoluzionari, conosceva pochissimo.
Il
principe L’Vov, a capo dei primi due governi provvisori sognava
di fare della Russia “il Paese più libero del
mondo”, un’idealistica dichiarazione, che però dimostra
l’evidente scollegamento con una realtà che a
breve dimostrerà l’avvenuto esatto contrario.
Il
governo provvisorio moltiplicò i provvedimenti democratici,
ma rimandò ad un’assemblea costituente, che
sarebbe stata eletta nell’autunno ‘17, le decisioni su due
problemi centrali: la pace, la terra.
Mentre
continuava il dissolvimento dell’economia la società continuò
ad organizzarsi ed in poche settimane si formarono a migliaia
soviet, comitati di fabbrica, di quartiere, gruppi di milizie armate,
le Guardie rosse, comitati di contadini, di soldati, di
cosacchi, di massaie, era una situazione di assemblea permanente,
agli antipodi della democrazia parlamentare, una
grande festa di liberazione, dove ad essere liberato fu anche
l’ odio e il risentimento da decenni accumulato, che nel
corso dell’anno 1917 radicalizzò progressivamente rivendicazioni
e fermenti.
Gli
operai rivendicavano il controllo della produzione, anche i
soldati reclamavano un potere nuovo ed inedito, non conoscevano nè comunismo, nè proletariato, nè la costituzione, volevano
la pace, la terra, la libertà di vivere senza leggi, senza ufficiali,
senza proprietari terrieri, una libertà senza remore, il loro
bolscevismo era in realtà più vicino all’anarchia.
Dal
giugno all’ottobre del 1917, più di due milioni di soldati abbandonarono
un esercito sulla via della dissoluzione e tornarono
ai loro villaggi, alimentando disordini nelle campagne.
Durante l’estate i disordini si fecero sempre più
violenti, di fronte l’immobilità del governo, i comitati agrari
che si erano costituiti nei villaggi e nei distretti, presieduti
in gran parte da membri dell’intellighentia rurale
vicina ai socialisti rivoluzionari, non riuscirono più a
trattenere la base, i contadini andarono all’assalto delle
proprietà feudali, che furono incendiate a migliaia e
centinaia di proprietari terrieri massacrati, presero possesso di
boschi, pascoli e terreni incolti. A farne le spese furono
anche i kulaki, obiettivi primari della propaganda bolscevica
che li definiva rapaci, usurai, succhia sangue, sebbene
il kulak di fatto non esistesse più visto che era stato
costretto a restituire alla comunità del villaggio la maggior
parte del bestiame, delle macchine, delle terre, che
vennero riversate nel fondo comune e ripartite secondo il
principio delle numero delle bocche da sfamare.
Di
fronte alla vastità di una simile rivolta sociale, si
inserì il fallito tentativo di colpo di stato del generale Kornilov,
a cui si oppose il governo provvisorio presieduto
da Aleksandr Kerenskij, ma ormai lo Stato era
scomparso, per cedere il posto ad una miriade di comitati,
soviet ed assemblee. In questo vuoto istituzionale si
inserì l’azione di un nucleo organizzato e deciso che in
breve arrivò ad esercitare un’autorità sproporzionata rispetto
alla sua forza reale: il Partito bolscevico. Fin dal
1903 anno della sua fondazione, i bolscevichi si distinsero all’interno
del panorama della socialdemocrazia russa
ed europea per la loro strategia di rompere per sempre con
l’ordine esistente e per la concezione di un partito fortemente strutturato,
disciplinato, elitario ed efficiente, costituito da
rivoluzionari di professione. Secondo le idee di Lenin la
rivoluzione sarebbe potuta realizzarsi più facilmente in
Russia, dove l’economia era meno sviluppata che non dove il
capitalismo era più forte, invertendo così i termini del
dogma marxista, purché il processo fosse guidato da un
elite disciplinata e disposta ad arrivare sino in
fondo e cioè a instaurare la dittatura del proletariato e a
trasformare la guerra imperialista in guerra civile.
Dopo la
rivoluzione di febbraio alla quale non avevano preso
parte alcun dirigente bolscevico di una certa nota,
in quanto erano tutti in esilio o all’estero, Lenin fu
contrario alla politica di conciliazione con il governo provvisorio,
operata dal soviet di Pietrogrado governato
da una maggioranza di socialisti rivoluzionari e
socialdemocratici, e nel marzo 17 pretese la rottura
di ogni rapporto con il governo provvisorio e
l’attiva preparazione della rivoluzione proletaria, avendo, secondo
Lenin, la rivoluzione, con l’apparizione del soviet già
superato la prima fase, quella della rivoluzione borghese.
Era il
tempo di prendere il potere , uscire dalla guerra, che avrebbe dovuto
mutarsi in guerra civile, un passaggio ineludibile in ogni
processo rivoluzionario. Una volta tornato in Russia, nelle
celebri Tesi di aprile, Lenin, non fece altro che ribadire la
propria incondizionabile ostilità alla repubblica parlamentare e al
processo democratico, raccogliendo parecchi consensi
fra i nuovi militanti del partito, ed in pochi mesi la
vecchia classe dirigente urbanizzata ed intellettuale, formata
nelle lotte sociali istituzionalizzate, fu rimpiazzata da
militanti di origine popolare, fra cui i soldati contadini, con una
scarsa formazione politica, portatori di una
forte componente di violenza radicata nella cultura contadina
ed esasperata da tre anni di conflitto, che non si
chiedevano affatto se la tappa borghese fosse o meno
necessaria prima di passare al socialismo.
Quelli
che Stalin chiamava praktik, i pratici, per i quali
l’unica questione veramente all’ordine del giorno
era la conquista del potere. Il partito bolscevico rimase
diviso sulla strategia da adottare, anche
la disciplina di partito andò piuttosto sfrangiandosi, e nel
luglio del ‘17 a Pietrogrado le spinte esplosive della base rischiarano
di travolgere tutto il partito, che venne
dichiarato
fuorilegge ed i suoi dirigenti arrestati o esiliati come lo
stesso Lenin. Dal suo esilio finlandese Lenin
continuò a lanciare appelli all’ insurrezione.
Molti
dirigenti bolscevichi rimanevano scettici, in fondo
la progressiva radicalizzazione della situazione giocava
a loro favore, sarebbe bastato mantenere il
contatto con le masse, incoraggiare la violenza spontanea
e lasciar agire le forze disgregatrici ,aspettare
il II Congresso Panrusso, dove la rappresentanza dei
soviet dei grandi centri operai e dei comitati dei
soldati era superiore a quella dei soviet rurali dove
erano maggioritari i socialisti rivoluzionari .
A
questa possibilità era fortemente avverso Lenin che da
sempre andava reclamando il potere completo
per i bolscevichi, e quindi mal digeriva di
dividerlo con le altre formazioni socialiste,
Era
necessario agire prima del II Congresso con un’insurrezione
armata, agli altri partiti sarebbe rimasta solo la
scelta di condannare l’insurrezione e quindi di schierarsi all’opposizione
lasciando tutto il potere ai bolscevichi. Il 10
ottobre, Lenin rientrato in Russia riunì 12 dei 21 membri
del Comitato centrale del partito bolscevico e 10 ivotarono a maggioranza, con i voti contrari di Zinov’ev
e Kamenev, un documento in cui si accettava il
principio di un ‘insurrezione armata da scatenare al più
presto. Il 16 ottobre Trockj organizzò una struttura
militare il Milrevkom, il Comitato militare rivoluzionario
di Pietrogrado, con il compito di prendere il
potere con un insurrezione di tipo militare, cosa ben
diversa da un insurrezione popolare spontanea che sarebbe
potuta sfuggire di mano ai bolscevichi. Il numero dei
partecipanti, così come voluto da Lenin, fu abbastanza esigua,
alcune migliaia tra soldati della guarnigione di Pietrogrado,
marinai di Kronstat e Guardie rosse riunite
nel Milrevkom, ed alcune centinaia di militanti
bolscevichi dei comitati di fabbrica.
Il
potere fu preso facilmente dal Milrevkom, che non dipendeva
in alcun modo dal Congresso dei soviet, su
unico mandato del Comitato centrale bolscevico. Le
previsioni di Lenin si rivelarono giuste , i socialisti moderati
dopo avere denunciato la congiura militare che era
stata perpetrata alle spalle dei soviet si ritirarono dal iI
Congresso lasciando buon gioco ai bolscevichi, rimasti in gran
numero insieme alla sparuta pattuglia di socialisti rivoluzionari
di sinistra rimasti i loro unici alleati, che ottennero dai
deputati ancora rimasti l’approvazione di un testo
presentato da Lenin in cui si attribuiva tutto il potere ai
soviet, il congresso prima di sciogliersi proclamò il nuovo
governo bolscevico, il Consiglio dei commissari del
popolo, presieduto da Lenin, e approvò i primi decreti sulla
pace e sulla terra, i primi atti del nuovo regime.
Sulla
questione della terra i bolscevichi che da sempre avevano
sostenuto la nazionalizzazione, dovettero prendere atto
della realtà che li vedeva minoritari nel mondo rurale ed
accettare la prospettiva dei socialisti rivoluzionari,
approvando la distribuzione della terra ai contadini.
Nel
decreto approvato dal nuovo governo bolscevico si
proclamava l’abolizione della proprietà privata della
terra, senza indennità, e che tutte le terre sarebbero state
messe a disposizione del Comitati agrari per la
distribuzione, in realtà il decreto riguardo la violenta
espropriazione delle terre dei latifondisti e dei
kulaki, avvenuta dopo alla fine dell’estate del 11917. I
bolscevichi costretti dalla realtà a consentire alle ragioni della
rivolta contadina autonoma, ripresero il loro programma originario
appena dieci anni dopo, lo scontro tra il
regime instaurato nell’ottobre ‘17 ed il mondo contadino si
concluse tragicamente con la collettivizzazione forzata delle
campagne.
In
poche settimane i bolscevichi subordinarono o eliminarono tutte
quelle istituzioni che attraverso la grande rivolta
spontanea avevano contribuito a disgregare l’ordine
preesistente, dai Comitati di fabbrica a quelli di quartiere,
dai sindacati, ai partiti, per finire con i soviet.
Il
“potere ai soviet”, si era rapidamente trasformato in un
potere del Partito bolscevico sui soviet, Il
potere degli operai sulla produzione, invocato dai proletari
pietrogradesi e degli altri centri industriali presto
si trasformò in controllo dello Stato su imprese e
lavoratori. Dopo il dicembre ‘17 si verificarono un gran
numero di scioperi e di manifestazioni operaie. In
breve tempo i bolscevichi persero moto di quel consenso di cui
avevano goduto per tutto il 1917 tra i lavoratori, che
vivevano in condizioni da fame, e mal comprendevano l’efficientismo
economico perseguito dallo Stato bolscevico. A pochi
mesi dal colpo di Stato bolscevico molti popoli dell’
ex impero zarista avevano dichiarato la propria indipendenza
e alcuni anche combattuto duramente per
ottenerla, così polacchi, finlandesi, lettoni, lituani, estoni,
ucraini, georgiani, armeni, azeri. Ben presto
si capì che il nuovo Stato sul piano geopolitico,si
affermava come erede dell’ex impero zarista, il
grano ucraino, il petrolio e i minerali del Caucaso, i porti baltici
diventano vitali per sostenere il ruolo imperiale.
Ben
presto il Partito bolscevico che escludeva ogni condivisione
del potere, arrivò allo scontro finale con le
forze presenti nella società che non condividevanoi suoi
scopi o che tali scopi non comprendevano affatto
e si scatenarono violenza e terrore.
I
nemici del popolo
Ill nuovo assetto del potere bolscevico, al di là della retorica del
“potere ai soviet” formalmente rappresentato dal Comitato centrale
esecutivo, verteva sul Consiglio dei commissari del popolo, organo del
governo, che cercava legittimazione sia interna che all’estero, e
dal Comitato militare rivoluzionario, il Milrekom che era stata la
struttura operativa nella conquista del potere.
Così
Feliks Dzerzinskj, che fin dall’inizio vi svolse un ruolo decisivo,
e che in seguito fu chiamato da Lenin a dirigere la Ceka, la polizia
segreta bolscevica, descriveva il Milrevkom: “Una struttura leggera,
flessible, operativa all’istante, senza giuridicismi pignoli.
Nessuna restrizione nell’agire, per colpire i nemici con il braccio
armato della dittatura del proletariato”. Il Milrevkom, composto da
una sessantina di membri, agiva tramite una rete di mille
“commissari” nominati negli organismi più disparati, dal 26
ottobre iniziò in tutta autonomia a prendere provvedimenti che
consolidassero la dittatura del proletariato, provvedimenti che
andavano dal divieto di diffondere opuscoli “controrivoluzionari”,
alla chiusura dei sette più importanti giornali della capitale, al
controllo di radio e telegrafo a progetti di requisizione di
appartamenti e automobili private. La chiusura dei giornali fu
approvata, dopo un paio di giorni da un decreto del governo,
confermato dopo una settimana ed aspro dibattito dal Consiglio
esecutivo centrale dei soviet.
La
definizione del concetto di “nemico del popolo apparve per la prima
volta in un documento del Milrevkom del 13 novembre in cui si
dichiarava gli alti funzionari dello Stato, delle banche, del Tesoro,
delle ferrovie, delle poste e telegrafi, nemici del popolo e che i
loro nomi sarebbero stati pubblicati sui giornali ed esposti in ogni
luogo pubblico.
Seguì
a breve un altro proclama: “Tutti gli individui sospetti di
sabotaggio, speculazione, accaparramento, potranno essere arrestati
sul posto come nemici del popolo e associati nelle carcere di
Krondstat”.I n pochi giorni il Mirevkom aveva introdotto due
concetti preoccupanti, quello di nemico del popolo e quello di
sospetto.
Concetto
di nemico del popolo che ebbe valore legale con il decreto emesso da
Lenin il 28 novembre in cui stabiliva che i membri del partito
Costituzionaldemocratico, partito dei nemici del popolo, erano
dichiarati fuorilegge, passibili di arresto immediato e giudicati dai
tribunali rivoluzionari.
Questi
tribunali erano stati di recente istituiti, con il Decreto n.1 sui
tribunali, in cui si sanciva l’abolizione di tutte le leggi in
contrasto con i decreti del governo bolscevico, l’abolizione dei
programmi politici dei Partititi socialdemocratico e socialista
rivoluzionario In attesa del nuovo codice penale, i tribunali del
popolo dovevano valutare la legge esistente in conformità
dell’ordine e della legalità rivoluzionaria, un concetto così
vago da consentire ogni tipo di abuso. Tali tribunali erano intesi
come organi della lotta contro la controrivoluzione, più preoccupati
di estirpare che di giudicare.
Nel
frattempo cresceva l’organizzazione del Comitato militare
rivoluzionario di Pietroburgo, in una città ridotta alla fame, il
rifornimento era una delle primarie necessità.
Il
4 novembre fu creata la Commissione per il vettovagliamento,
distaccamenti di soldati, marinai, Guardie rosse, operai, furono
inviati nelle province agricole per procurare prodotti alimentari per
Pietrogrado e per il fronte.
Si
andava prefigurando la requisizione generale imposta per tre anni
dall’ esercito per il vettovagliamento, che fu il fattore
determinante a scatenate lo scontro tra il potere bolscevico il il
mondo contadino che sarebbe esploso con una violenza ed un terrore
inimmaginabile.
IL
10 novembre fece la sua comparsa una nuova Commissione militare
d’inchiesta, creata per arrestare gli ufficiali controrivoluzionari
,i membri dei partiti borghesi, i funzionari sospetti di sabotaggio,
in realtà finì per occuparsi di tutto, ed ogni giorno centinai di
individui venivano mandati di fronte alla Commissione per rispondere
dei reati più diversi, saccheggio, speculazione, accaparramento di
prodotti di prima necessità, stato di ebbrezza, appartenenza ad una
classe ostile, in una città ridotta ormai alla fame, dove
imperversavano Guardie rosse e milizie improvvisate, la
violenza spontanea fino ad allora alimentata dai bolscevichi stava
rischiando di avere il sopravvento. Il Milrevkom creò una
Commissione di lotta contro l’ubriachezza e i disordini che il 6
dicembre dichiarò lo stato di assedio e il coprifuoco “per mettere
fine a disordini o sommosse fomentati da loschi elementi che si
mascherano da sedicenti rivoluzionari.” Ma la maggiore
preoccupazione per il Governo bolscevico era rappresentata dallo
sciopero dei funzionari, che era iniziato il giorno stesso del colpo
di stato del 25 Ottobre. Il 7 dicembre, pochi giorni dopo lo
scioglimeto del Milrevkom, che aveva svolto il suo compito, venne
creata la Veserossijskaia Crezycajaja Kommissja po bor’be
Kontrrevoljucej, Spekuljaciej i Sabotezem, la Commissione staordinaria
panrussa di lotta contro la controrivoluzione, la speculazione e il
sabotaggio, la Veceka, tristemente nota anche come con
l’abbreviazione Ceka, la polizia segreta bolscevica, a dirigere la
quale venne nominato Feliks Dzerzinskij, che aveva perfezionato le sue
competenze nel Milrevkom.
Il
decreto di approvazione della Ceka non fu mai pubblicato, si stava
avvicinando la data dell’Assemblea costituente, dove i bolscevichi
erano in minoranza e apparentemente non
volevano contribuire a creare tensioni.
Di
fatto la Ceka, aveva le mani libere di agire senza “pignolerie
giuridiche” così come era nella visione di Dzerzinskij, doveva
rispondere dei suoi atti unicamente al Governo del Commissari del
popolo.
Tra
la fine del 1917 e i primi mesi del 1918 non esisteva più alcuna
reale opposizione al potere dei bolscevichi che controllavano il
centro nord della Russia e numerose grandi città sin nel Caucaso ed
in Asia centrale. L’Ucraina e la Finlandia si erano dichiarate
indipendenti, ma non costituivano un pericolo milItare per il potere
bolscevico a cui si opponevano in realtà solo i circa 3.000 uomini
costituenti l’Esercito dei volontari, organizzato dai generali
zaristi Kornilov e Alekseev nel sud della Russia che andrà a
costituire il primo nucleo della futura Armata Bianca. e che
speravano nella rivolta della popolazione contadino-guerriera della
steppa, i cosacchi
I
cosacchi avevano uno status diverso rispetto agli altri contadini
russi, infatti sotto lo czar, in cambio del servizio nell’ esercito
prestato fino all’ età di 36 anni, ricevevano 30 ettari di terra,
i cosacchi non pretendevano altre terre, ma erano ben decisi a non
farsi portare via quelle che già possedevano, nella primavera del 18
si uniranno ai volontari antibolscevichi per conservare le loro
terre, la loro indipendenza, preoccupati delle idee espresse conto il
Kulak dai bolscevichi.
Tra
la primavera 1917 e l’inverno del 18 avvennero i primi scontri tra
i reparti bolscevichi del general Sivers. che non raccoglievano più
di 6.000 uomini e il piccolo Esercito dei volontari. La repressione
bolscevica fu feroce e riguardò non solo militari, ma soprattutto
civili, insieme a junkers ed ufficiali bianchi, perirono uomini
politici, avvocati, giornalisti, professori, elementi borghesi,
considerati nemici del popolo. L’esempio da imitare, come più
volte dichiarato dai leader bolscevichi era quello del terrore
rivoluzionario applicato dalla Rivoluzione francese del 1789, contro
i suoi oppositori, da molti veniva evocato l’esempio
della Vandea, dove i giacobini arrivarono a praticare uno sterminio
pianificato che non risparmiò nemmeno i neonati e le donne che,
bruciate a fuoco lento, divennero sapone per la francia
rivoluzionaria.
La
prima azione della Ceka fu l’arresto dei capi dello sciopero dei
funzionari di Pietrogrado tra cui un
certo numero di deputati socialisti rivoluzionari e menscevichi
eletti nell’Assemblea costituente.
L’Assemblea
costituente che si riunì il 6 gennaio 1918, dove i bolscevichi erano
fortemente minoritari fu sciolta con la forza, in poche ore, il
bilancio della giornata fu di 20 morti.
Mentre
a Brest Litovsk Trockij, e Kamenev tattavano la pace con gli imperi
centrali il 9 gennaio il Governo discuteva del trasferimento della
Capitale a Mosca non tanto per la paura dei tedeschi, l’armistizio
era entrato in vigore dal 15 dicembre, ma per il pericolo di una
insurrezione operaia, nelle masse operaie di Piertogrado che avevano
sostenuto i bolscevichi sino a pochi mesi prima, covava molto
scontento, la fine delle commesse di guerra aveva portato al
licenziamento di decine di migliaia di lavoratori, la mancanza di
cibo aveva portato la razione quotidiana di pane ad appena 100
grammi. .
Trockij,
appena tornato da Brest Litovsk, il 31 gennaio fu messo a capo di una
Commissione
straordinaria
per il vettovagliamento.
La
capitale fu trasferita a Mosca il 10 marzo 1918, la Ceka si insediò
nella sede di una compagnia di assicurazioni
in via Bol’saja Lubjanka, lì sarebbe rimasta , assumendo varie
sigle GPU, NKVD, MVD, KGB, fino al croLlo dell’Unione Sovietica. La
prima operazione in grande stile della Ceka fu condotta da oltre 1000
uomini dei suoi corpi speciali contro una ventina di case di
anarchici, nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1918, 530 furono
arrestati, 25 furono fucilati sul posto come banditi, denominazione
che da quel giornò indicò chiunque si opponesse alla realizzazione
dei piani bolscevichi. Tra il tentativo di ricostruire un minimo di
mercato che ripristinasse lo scambio tra città e campagna i
bolscevichi scelsero le requisizioni forzate, convinti che
fosse necessario procedere allo smantellamento del vecchio ordine,
attraverso la guerra civile evocata
da Lenin , Trockij e gli altri compagni. Tra il maggio e il giugno
‘18, vennero approvati due provvedimenti
che furono alla base dell’inizio della guerra civile, il cosiddetto
comunismo di guerra. Con il primo venne organizzato un vero e proprio
esercito del vettovagliamento che nella fase culminate nel 1920
arrivò a contare 80.000 uomini, in gran parte formato da operai
pietrogradesi disoccupati, attirati da un buon salario e da una quota
proporzionale alla quantità di cereali sequestrati; il secondo
istituiva i comitati dei contadini poveri che avrebbero affiancato le
squadre di vettovagliamento nelle requisizioni ai contadini
benestanti, partecipando anch’essi alla spartizioni in
natura, inoltre questi comitati erano in teoria destinati sostituire
i soviet rurali fedeli ai socialisti rivoluzionari.
I
boscevichi sapevano poco del mondo contadino, secondo uno schematismo
proprio del marxismo semplicistico che adottavano, li pensavano in
classi antagoniste, mentre nel mondo contadino valevano ancora i
legami comunitari e solidaristi, per cui l’onere delle requisizioni
venne ripartito su tutti i membri della comunità e questo riguardò
tutti, non solo i contadini benestanti.
Inoltre
la squadre di vettovagliamento agirono, spalleggiate dai cekisti o
dall’esercito con una tale brutalità da scatenare vere e proprie
resistenze armate. Tra il luglio e l’agosto del 1918 scoppiarono
110 rivolte contadine, le rivolte di Kulak, secondo la definizione
dei bolscevichi, ma che in realtà erano rivolte di intere comunità
di villaggio. Nei tre anni di politica delle requisizioni ce ne
furono migliaia, che scaturirono in vere e proprie guerre, e furono represse con una feroce violenza.
L’indubbia
capacità organizzativa dimostrata dai bolscevichi si accompagnò ad
una realtà, condita di carrierismo, odio, corruzione, ed in cui la
radicata violenza della società russa, sfociava spesso in stupri di
massa. Una situazione in cui avevano un ruolo non secondario l’uso
diffusissimo di alcolici
e l’utilizzo in certi casi di cocaina. Nella primavera del 1918
furono definitivamnete chiusi tutti i giornali non bolscevichi, i
soviet con una maggioranza mescevica o socialista rivoluzionaria
furono sciolti con la forza, ed i membri dei due partiti espulsi dal
Comitato esecutivo panrusso dei soviet. gli oppositori arrestati e
numerosi scioperi, marce della fame,e sommosse operaie represse,operazioni
in cui sempre più diviene protagonista la Ceka.
La
Ceka nel 1918 contava di 12.000 uomini divisi in 43 sezioni locali,
agli inizi del 21 sarebbero diventati oltre 180.000, ed una
vastissima area di competenze.
Il
13 giugno fu ufficialmente rientrodotta la pena di morte, abolita con
la rivoluzione del 17 (Lenin era fortemente contrario), e
reintrodotta da Kerenskij nelle sole zone di guerra, ma applicata
normalmente dalla Ceka senza pignolerie giuridiche, l’ammiraglio
Castnij fu il primo controrivoluzionario fucilato legalmente.
Per
il popolo russo la situazione economica non era andato migliorando
sotto il governo bolscevico, anzi andò peggiorando ed inoltre
stavano perdendo quelle libertà acquisite nella rivoluzione dl 1917.
per i contadini i bolscevichi che avevano legittimato l’occupazione
della terra erano diventati i comunista che tolgono anche il sangue
al contadino, negli operai le parole d’ordine e gli slogan
parlavano di nuova Ohrana (polizia segreta zarista) al servizio della
commissariocrazia. Il 20 giugno
con l’uccisione di uno dei capi Bolscevichi di Pietrogrado, si
intensificò la repressione operaia, agli scioperi , i bolscevichi
risposero con la serrata delle grandi fabbriche nazionalizzate,
l’Assemblea dei plenipotenziari operai, vero contro potere rispetto
al soviet di Pietrogrado fu sciolta, in due giorni furono arrestati
oltre 800 individui. Uno sciopero generale fu convocato per il 2
luglio 1918.
Il
terrore rosso
Nell’ estate
del 1918 i bolscevichi ebbero la percezione che il loro potere fosse
in pericolo, di fatto esercitavano il loro controllo sulla Moscovia
storica, ma intanto si erano consolidati tre fronti antibolscevichi:
nella regione del Don controllata dai cosacchi dell’atamano Krasnov
e dall’Armata bianca del generale Denikin; in Ucraina tenuta dai
tedeschi e dalla Rada, il governo nazionale ucraino; mentre la
Legione ceka controllava, con l’appoggio del governo socialista
rivoluzionario di Samara, la maggior parte delle città lungo la
Transiberiana.
Nel
territorio più o meno controllato dai bolscevichi, nell’estate del
1918, scoppiarono circa 140 grandi rivolte o insurrezioni. In
stragrande maggioranza spontanee, solo a Jaroslavl’, Rybinsk e
Murom ci fu dietro l’organizazione dell’Unione di difesa della
patria del dirigente socialista rivoluzionario Boris Savinkov, mentre
la rivolta degli operai delle fabriche d’armi di Izevsk fu ispirata
da elementi mescevichi e socialisti rivoluzionari locali. In realtà
si trattava di rivolte di intere comunità di villaggio che si
opponevano alla brutalità delle requisizioni delle squadre di
vettovagliamento, alle limitazioni contro il commercio privato, o
all’arruolamento forzato nell’Armata rossa. Le rivolte contadine,
che i bolscevichi interpretavano come una vasta congiura
controrivoluzionaria ordita da Kulak, travestiti da Guardie bianche,
furono soffocate nel sangue in pochi giorni da Guardie rossse e
reparti cekisti. Nella sola città di Jaroslav, l’unica che riuscì
a resistere per 15 giorni, una commissione speciale della Ceka fucilò
fra il 24 e il 28 luglio 1918 428 persone.
Per
tutto l’agosto 1918 Lenin e Dzerzinskij inviarono un gran numero di
telegrammi ai responsabili locali della Ceka o del Partito,
“Compagni!- scriveva Lenin il 10 agosto al Comitato esecutivo del
Soviet di Pensa-L’insurrezione dei Kulak nei vostri cinque
distretti dev’essere soffocata senza pietà. Lo esigono gli
interessi della rivoluzione intera, perché è cominciata dappertutto
la “battaglia finale”contro i kulak. Bisogna dare un esempio. 1.
Impiccare (e dico impiccare in
modo che tutti vedano) non meno di 100 kulak, ricconi, notori
succhiasangue. 2. Pubblicarne i nomi. 3. Appropriarsi di tutto il
loro grano. 4. Individuare gli ostaggi, come abbiamo scritto nel
telegramma di ieri. Fate così in modo che tutti lo vedano, per
centinaia di leghe tutto intorno, e tremino, e pensino: questi
ammazzano e continueranno ad ammazzare i kulak assetati di sangue.
Telegrafate che avete ricevuto ed eseguito queste istruzioni. Vostro
Lenin. P.S. Trovate elementi più duri”.
I
bolscevichi cercarono di applicare “misure preventive” per
arginare qualsiasi tentativo di insurrezione, Dzerzinkij, a capo
della Ceka, riteneva che “le più efficaci sono la cattura degli
ostaggi scelti nella borghesia, l’arresto e la reclusione in campi
di concentramento di tutti gli ostaggi e i sospetti”. Il 9 agosto
Lenin telegrafò al Comitato esecutivo del Soviet di Pensa ordinando
di “applicare implacabile terrore di massa contro kulak, pope,
Guardie bianche; rinchiudere i sospetti in un campo di concentramento
fuori città”.
Tra
i primi a subire l’arresto preventivo furono gli ultimi dirigenti
del partito mescevico ancora liberi: Martov, Dan, Potresov, Gol’dman.
Il
30 agosto 1918, ci furono due attentati a Pietrogrado, uno contro
Urickij, a capo della Ceka locale, e l’altro contro Lenin. In
realtà tra i due episodi non vi è alcun collegamento, il primo fu
compiuto da uno studente che voleva vendicare la morte di un suo
amico ufficiale, assassinato pochi giorni prima dalla Ceka, l’altro
attribuito a Fannie Kaplan, militante vicina agli anarchici e ed ai
socialisti rivoluzionari, che fu arrestata e giustiziata senza
processo, sembra ormai certo che si trattasse di una provocazione
ordita dalla Ceka e sfuggita di mano ai suoi organizzatori.
Seguirono
appelli alla mobilitaziione ed al terrore di massa, “L’inno della
classe operaia sarà un canto di odio e di vendetta”pubblicava la
Pravda il 31 agosto, mentre sull’Izvestija del 3 settembre
Dzerzinskij e il suo vice Peters, pubblicarono un appello alla classe
operaia dello stesso tenore: “Che
la classe operaia schiacci l’idra della controrivoluzione con il
terrore di massa! Lo sappiano i nemici della classe operaia: ogni
individuo arrestato che sia trovato illecitamente in possesso di un
arma sarà giustiziato all’istante, ogni individuo che osi fare la
minima propaganda contro il regime sovietico sarà subito arrestato e
chiuso in campo di concentramento!”.
Il
4 settembre Petrovskij, commissario del popolo per l’Interno invia
una direttiva a tutti i soviet, che di fatto segnerà l’inizio
ufficiale del Terrore rosso su larga scala. Petrovskij, lamentando
che il Terrore rosso tardasse a manifestarsi ordinava: E’ ormai ora
di farla finita con tutte queste mollezze e sentimentalismi. Tutti i
socialisti rivoluzionari di destra devono essere immediatamente
arrestati. Si deve prevedere un grande numero di ostaggi nella
borghesia e tra gli ufficiali. Di fronte alla minima resistenza si
dovrà ricorrere alle esecuzioni di massa..
La
Ceka e le altre milizie devono individuare e arrestare tutti i
sospetti, giustiziando immediatamente chiunque risulti compromesso in
attività... Nell’attuare il terrore di massa
non si possono tollerare debolezze o esitazioni”.
Nello
stesso peiodo Grigrij Zinov’ev, uno dei principali dirigenti
bolscevichi dichiarò: “Per distruggere i nostri nemici dobbiamo
avere il nostro proprio terrore socialista. Dobbiamo tirare dalla
nostra parte, diciamo, novanta sui cento milioni di abitanti della
Russia sovietica, Quanto agli altri, non abbiamo nulla da dirgli.
Devono essere annientati”.
Il
5 settembre il governo sovietico emanò il famoso decreto “Sul
Terrore rosso”: “Nella situazione attuale è assolutamente vitale
rafforzare la Ceka...proteggere la Repubblica sovietica contro i
nemici di classe, isolandoli in campi di concentramento, fucilando
all’istante ogni individuo implicato nelle
organizzazioni delle Guardie bianche, nei complotti, insurrezioni, o
sommosse, e pubblicando i nomi dei fucilati insieme alle ragioni per
cui sono stati passati per le armi”.
Dzerzinskij
fu particolarmente soddisfatto, alla Ceka fu legalmente riconosciuto
“il diritto di farla finita su due piedi con la feccia
controrivoluzionaria, senza doverne riferire a nessuno”.
iL
17 settembre una circolare interna invitava tutte le Ceka locali ad
accelerare le procedure e a liquidare le faccende in sospeso, in
verità le liquidazioni erano già iniziate dal 31 agosto, in quei
giorni la Ceka aveva giustiziato 500 persone a Pietrogrado, si
calcola che nel mese di settembre nella città ci furono 1300
esecuzioni, senza contare le centinia di ufficiali e civili fucilati
a Kronstadt, dove in una sola notte furono fucilate 400 persone.
Secondo l’Izsvetija, il 3 e 4 settembre a
Mosca furono fucilati 29 ostaggi, fra questi due ex ministri dello
czar, Hostov e Sceglovitov, ma molte
testimonianze rivelano centinaia di esecuzioni nelle prigioni
moscovite durante i “massacri di settembre".
Durante
il periodo del Terrore rosso per sei settimane uscì Ezenedel’nik
vck, il settimanale della Ceka, dove si riferivano gli arresti di
ostaggi, gli internamenti nei campi di concentramento, le esecuzioni
capitali, questo settimanale si rivela come una fonte ufficiale,
anche se minimale del Terrore rosso per i mesi di settembre e ottobre
1918, compendiato da altri dati usciti su giornali delle
Ceka locali, E’ difficile conteggiare le le vittime del Terrore
rosso nell’ autunno 1918, ma tenendo solo conto delle notizie di
esecuzioni riportate dai giornali, si arriva a desumere che non fu
inferiore a 10.000- 15.000 in due mesi. In poche settimane la Ceka da
sola aveva giustiziato un numero di persone da due a tre volte
superiore rispetto a quanti l’impero zarista ne avesse condannato a
morte in novantadue anni.
La
Ceka, che agiva al di sopra dei soviet e dello stesso Partito venne
messa in discussione da alcuni dirigenti bolscevichi come Buharin,
Ominskij e Petrovskij che pretendevano provvedimenti per arginare
“gli eccessi di zelo di un’organizzazione affollata di criminali
e di sadici, di elementi degenerati del Lumpeproletariat”, Kamenev
arrivò a chiedere lo scioglimento della Ceka.
Ma
ebbero la meglio Sverdlov, Stalin, Trockij, e ovviamente Lenin che
difese risolutamente”un istituzione attaccata non solo dai nemici,
ma spesso anche dagli amici”. Il dibattito sulla Ceka si chiuse,
come diceva Lenin “il buon comunista è anche buon cekista”.
Nei
primi mesi del 1919 furono costituiti dipartimenti speciali della
Ceka a cui veniva affidata la sicurezza militare.
Il
16 marzo del 1919 Dzerzinskij fu nominato commissario del popolo per
l’Interno, e si dedicò alla riorganizzazione di tutte le varie
formazioni militari che fino a quel momento dipendevano da
amministrazioni diverse. Nascono così nel maggio 1919 le Truppe di
difesa interna, che nel 21 arrivavano a 200.000 effettivi, con
l’incarico di assicurare la sorveglianza di campi, stazioni, altri
punti strategici, di svolgere operazioni di requisizione e di
reprimere le rivolte contadine, le sommosse operaie e gli
ammutinamenti dell’Armata rossa, una vera e proprio esercito
repressivo, inserito in un Armata rossa, minata dalle diserzioni, che
contava milioni di effettivi, ma che non riuscì mai a schierarne più
di 500.000 con equipaggiamento completo.
Uno
dei primi decreti del nuovo commissario del popolo per gli Interni,
riguardò l’organizzazione dei campi di concentramento, che
esistevano dal 1918 .
Il
Decreto del 15 aprile 1918 li divideva in campi di lavoro forzato nei
quali erano internati, almeno in teoria, coloro che erano stati
condannati da un tribunale e campi di concentramento riservati per lo
più ad ostaggi, incarcerati sulla base di semplici ordinanze
amministrative, anche se queste distinzioni rimasero più nella
teoria che nella pratica. Nella circolare esplicativa del decreto si
stabiliva che ogni provincia avrebbe dovuto approntare almeno un
campo con la capienza minima di 300 persone, si prevedeva inoltre la
stesura di una lista che prevedeva 12 tipologie di persone destinate
all’internamento. Tra il 19 e il 21 il numero degli internati
complessivi salì dai 16.000 ad oltre 70.000, escludendo un certo
numero di campi allestiti nelle regioni insorte contro il potere
sovietico,nella sola provincia di Tambov, nei sette campi di
concentramento organizzati
per reprimere la rivolta contadina si contavano 50.000 “banditi e
famigliari di banditi” internati.
La
guerra dei rossi, dei bianchi e dei
verdi
La
guerra civile russa, non deve essere considerata semplicemente come
lo scontro tra bolscevichi e monarchici, aldilà degli
scontri tra Armata rossa e Armata bianca, gli episodipiù
importanti avvennero sul cosidetto “fronte interno”,e
furono caratterizzati dalle varie forme di repressione esercitata
dal potere costituito dei Bianchi e dei Rossi .
Al
contrario del terrore bianco, che si manifestò in particolare nei
pogrom dell’Ucraina del 1919, perpetrati da alcuni distaccamenti
senza controllo di Denikin e di Petlura, dove
morirono 150.000 persone e che furono condannati dallo
stesso Denikin e che per il resto si limitò quasi sempre ad
una repressione di tipo di controspionaggio militare, il
terrorre Rosso venne teorizzato e messo in pratica molto
prima dello scoppio della guerra civile, contro interi gruppi
sociali con metodo e scrupolosa organizzazione. Il
terrore rosso si caratterizzò come una lotta di classe, contro
aristocratici, borghesi, elementi estranei alla società, di
caccia ai militanti di tutti i partiti non bolscevichi, di
repressione degli scioperi operai, degli ammutinamenti di
unità dell’Armata rossa e delle rivolte contadine.
La
guerra sul fronte interno consistette soprattutto nella resistenza
opposta da milioni di contadini, ribelli e disertori, che sia i Bianchi che i Rossi chiamavano Verdi.
L’azione
dei Verdi fu determinante per la vittoria di uno schieramento sull’altro
come ad esempio è accaduto durante l’estate
del 1919 nel Medio Volga ed in Ucraina, dove lo scoppio
di violente rivolte contadine favorì l’azione di sfondamento delle
linee bolsceviche da parte dell’ammiraglio Kolcak
e del generale Denikin, così come l’insurrezione dei contadini
siberiani ostili al ripristino dei diritti dei proprietari terrieri
favorì la disfatta di Kolcak di fronte all’Armata Rossa.
Il
terrore bolscevico la cui continuità ed evoluzione si
deve cogliere sin dai primi mesi del regime riguardò
principalmente alcuni gruppi di vittime,
che vennero sottoposte ad una repressione coerente e
sistemica:
1-
tutti i militanti politici non bolscevichi;
2-
operai in lotta in difesa di diritti elementari: pane, lavoro, libertà,
dignità;
3-
i contadini, coinvolti nelle innumerevoli insurrezioni o nelle
diserzioni dell’Armata rossa;
4-
i cosacchi, deportati in massa, perchè considerati gruppo sociale
ed etnico ostile al regime. La decosacchizzazione anticipa
la dekulakizzazione e la deportazione di gruppi etnici degli
anni ‘30 e mette in evidenza la continuità repressiva della
fase leniniana con quella staliniana.
5-
gli elementi estranei alla società, nemici del popolo, sospetti,
ostaggi liquidati preventivamentte da parte dei bolscevichi,
soprattutto nelle fasi di abbandono di città o di riconquista
di territtori occupati dai Bianchi.
Un
delle prime repressioni della Ceka riguardò gli anarchici di
Mosca nell’aprile 1918, che furono fucilati a decine senza
processo. La repressione contro gli anarchici, che nonostante
l’adesione di alcuni elementi al Partito bolscevico, rimanevano
in stragrande maggioranza avversi al regime,
non conobbe tregua. Il
comportamento degli anarchici, oppositori sia del vecchio che
del nuovo regime, è esemplificato dall’azione del
grande dirigente anarchico contadino Mahno, che dapprima
si schierò con i Rossi per combattere i Bianchi, ed
una volta vinto il pericolo bianco, per difendere i
suoi ideali continuò il combattimento contro l’Armata
rossa, migliaia di anonimi militanti anarchici furono
giustiziati come banditi. Secondo i dati, seppur incompleti,
presentati nel 1922 dagli anarchici in esilio la
maggioranza delle vittime anarchiche è rappresentata dai contadini
di Manho, nel 1919-21 furono fucilati 138 militanti, 281
esiliati e 608 il primo gennaio 1921 erano ancora
in
carcere.
I
socialisti rivoluzionari di sinistra, alleati dei bolscevichi sino
all’estate del 1918, beneficiarono di una certa clemenza sino
al febbraio 1919, quando la loro storica leader Marija
Spiridova fu arrestata insieme ad altri 210 militanti,
per avere criticato i metodi brutali della Ceka, e condannata dal
Tribunale rivoluzionario ad una detenzione in un sanatorio
come isterica. E’ il primo caso di reclusione di un avversario
politico in un ospedale psichiatrico. La Spiridova, riuscità
ad evadere, continuò a dirigere il partito, messo
fuori
legge, in clandestinità. Secondo la Ceka nel 1919 furono
disciolte 58 organizzazioni Socialiste rivoluzioabrie di
sinisra, 45 nel 1920, nei due anni furono arrestati come ostaggi
1875 militanti.
I
socialisti rivoluzionari di destra, considerati da sempre gli avversari
politici più pericolosi, nel novembre-dicembre ‘17
alle libere elezioni avevano ottenuto una grande maggioranza,
erano
altresì maggioranza nell’Assemblea costituente sciolta
dai bolscevichi con la forza, furono espulsi dal
Comitato esecutivo dei soviet, insieme ai mescevichi nel
giugno 1918, e con alcuni costituzionaldemocratici e mescevichi
avevano dato vita ad effimeri governi a Samara ed
a Omsk che in breve vennero rovesciati dall’Armata Bianca di
Kolkac. I socialisti rivoluzionari, presi tra i Bianchi ed
i bolscevichi che alternavano nei loro confronti una politica di
repressione e conciliazione e manovre d’infiltrazioni, il
31 marzo del 1919, nel pieno dell’offensiva bianca, dopo che
la Ceka aveva autorizzato la ripresa delle pubblicazioni del
loro giornale “Delo Naroda” dal 20 al 30 marzo, nonostante i
loro partiti fossero ancora considerati legali dal regime,
furono oggetto di una violenta repressione della Polizia
politica, furono arrestati in varie città 1900 militanti .
Seppur
si conosce approssimativamente il numero delle
vittime dei principali episodi di repressione degli
scioperi e delle rivolte contadini in cui spesso mescevichi
e socialisti rivoluzionari avevano un ruolo
da protagonisti, non si può estrapolare il dato di
quanti di loro furono giustiziati sommariamente.
Un’altra
ondata di arresti seguì la pubblicazione di un
articolo di Lenin sulla Pravda del 28 agosto 1919, ,
in cui criticava SR e mescevichi”complici e lacchè dei
Bianchi, dei proprietari terrieri e dei capitalisti”, secondo
fonti della Ceka negli ultimi mesi del 1919
ci furono 2380 arresti tra socialisti rivoluzionari e mescevichi. Il
23 maggio 1920 Viktor Cernov, che per un
giorno
era stato presidente dell’Assemblea costituente,attivamente
ricercato, sotto false vesti, prese la parola durante
un comizio organizzato dal sindacato dei tipografi in onore
di una delegazione operaia inglese, mettendo in ridicolo
Ceka e governo, questo episodio rilanciò in grande stile
la caccia contro i miltanti socialisti, tutta la famiglia di Cernov
fu presa come ostaggio, e i dirigenti di partito ancora liberi
imprigionati. Nell’estate del 1920 , furono schedati ed
arrestati 2000 tra socialisti rivoluzionari e mescevichi.
La
Ceka, in una circolare interna datata luglio 1920, così descriveva
la politica da attuare nei confronti degli oppositori socialisti: “Invece
di mettere fuori legge tali partiti, facendoli piombare in
una clandestinità che potrebbe essere difficile controllare, è
assai preferibile mantenerli in una condizione di semi legalità.
Infatti in questo modo è più agevole averli a portata
di mano per estrarne, quando è necessario, fomentatori di
sommosse, rinnegati e altri utili informatori...Con questi
partiti antisovietici bisogna approfittare assolutamente della
situazione bellica attuale, per imputare ai loro
membri crimini quali l’attività controrivoluzionaria, l’alto
tradimento, la disorganizzazione delle retrovie, lo spionaggio
a favore di una potenza straniera interventista.
La
violenza esercitata contro il mondo operaio, in nome del
quale, i boscevichi avevano preso il potere, cominciò nel
1918, crebbe nel 1919 e nel 1920, arrivò al suo apice nella
primavera ‘21 con il famoso episodio di Kronsdat.
Fin
dal 1918 gli operai avevano inizato a dimostrare diffidenze
verso i boscevichi, fallito lo sciopero generale del 2
luglio 1918, le sommossse operaie ripresero intensità e vigore
nel marzo 1919, in risposta alle difficoltà di approvvigionamento ed
agli arresti di numerosi dirigenti socialisti
rivoluzionari, tra cui la Spiridova, che aveva condotto
un giro nelle principali fabbriche pietrogradesi riscuotendo
un entusiastico consenso. Il 10 marzo 1919 10.000
operai delle officine di Putilov, riuniti in assemblea generale
approvarono un documento di dura condanna del
governo bolscevico considerato “nulla più che di una dittatura
del Comiatto centrale del Partito comunista, che governa
con l’aiuto della Ceka e dei tribunali rivoluzionari.
Nel
documento gli operai chiedevano il trasferimento di tutto
il potere ai Soviet, lo svolgimento di libere elezioni per
i soviet e i comitati di fabbrica, la soppressione delle limitazioni
sulla quantità di cibo che gli operai erano autorizzati a
portare dalle campagne (un pud e mezzo-24 kg),
il rilascio di tutti i prigionieri politici degli “autentici partiti
rivoluzionari”, e in particolare di Maria Spiridova,
Lenin
stesso per cercare di risolvere la situazione che si stava
aggravando fortemente per i bolscevichi, il 12 e 13 marzo
si recò a Pietrogrado, ma quando tentò di prendere la
parola nelle fabbriche occupate insieme a Zinov’ev, fu
zittito al grido di “Abbasso gli ebrei e i commissari!”.
Esplodeva
l’antisemitismo radicato nel popolo russo, che quando
i bolscevichi persero il favore goduto subito dopo la
rivoluzione di ottobre associò il fatto che molti dei loro dirigenti
più noti fossero ebrei (Tockij, Zinov’ev, Kamenev, Rykov,
Radek ecc.).
Le
officine di Putilov furono attaccate il 16 marzo 1919 dalle
squadre della Ceka, gli operai si difesero con le armi,
ma ebbero la peggio, furono arrestati in 900 e nei giorni
successivi 200 ne furono fucilati nella fortezza di
Slussel’burg vicina a Pietrogrado. Gli scioperanti furono
tutti licenziati e riassunti solo dopo aver firmato una
dichiarazione in cui ammettevano di essere stati “indotti al
crimine” da sobillatori controrivoluzionari, la Ceka
creò subito una rete di informatori che dovevano riferire”sullo
stato d’animo in questa o quella fabbrica”.
Nella
primavera del 1919 si contano numerosi scioperi, sedati con
violenza in molte città della Russia: a Tula, Srmovo, Orel,
Brjansk, Tver’, Ivanovo-Voznesensk, Astrakhan.
Le
rivendicazioni degli operai, ridotti alla fame da miseri salari
che garantivano solamente il prezzo di una carta annonaria, cioè
250 grammi di pane al giorno erano sempre le
stesse, chiedevano che le loro razioni fossero parificate a quelle dell’Armata rossa, la soppressione dei privilegi per i comunisti,
rilascio di tutti i prigionieri politici, libere elezioni per
comitati di fabbrica e soviet, abolizione della leva obbligatoria,
libertà di associazione, stampa, e di espressione. I
bolscevichi erano molto preoccupati, anche perchè in
molti casi i reparti dell’Armata rossa di stanza nelle città
aderivano alle insurrezioni a Orel, Brjansk, Gomel, Astrakhan
i soldati si unirono ai manifestanti e al grido
di “Morte ai giudei, abbasso i commissari” occuparono e
saccheggiarono intere città che furono rioccupate da
reparti cekisti, da reparti dell’esercito rimasti fedeli
al regime, dopo molti giorni di combattimento.
Le
armi della repressione andarono dalla serrata delle fabbriche, alla
confisca delle tessere annonarie, la fame era una delle
armi più potenti dei bolscevichi, sino alle esecuzioni
di
massa.
PRIMA PARTE.
PRIMA PARTE.