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Un governo di deboli (non dei più deboli)


Parte il Governo M5s-Lega. Dopo una serie di peripezie, dettate da ingenuità quirinalizia e furbizia leghista, vede la luce un bambino deforme che non avrà vita facile né lunga. Salvini e Di Maio spezzeranno le reni all’Europa? Restituiranno all’Italia la sovranità perduta (e mai pienamente avuta) combattendo contro chi ce l’ha strappata e conculcata? Dubitiamo che tutto ciò avvenga. Il can can battagliero grillino-leghista è solo una triste prospettiva economicistica che ha ben poco di politico. Manca la visione d’epoca storica mentre abbondano i giochetti di partito e di palazzo. Secondo la ristretta prospettiva del sodalizio giallo-verde sarebbe Berlino ad averci ridotto con le pezze al culo. Però, in ogni caso, dall’Ue e dall’euro non si esce, come hanno dichiarato, e ciò rappresenta una palese contraddizione della loro stessa teoresi sballata. Contemporaneamente, viene affermato di voler restare nella Nato e saldamente ancorati a quell’occidente americanocentrico che rappresenta il vero vulnus dal quale deriva la nostra sudditanza nazionale. Di più, si sente dire che appoggiandosi al nuovo corso americano di Trump sarà possibile liberarsi dal giogo crucco che ci ha retrocesso a provincia povera del Continente. Un po’ di logica per favore. L’Ue è una costruzione americana, come pure la sua moneta unica. Quest’ultima fu imposta ai tedeschi (via Parigi) come prezzo da pagare per la riunificazione, in quanto con il marco il potere condizionante dei tedeschi sarebbe stato anche più forte di quanto non lo sia ora con l’euro. Germania e Francia sono le due grandi potenze europee che sin qui hanno gestito il mandato americano, che va mutando per riconfigurazione strategica statunitense. I gruppi europei che lo hanno maneggiato nell’epoca unipolare non soddisfano i nuovi requisiti richiesti dall’egemonia statunitense in una fase multicentrica. Quindi qualcosa deve cambiare in Europa e cambierà. In sostanza ce la si può pur prendere quanto si vuole con il gregario tedesco per vederlo sostituito col francese o con una via di mezzo Franco-tedesca. Che vantaggio avremmo? Bisogna invece auspicare che i poteri tedeschi finora dominanti siano sostituiti da drappelli autenticamente autonomisti ed in grado di corrodere la predominanza yankee sul suolo comune. In ciò occorre incoraggiare la Germania, non puntare ad indebolirla, perché se il Paese meglio posizionato d’Europa avvia il necessario trapasso ci spiana la strada. Quindi nessun risparmio di critiche a chi ci narra di IV Reich per nascondere alla vista le mosse del superimpero d’oltreoceano mirante ad un riassetto delle sue sfere d’influenza per non lasciare lo scettro. Nessuno in Europa spezzerà mai le catene americane danneggiando il suo vicino. Il nemico è uno e non è a Berlino. I tedeschi, come gli italiani e i francesi devono sbarazzarsi dei loro dirigenti asserviti (senza sostituirli con altri cangianti ma ugualmente filo zio Sam), non puntarsi il dito a vicenda. Se accade è effetto del divide et impera a stelle strisce che ci rende tutti perdenti anche se non nella stessa maniera o con i medesimi svantaggi. C’è il servo che sta in casa e quello che lavora i campi, la condizione è la stessa anche se esistono differenziali di benessere(che contano, per carità, ma che non portano alla sovranità).
da https://www.facebook.com/conflitti.estrategie/

Salvini: l'Italia è una porcheria


Questi sono i mostri che il centrodestra ha portato al governo della Nazione e non solo per l’inabilità del personaggio Berlusconi, perché Berlusconi ragionava, e ragiona, da imprenditore e non da statista e quindi non ha capito nulla di quanto stava accadendo in termini di smantellamento globale dell’Italia, ma anche per responsabilità di una destra italiana che ha sempre preferito il salotto alla trincea, le prebende individuali, alla fatica di costruire un futuro alla Nazione, e tra le rincorse alle poltrone ha visto non solo evaporare l'Italia ma anche se stessa. 



L'Italia è una porcheria

Le menzogne di partito: i secessionisti della Catalogna



I partiti secessionisti catalani, come quelli italiani inventano la storia.
La prima menzogna
I secessionisti dicono che la guerra del 1714 fu una guerra di secessione, sostengono che la guerra di successione spagnola che fu combattuta all’inizio del Diciottesimo secolo fu in realtà una guerra di secessione della Catalogna dalla Spagna. Secondo questa interpretazione, la sconfitta dell’esercito catalano segnò la fine delle istituzioni autonome della Catalogna sperimentate durante l’Impero Carolingio e l’inizio di un periodo di sottomissione al potere spagnolo.
Le cose però non andarono così:
Nel 1700, alla morte di Carlo II, che era senza un diretto discendente, iniziò una guerra per la corona di Spagna: si scontrarono Filippo V di Borbone (nipote del re Luigi XIV di Francia) e l’arciduca Carlo VI d’Asburgo. Fu una guerra europea che divenne anche una guerra civile: il regno di Castiglia appoggiava i Borbone, mentre il principato di Catalogna stava dalla parte degli Asburgo. Vinsero i Borbone e la Coronela, l’esercito catalano, fu sconfitto. Non fu una guerra di una nazione contro l’altra, né d’indipendenza, né di secessione, né patriottica. Fu una guerra tra due case regnanti per ottenere il potere e basta.

Seconda menzogna :La Costituzione del 1978 è ostile ai catalani
Gli indipendentisti catalani sostengono che sia necessario superare la Costituzione del 1978, ovvero la Costituzione adottata in Spagna dopo che Francisco Franco ha rimesso il potere aĺla Monarchia costituzionale, perché sarebbe a loro ostile; inoltre vorrebbero cambiarla tramite una decisione appoggiata dal Parlamento catalano, ci sono diverse cose sbagliate e false riguardo a questo punto. Anzitutto c'e' un problema di rappresentatività nel modo tramite il quale gli indipendentisti vorrebbero modificare la Costituzione: gli indipendentisti nell’attuale Parlamento catalano sono stati votati da 1,9 milioni di persone, pari al 47,7 per cento del totale dei votanti; la Costituzione del 1978 fu appoggiata da 2,7 milioni di catalani, pari al 91,09 per cento dei votanti. La Catalogna fu, insieme all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia la Costituzione, alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Il testo votato non si può considerare in nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato profondamente decentralizzato.

La terza menzogna: la Autonomia ha fallito
Gli indipendentisti catalani sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata con la Costituzione del 1978 – siano stati un fallimento; dicono che oggigiorno sarebbe in corso un nuovo processo di centralizzazione del potere, e che quindi l’autonomia debba essere trasformata in indipendenza. Non e' corretto parlare di fallimento. Nel 1979, un anno dopo l’adozione della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna che tra le altre cose stabilì un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma. Nel 2006 fu approvato un nuovo Statuto di Autonomia, che dava ulteriori poteri alla Catalogna, anche se alcune sue parti furono dichiarate incostituzionali dal Tribunale costituzionale spagnolo. Il grande livello di autogoverno delle comunità autonome spagnole e' una cosa ormai consolidata ed innegabile e se comparato con altri stati del mondo il piu' avanzato.

Quarta menzogna; La Spagna è uno stato autoritario
Gli indipendentisti hanno accusato in diverse occasioni il governo spagnolo di comportarsi in modo autoritario: l’ultima volta è successo meno di una settimana fa, dopo le perquisizioni e gli arresti effettuati dalla Guardia civile spagnola negli edifici del governo catalano a Barcellona, accusato di continuare a organizzare il referendum sull’indipendenza nonostante fosse stato definito illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. L’account Twitter del governo catalano aveva scritto cose tipo: «I cittadini sono convocati per l’1 ottobre per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio»; oppure: «Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separava dai regimi autoritari e repressivi».non c’è ragione di pensare che la Spagna non sia uno stato democratico. In Spagna esistono lo stato di diritto e la separazione dei poteri; il paese fa parte di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani e le libertà politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; Freedom House ha dato un punteggio di 95/100 al rispetto dei diritti civili e politici in Spagna, lo stesso dato attribuito alla Germania. Né il governo catalano né uno dei gruppi indipendentisti della regione hanno mai fatto ricorso a tribunali internazionali per denunciare delle violazioni dei diritti, né tantomeno lo stato spagnolo è mai stato condannato per questo tipo di violazioni.

Quinta menzogna;La Spagna ci ruba i soldi
(Qui vale ricordare anche certe castronerie nostrane)
L’idea che la Spagna “ruba” i soldi della Catalogna, sostanzialmente ridando indietro molti meno soldi di quelli che riceve, risale al 2012, quando fu diffusa dal governo dell’indipendentista Artur Mas. Allora si disse che la Catalogna contribuiva con 16,4 miliardi di euro al bilancio della Spagna, cioè l’8,4 per cento del PIL catalano: troppo, sostenevano gli indipendentisti.
In realtà i numeri diffusi dal governo catalano, si sono poi dimostrati più bassi, soprattutto dopo la crisi economica: non così lontani dalle percentuali trasferite in media da altri territori prosperi verso i governi centrali a capo dei loro stati federali, e nemmeno così lontano dalle stesse proposte catalane. In alcuni periodi storici il contributo della Catalogna al PIL spagnolo è stato anche più basso di quello di altre regioni della Spagna: per esempio, secondo i dati ufficiali diffusi dal governo spagnolo, nel 2014 la Catalogna è stata la seconda comunità autonoma contribuente netta (con il 5 per cento del suo PIL) dietro a Madrid (9,8 per cento). C’è anche da tenere conto che calcolare con precisione quanto torni indietro indirettamente a una regione che ha versato un contributo allo Stato è molto difficile: questo perché per esempio le tasse catalane finanziano il governo centrale, i ministeri e il Parlamento che legiferano anche per la Catalogna, oltre che l’esercito che protegge l’intero paese. Quantificare questa somma di denaro non è per niente facile.

Sesta menzogna: Da soli saremo più ricchi
Gli indipendentisti catalani sostengono che da soli, quindi staccati dalla Spagna, sarebbero più ricchi. Già oggi la Catalogna è una delle comunità autonome più ricche del paese, insieme a Madrid, Paesi Baschi e Baleari, e ha un PIL pro-capite simile a quello di alcune tra le regioni più avanzate d’Europa. Una Catalogna indipendente aumenterebbe il suo PIL e migliorerebbe i suoi servizi pensionistici e sociali, sostengono gli indipendentisti.
Il problema, è che questa interpretazione minimizza i costi che deriverebbero dall’indipendenza: .la perdita delle sinergie economiche e degli stimoli intellettuali ottenuti dal fatto di appartenere all’ampio spazio economico europeo, sono difficilmente quantificabili, ma dovrebbero essere presi in considerazione. Il ministero dell’Economia spagnolo ha stimato che l’eventuale secessione ridurrebbe il PIL catalano di una cifra compresa tra il 25 e il 30 per cento rispetto a quello attuale; uno studio del ministero degli Esteri, meno catastrofico, parla di un calo del 19 per cento del PIL. Non è comunque possibile dire cose certe su questo tema.

Settima menzogna: Abbiamo diritto a separarci
Nella “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, cioè la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano che regola il referendum, c’è scritto che la Catalogna ha il «diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione», in senso «favorevole all’indipendenza». Non è proprio così.
È vero che il diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli, ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello stato, sulle esigenze di autodeterminazione.
La Costituzione spagnola non prevede il diritto alla secessione e un cambiamento dello status quo richiederebbe una riforma costituzionale con procedimento aggravato, quindi con una maggioranza rafforzata, proprio come in Italia. Ci sarebbe anche la possibilità di organizzare direttamente un referendum, ma il voto dovrebbe essere organizzato dal governo spagnolo e il risultato non sarebbe comunque vincolante (si parlerebbe di un referendum consultivo).

Ottava menzogna:Non usciremo dall’Unione Europea
Gli indipendentisti sostengono che la Catalogna sicuramente non uscirà dall’Unione Europea, una volta raggiunta l’indipendenza, ma non è una cosa certa o automatica.
Dal 2004 a oggi tutti i presidenti della Commissione europea hanno sostenuto il contrario: se un territorio di uno stato membro smette di esserne parte, perché diventa indipendente, i trattati dell’Unione Europea non potranno continuare ad essere applicati automaticamente a questa parte di territorio. Se vorrà diventare membro dell’Unione Europea, il nuovo stato dovrà fare formale richiesta, secondo quanto prevede l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea: significa che la sua candidatura dovrà essere accettata da tutti gli attuali stati membri, quindi anche dalla Spagna, che però potrebbe non essere d’accordo in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna.
C’è poi un’altra questione. Per come è fatto oggi il sistema internazionale, uno stato per essere tale deve avere un ampio riconoscimento internazionale (un’entità può definirsi stato in maniera unilaterale, ma se non viene riconosciuto dagli altri non può avviare relazioni diplomatiche, non può entrare a far parte di grandi trattati internazionali, e così via). Come disse lo scorso 25 marzo Artur Mas, ex presidente catalano, «se non ti riconosce nessuno, le indipendenze sono un disastro». Un passaggio fondamentale per ottenere questo riconoscimento è l’ONU. Per ammettere un nuovo stato nell’ONU, questo deve essere raccomandato dal Consiglio di Sicurezza, dove ci sono cinque stati con poteri di veto tra cui la Francia, che non sembra troppo incline a favorire spinte separatiste in un altro paese europeo. La candidatura deve poi essere approvata dai due terzi dell’Assemblea generale, organo che rappresenta tutti gli stati membri dell’ONU. È difficile dire come potrebbe finire tutto questo, visto che ci sono altri stati europei che sono soggetti a spinte indipendentiste e che probabilmente si opporrebbero a un riconoscimento della Catalogna indipendente, per non alimentare gli autonomismi o indipendentismi locali.

Nona menzogna Il referendum dell’1 ottobre è legale
Il governo catalano sostiene che il referendum dell’1 ottobre sia legale e il vicepresidente catalano Oriol Junqueras ha aggiunto che non è contrario al Codice penale. Ma non è vero. La Costituzione affida la competenza esclusiva di indire un referendum di particolare importanza al Parlamento e al governo spagnoli, mentre il referendum dell’1 ottobre è stato convocato unilateralmente dal governo catalano.


Le due leggi approvate dal Parlamento catalano per realizzare il referendum – quella del 6 settembre e un’altra dell’8 settembre – siano illegali, anzitutto per questioni procedurali: sono state votate dal Parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza avere ottenuto il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il tribunale costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma. La Ley del referéndum sarebbe illegale anche per il suo contenuto: una legge ordinaria non può infatti autoproclamare che «prevale gerarchicamente» sullo Statuto di Autonomia e sulla Costituzione, e non può stabilire un’autorità elettorale con la sola maggioranza assoluta.
Decima menzogna:Votare è sempre democraticoUno degli slogan usati nella campagna degli indipendentisti è: «Referendum è democrazia», ma non esiste alcun automatismo che leghi questi due concetti.Il referendum è stato ampiamente usato in passato dai regimi autoritari, tra cui quello di Franco in Spagna, che nel dicembre 1966 ne fece ricorso per approvare l’allora nuova Costituzione. Inoltre nel programma elettorale di Junts pel Sí, la coalizione al governo in Catalogna, non si parlava di referendum per l’indipendenza: non ci sarebbe nemmeno un mandato elettorale su cui fare leva. Affinché un referendum sia democratico, , deve tenersi in un paese democratico rispettando le norme costituzionali di quello stato: una cosa che non sta avvenendo con il referendum sull’indipendenza catalana.

Marine Le Pen gela Salvini: " Io credo nelle nazioni"



 "Io credo nelle nazioni. Credo che possano esistere forme di cooperazioni transfrontaliere, ci sono sempre state e non abbiamo inventato nulla. Ma io credo nella nazione, nell'Europa delle nazioni". Così la leader del Front National, Marine Le Pen, ha risposto a chi le ha chiesto se creda nella prospettiva di collaborazioni fra regioni (come il progetto di macroregione alpina in cui si sono impegnati i governatori della Lega) per il futuro dell'Europa. Il concetto di nazione rende possibile la creazione di un’identità nazionale, che si basa sulla cultura, la lingua, su un’appartenenza comune, esiste una sorta di comunanza tra nazione e territorio; ciò implica il fatto che su uno stesso territorio sia impossibile istituire più di una nazione. Da codesta unione territorio-nazione ebbe origine lo Stato Nazionale.
La formazione dello Stato Nazionale rese possibile la nascita dello Stato di diritto sul territorio della nazione.,Si può affermare che la nascita dello Stato Nazionale fu il presupposto per quella delle società moderne. E' questa una idea opposta e contraria a quella della Lega Nord, che fin nel nome invoca una presunta indipendenza di una entità frutto di invenzione come la padania. Un movimento che si scaglia contro il simbolo dell'Identità nazionale rappresentato dalla bandiera nazionale dei tre colori, invocandone roghi, o associandola alla carta igienica.Un movimento protagonista di quel grande danno per Italia che ha preso il nome di "devolution",  con l'aiuto di Berlusconi e di una destra che ha sempre sventolato i valori della Patria usando come simbolo della propria identità la fiamma tricolore. Un movimento quello della Lega Nord che a nome del suo segretario Salvini lavora per minare alle basi l' unità della Nazione, che sostiene il sistema delle regioni arrivando alla sovranizzazione delle stesse, come si predica in Lombardia e Veneto.
Una vecchia idea pervenutaci dai popolari di Luigi Sturzo e che,grazie ai nuovi alleati che la Lega Nord ha trovato sul suo cammino, il Partito Democratico di Matteo Renzi, sta dilaniando lo Stato.   Il 2002 e stato l'anno della concreta attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. La cessione di sovranità che è avvenuta a favore delle Regioni, sulla base della nuova suddivisione delle funzioni legislative tra stato centrale e periferico ha aperta la forbice che sta ora dilaniando i rapporti tra il governo (Renzi arriva dopo Berlusconi, Letta, Monti e Prodi) e i governatori. Tutti si sono trovati a fare i conti con una situazione sempre più precaria dal punto di vista dei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sono proprio questi gli anni (dal 2001 ad oggi) in cui, non sarà un caso, il debito pubblico italiano è passato da 1.620 miliardi di euro (solo il 108% del Pil) a oltre 2.160 miliardi (più del 133% del Pil): in termini assoluti, 540 miliardi in più, uno score catastrofico

Castrazione chimica? I pedofili molto difficilmente sono suscettibili di terapie, impossibile cambiare clinicamente le devianze sessuali.





La castrazione chimica è un tipo di castrazione, solitamente non definitiva, provocata da farmaci a base di ormoni, indirizzata alla riduzione della libido e dell'attività sessualeIl farmaco più in uso attualmente è il medrossiprogesterone. Agisce sul cervello inibendo gli ormoni che stimolano i testicoli alla produzione di testosterone.
La castrazione chimica su base volontaria, è una realtà in 8 Stati degli USA, dov’è in vigore dal lontano 1997. Stesso discorso per il Canada, che consente ai condannati per pedofilia di ricorrere al trattamento farmacologico che riduce i livelli di testosterone.


In entrambi i Paesi, per i responsabili di crimini sessuali che accettano di sottoporsi al trattamento farmacologico con l’uso di sostanze che annullano il desiderio sessuale alcuni Stati consentono una riduzione della pena.

Attualmente la castrazione chimica è praticata anche in alcuni Paesi europei, tra i quali Russia, Svezia,Danimarca, Gran Bretagna, Germania Spagna e Francia, Norvegia, Polonia.
In Germania addirittura viene applicata – sempre su base volontaria, dopo una perizia medica e solo su uomini che hanno superato il 25° anno di età – dal 1969.
In Danimarca la legge, in vigore dal 1973, permette al colpevole di scegliere tra lo scontare la pena in carcere, abbinata a terapie psicologiche, e la castrazione chimica. Chi si sottopone al trattamento beneficia della libertà anticipata o di uno sconto di pena.
La Svezia l’applica dal 1993, e solo con il consenso dell’interessato e se quest’ultimo è suscettibile di diventare recidivo. Chi sceglie di sottoporsi al trattamento farmacologico riceve riduzioni di pena e benefici.
Anche in Spagna la castrazione chimica può essere applicata su base volontaria per i recidivi di violenze sessuali.
Le misure più restrittive nei confronti di coloro che commettono reati sessuali sono state decise in Francia nel 2007, dopo un fatto di cronaca che scosse l’opinione pubblica: un pedofilo, condannato già diverse volte per abuso su minori, appena uscito dal carcere venne nuovamente arrestato per aver stuprato un bambino di 5 anni. Anche in Francia la castrazione chimica è volontaria: può scegliere di sottoporvisi il reo, se giudicato pericoloso e a rischio recidiva.
In Gran Bretagna, dove lo stupro è punito con pene che possono andare dai 5 anni all’ergastolo, la castrazione chimica come opzione volontaria per coloro che sono stati condannati per reati sessuali contro i minori, è stata introdotta nell’ordinamento giuridico nel 2008. La legge prevede,qualora il condannato accetti di sottoporsi al trattamento, l’utilizzo di farmaci che riducono il livello di testosterone.
Pedofili e stupratori si possono veramente fermare con la castrazione chimica, come invocano Salvini e la Lega Nord (l'unica proposta di legge a riguardo fu presentata anni fa proprio dal leghista Calderoli), insieme ad altri esponenti del centrodestra come Alessandra Mussolini, che nel caso fosse applicata in Italia avrebbe potuto vederla applicata nei confronti del marito? Inibire chimicamente soggetti che si sono macchiati di crimini contro bambini e donne, risolve il problema?
Per attuare la castrazione chimica che mira a provocare atrofia testicolare si ricorre a due ormoni di sintesi, il leuprorelin (enantone) o il depo-provera (medroxyprogesterone), prevalentemente usati il primo per il trattamento del cancro prostatico ed il secondo come anticoncezionale. Entrambi i farmaci  bloccano la produzione da parte della ghiandola ipofisi dell’LH, ormone luteinizzante, che normalmente stimola la funzione testicolare. Pertanto, in assenza di questo stimolo ormonale ipofisario i testicoli rimpiccioliscono e cessano di produrre il testosterone, con scomparsa del desiderio sessuale».  Uno dei problemi di fondo è che la sessualità dell’uomo non è soltanto un fatto ormonale, permeata com’è da una quota psichica non testosterone-dipendente condizionata dal costume, dalla famiglia in cui il violentatore è vissuto, dalle sollecitazioni ambientali e mediatiche. Esiste pertanto il concreto pericolo che il soggetto in trattamento “si vendichi” della castrazione che la società gli ha imposto e, proprio perché privato del desiderio sessuale, infierisca in altro modo sulle sue vittime. Proprio l'aspetto più importante, la componente psichica, non è tenuta molto in conto dai fautori della castrazione chimica. 
 L'assunzione di sostanze per la castrazione chimica, incide negativamente sulla libido fintanto che la cura sussiste, per poi cessare ogni effetto in seguito alla sospensione della terapia. Da qui la necessità di affiancare un trattamento diverso, d'ordine psicologico e psicoterapeutico. Una seconda questione, investe proprio gli aspetti psico-motivazionali. Negli Stati Uniti una persona giudicata pericolosa o malata in questo senso può scegliere, in alternativa alla detenzione, un iter di riabilitazione che prevede sia l'intervento farmacologico sia la psicoterapia. La scelta dunque è solo parzialmente libera, poiché potrebbe essere una scelta di comodo, effettuata solo per abbreviare la detenzione. Gli psicologi che effettuano la psicoterapia sanno benissimo quanto conti, ai fini della riuscita della stessa, la motivazione personale al cambiamento che, in questo caso, sarebbe molto debole e solo strumentale all’evitamento del carcere. Nei Paesi dove la castrazione chimica è stata introdotta viene applicata come una pratica volontaria, perché oltre al problema di ammettere un trattamento sanitario obbligatorio come pena, c'è anche l’evidenza che la sua efficacia nella diminuzione della recidiva della violenza sessuale è stata rilevata come molto modesta. Pensare di forzare qualcuno alla castrazione chimica è difficilmente concepibile, tanto più che è possibile contrastare gli effetti del farmaco con sostanze antagoniste facilmente reperibili o farmaci che favoriscono l'effetto contrario, come ad esempio il Viagra o il Cialis. L’efficacia del trattamento è quindi difficilmente ipotizzabile in caso di volontà contraria del condannato.I pedofili molto difficilmente sono suscettibili di terapie, per cui non “guariscono” mai dal loro disturbo, perché è impossibile cambiare clinicamente le tendenze e le devianze sessuali. La castrazione, inoltre, può avere effetto solo per un periodo determinato e, una volta terminati gli effetti, nessuno garantisce la non recidività del soggetto. Ogni singolo pedofilo che si è reso colpevole di abusi sessuali a danno di bambini indifesi è vittima di gravi e incurabili devianze psicologiche ed egli stesso è vittima di atteggiamenti impossibili da prevenire e modificare, pur dopo una forte terapia ormonale. Esistono poi persone perfettamente coscienti, ma amorali e semplicemente incapaci di resistere ai loro più bassi istinti, che commettono reati sessuali e che non trarrebbero alcun beneficio dal trattamento chimico. Il vecchio sano carcere duro sembra attualmente ancora la migliore cura per queste devianze.

A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà,cancellando lo spirito settario, nel nome dell'Italia

 
AURORA DI SPIRITI RIDESTI. In questa ora solenne, il nuovo giuramento rievocante quello di Pontida, unisca tutti i cuori in una sola volontà. Dalla piazza di Trento, Dante Alighieri chiama a se' il figlio che morì per non morire: Cesare Battisti, l'annunziatore infallibile. Dalla piazza di Trieste, Giuseppe Verdi ispira la melodia trionfale che solleva laggiù, a Pola, dalla Fossa degli Impiccati, il cuore eroico di Nazario Sauro. O fede tenuta nell'ombra, ribattezzata nel sangue, custodita nella sventura come l'intatta spada nella guaina, rifulsa come l'alta lampada del faro tra nembi e marosi. Le sante milizie che i Comuni della Lega strinsero intorno al Carroccio, in una volontà di Vittoria, in un voto di morte, rivissero popolando di Eroi le desolate nudità del Carso, le contrastate rive del Piave, le aspre giogaie trentine. Sul giuramento di Pontida, la Patria riconiò il nuovo patto di fede. A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà, affinché, nelle officine e nei campi e fra il popolo si imparasse a mortificare e a cancellare lo spirito settario, nel nome d'Italia. Legnano fu grande, perché assai grande era l'Idea di Roma, sede del pensiero universale, erede del passato di gloria, tempio della preghiera, di quella che da diritto agli uomini di elevarsi fino a Dio. PASSEREMO!