Può apparire strano ma uno degli oggetti di cui i genitori ternani dotano le proprie figlie che frequentano o si apprestano a frequentare l'Università a Perugia è lo spray antiaggressione.
La decisione è motivata dalla frequenza di casi di molestie e di stupro avvenuti nel capoluogo regionale umbro. La vendita è legale solo per quelle bombolette che rispondono alle caratteristiche fissate dal Decreto Ministeriale n. 103 del 12 maggio 2011. Tale provvedimento ha stabilito gli standard tecnici affinché tali strumenti non arrechino offesa permanente alle persone. Se tali regole non vengono rispettate, gli spray di autodifesa sono considerati comuni armi da sparo e il loro impiego, anche se per scopi di autodifesa, può implicare, a seconda della pericolosità del materiale in essi contenuto, un grave reato penale o una semplice sanzione amministrativa .
Innanzitutto essi devono nebulizzare solo una miscela a base diOleoresin Capsicum(OC), sostanza derivata dal peperoncino di Cayenna.
Ogni confezione non può contenere una miscela superiore a 20 ml. (si deve trattare quindi di piccole dosi) e la percentuale di OC non può essere superiore al 10%, con una concentrazione massima pari al 2,5%.
La miscela erogata dal prodotto non deve contenere sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici.
Ogni bomboletta deve essere sigillata all’atto della vendita e munita di un sistema di sicurezza contro l’attivazione accidentale.
Lo spray può avere una gittata massima non superiore a tre metri.
Sulle bombolette devono essere rispettati alcuni requisiti di etichettatura (denominazione della ditta produttrice, istruzioni per l’uso, l’indicazione che l’utilizzo è consentito solo per sottrarsi a una minaccia o una aggressione che ponga in pericolo l’incolumità).
Lo spray antiaggressione si può trovare ovunque. Su internet, nei negozi soft air, nelle armerie, nei negozi di videosorveglianza, perfino nei supermercati e nelle farmacie (a Terni: Delta Force in via Montanara 47). La vendita, infatti, è libera, ma solo Solo chi abbia compiuto almeno 16 anni può acquistarlo. È vietato vendere il prodotto ai minori di tale età. Lo spray antiaggressione è efficace, può immobilizzare l’uomo per circa 20 minuti. Tuttavia, esso non è in grado di causare lesioni permanenti.
Serbate inviolato il principio
sul quale si fonda la vostra esistenza come Nazione. Questa voce non è spenta e
si fa sentire ancor oggi monito e rampogna contro i fiacchi rassegnati…
In questo momento Oberdan ha
ancora qualche parola da dire al popolo italiano che sta subendo nuovi soprusi
e dolorose rinunzie. …Ora da un pezzo tacciono le rane petulanti,mentre l’eroe
e il poeta sono assunti numi tutelari, nel Pantheon dell’anima nazionale. E
tale pure sarà la sorte dei mentori pigmei che garriscono contro l’uomo –
Sentinella d’Italia: le loro parole saran presto polvere dispersa, mentre lui grandeggerà
sempre più in alto e radioso nel cielo della Patria.
Non popolo arabo, non popolo
balcanico, non popolo antico ma nazione vivente, ma nazione europea: e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti, governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino! Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti, tra case coloniali scrostate ormai come chiese. Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti, proprio perché fosti cosciente, sei incosciente. E solo perché sei cattolica, non puoi pensare che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male. Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
Alla mia Nazione
da "La Religione del mio tempo" dove il tema centrale è la latente
omologazione del neo-capitalismo, la desistenza rivoluzionaria e il
conseguente vuoto esistenziale.
Suona la tromba, ondeggiano Le insegne gialle e nere Fuoco, per Dio, sui barbari, Sulle vendute schiere. Già ferve la battaglia, Al Dio dei forti osanna: Le baionette in canna!
Su Napoleone Bonaparte sappiamo ormai tutto, sono
centinaia di migliaia i testi che gli sono stati dedicati da biografi e
storici. I maniaci hanno rilevato giorno per giorno i suoi movimenti da Tolone
a Waterloo. I nostalgici hanno ripercorso i suoi itinerari. I topi da
biblioteca hanno fatto l’esatto censimento delle sue amiche di un’ora , e i più
tenaci sono arrivati ad identificare tutti i membri di un “Clubdegli amici della Costituzione” di cui Napoleone, giovane tenente
di artiglieria, ha fatto parte, a Valenza. Lui stesso a Sant’Elena ha narrato i
suoi ricordi. Tutti quelli che gli sono stati accanto, grandi marescialli o
cameriere, hanno scritto le loro memorie. Giuseppina ha custodito le sue
lettere d’amore. La sua storia l’ha messa in scena lui stesso. Ne ha suggerito
i dialoghi, in cui sembrache non abbia
mai pronunciato altro che frasi storiche. Ne ha fatto dipingere gli scenari,
dal ponte di Arcole al cimiterodi
Eylau. Tutti i temi sono esaltati dall’arte di pittori famosi. Lo sfondo delle Piramidi,
il passaggio delle Alpi, i pugnali del cinquecento, il sole di Austerliz. Tutti
i personaggi al loro posto, anche mamma Letizia nel palco d’onore
dell’incoronazione, quando invece sappiamo, che non partecipò alla cerimonia. O
il Primo Console in sella al suo cavallo impennato,che indica con il dito le vette delle Alpi,
dove scolpiti nella roccia sono visibili tre nomi: Carlo Magno, Annibale,
Bonaparte. Uno dei più superbi quadri di David: il valico del passo del Gran
San Berardo. In realtà il viaggio fu fatto a dorso di mulo, da Martigny fino al
famoso convento. Da Tolone dove contribuì alla presa della città insorgente,
sino al sangue versato sul sagrato di Saint Rock, Bonaparte sostenne la Convenzione. Appena
qualche anno dopo la
Rivoluzione, ed i grandi proclami che ne sono susseguiti,
l’esercito era rimasto l’unico punto fermo, in un quadro generale piuttosto
instabile. Stabilità chiede invece la borghesia. Ecco che i regicidi si
trasformano in notabili. Si conserva il ballo del 14 luglio, ma si sopprime
quello del 21 gennaio, che festeggia la morte di Luigi XVI. Non si danza più
sui cadaveri. Non si esige più la testa del vicino: più prosaicamente , lo si
porta davanti al giudice di pace. Velocemente siamo passati da Chodelos de
Laclos a Balzac, dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo al Codice Civile.
Sade viene messo in manicomio a Charenton. A breve nascerà Victor Hugo. Gli
“assegnati “ vivono gli ultimi giorni. La Banca di Francia consolida le sue finanze , e
l’oro farà presto la sua ricomparsa, coniato col profilo incisivo del nuovo
Cesare. Il potere è finito nelle mani di ragazzini: Napoleone ha 26 anni, Junot
e Murat 24, Marmont 21. Coloro che gli furono più cari, diventarono
marescialli, duchi, principi o re. Ma Junot si suiciderà, Bertier farà la
stessa fine, Murat verrà fucilato in una prigione calabrese, Marmont, bollato
come traditore da melodramma, trascinerà dolorosamente, la sua maschera di
Giuda. Lannes morirà dopo una lunga agonia in seguito all’amputazione delle
gambe. Leclerc cadrà vittima della disperazione e della febbre gialla
nell’isola della Tortue. La
Harpe non arriverà più in la di Lodi, Mouiron non
oltrepasserà il ponte di Arcole. Nessuno scriverà tante lettere di condoglianze
a giovani vedove quante ne ha scritte Napoleone. Mentre in tutti gli angoli d’Europa insorgenti
preparano imboscate. E’ la risposta dei popoli all’offensiva dell’Utopia, alla
smania normativa e prescrittiva della borghesia, che prendeva forma attraverso
la codificazione, che avrebbe introdotto modernità e sviluppo.
Ma la
battaglia di Lipsia alla metà dell’ottobre del 1813 metteva fine ai sogni napoleonici
dell’Impero universale costruito a colpi di cannone. A partire da quel momento
le Armate Alleate lo costrinsero alla ritirata su tutti i fronti. Anche gli
organismi statali napoleonici o filo napoleonici, crollarono sotto la pressioni
dei popoli e degli eserciti delle potenze coalizzate.
La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi risuoni, qual era, la terra
dell'armi! Di cento catene ci avvinser la mano, ma ancor di Legnano -
sa i ferri brandir... l'Italia non doma, non crescono al
giogo le stirpi di Roma: più Italia non vuole stranieri tiranni, già
troppo son gli anni - che dura il servir. Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora, va fuora d'Italia, va fuora, o stranier.
Luigi Mercantini da "La spigolatrice di Sapri"
Marcia «L'addio del volontario» o «Addio, mia bella, addio»
March «Farewell of the voluntary» Марш «Прощание волунтёра»
Non è la Patria il comodo giaciglio per la
cura e la noia e la stanchezza; ma nel suo petto, ma nel suo periglio chi ne
voglia parlar deve crearla. Carlo Michelstaedter
Nel contesto
della questione italiana c'è anche la questione degli intellettuali, il loro
ruolo di fronte alla nazione. Da tempo gli intellettuali hanno perso ogni ruolo
orientativo nella società: taluni bamboleggiano e cirioleggiano, parlando
d'altri; altri si affiliano all'industria culturale tentando di recuperare nei
media una centralità vistosa ed apparente, perduta nella società, diventando
indossatori culturali delle mode di stagione. Chi resta, cede al gusto o al
disgusto dello sfascio e si nega ad ogni discorso ulteriore, ad ogni apertura
al mondo, allo spirito pubblico, ad ogni integrazione collettiva. E' però
necessario che ci si liberi anche in questo caso di quel complesso di
autodenigrazione dell'intellettuale italiano. Esempi miserabili di
opportunismo, camaleontismo o pura ignavia ce ne sono tanti. Ma non va
dimenticato che non sono stati pochi gli intellettuali italiani che hanno
pagato di persona il loro legame con la propria idea dl'Italia: lo hanno pagato
a volte con entusiasmo, a volte anche con disincanto. Si pensi all'iterventismo
culturale della prima guerra mondiale, ma anche a figure come Gobetti, Gramsci,
e poi Gentile, Marinetti, Soffici; o alla generazione di Berto Ricci o quella
di Gaime Pintor. Sono numerosi gli esempi di intellettuali che scontarono il
proprio impegno pubblico sulla propria pelle, a volte a prezzo della propria
vita. Abbiiamo anche una tradiizone di dignità che non è giusto dimenticare.per
lasciare posto solo agli intellettuali da diporto, agli intellettualòi vanesi o
a tassametro, con rimborso a piè di lista. Quelli che non scrivono nè si espongono
se non per fatto personale.
Quando pareva che l'esausto cuore si fosse chiuso insieme alla ferita e la malinconia dopo il dolore si fosse dei miei giorni impadronita;
quando non davo peso nè valore alla impetrata grazia della vita, a me venisti intrepida d'amore e la gioa mi fu restituita.
Prima che il grido diventasse canto, e giacevo a me stesso sconosciuto sentii che il cielo mi passava accanto,
da quel momento non ho più saputo che fosse grave l'ombra o amaro il pianto: e scordare si può di aver veduto. Sonetto dedicato da Carlo Delcroix a sua moglie
Puoi riconoscere vari personaggi esempio di Eroismo Ardito: Francesco Baracca, Italo Balbo, Gabriele D'Annunzio, Ettore Muti Enrico Toti, Ardito Desio, Elia Rossi Passavanti, Edoardo Sala.
Un’aquila sublime apparì nella luce, d’ignota stirpe titania, bianca le penne.
Ed ecco splendere un peplo, ondeggiare una chioma...
Non era la Vittoria, l’amore d’Atene e di Roma,la Nike, la vergine santa?
Italia! Italia!
La volante passò. Non le spade, non gli archi, non l’aste, ma le glebe infinite.
Spandeasi nella luce il rombo dell’ali sue vaste e bianche, come quando l’udìa trascorrendo il peltàste su ’l sangue ed immoto l’oplite.
Italia! Italia!
Il tempo ha logorato le fasce dai tanti vivaci colori e i rossi turbasc hanno stinto, ma non ha vinto il nostro ricordo, l'affetto per voi, umili eroi.
Video: immagini girate presso la Casa Museo di Elia Rossi Passavanti in via Sant'Agape in Terni
29
ottobre 1917: .... sono circa le cinque del pomeriggio quando un gruppo
di dragoni entra al galoppo in Pozzuolo del Friuli: si tratta del I
plotone del 1° squadrone del "Genova " che precede in avanscoperta il
grosso del reggimento. Lo comanda il sergente Elia Rossi Passavanti, un
valoroso che porta sul petto i nastrini di due medaglie d'argento. Le
strade sono deserte, le finestre chiuse, le porte
sbarrate, perché già un nucleo motorizzato nemico tiene il paese sotto
il tiro delle mitragliatrici. Ma Passavanti non vi dà peso; ha il
compito di esplorare la strada che conduce a Udine e quindi, lasciato il
comando dei suoi trenta dragoni a un caporale, si avvia tutto solo, al
piccolo trotto sulla sua cavalla Vienna, mentre la pioggia continua a
cadere fastidiosa e insistente. Non ha fatto molto cammino, quando, a
una svolta, deve all'improvviso rallentare l'andatura e fermarsi: nella
conca leggiera che il ciglio della strada contorna, gli è apparsa una
marea di soldati con l'uniforme grigio azzurra, di cannoni, di
autocarri, di cavalli. Subito una raffica si abbatte sulla strada.
La cavalla con una impennata e un alto nitrito forza la mano al
cavaliere e si lancia ventre a terra verso Pozzuolo del Friuli. Ma
appena fuori dal tiro rallenta, inciampa, tenta addirittura di fermarsi,
ansimando. Passavanti non sa capacitarsi di un simile strano
comportamento e, visti vani gli incitamenti, deve, per la prima volta
con la sua Vienna, usare gli speroni e persino colpirla a piattonate con
la sciabola se vuole farle riprendere il trotto e rientrare a Pozzuolo.
Nel frattempo è arrivata in paese l'intera brigata, in piazza Julia il
generale Emo Capodilista e i due colonnelli attendono il sergente
esploratore che, senza scendere da cavallo, fa il suo rapido rapporto.
Partono immediati gli ordini. Soltanto allora la povera Vienna
stramazza, trascinando nella caduta il cavaliere. Quando questi si
rialza, può finalmente rendersi conto che la fedele compagna ha compiuto
fino all'ultimo il suo dovere perché ha un orribile squarcio nel petto e
il sangue che ne esce già dilaga in larga pozza sul selciato. Le
ore che seguono, della sera del 29, della notte, e della giornata del
30, sono quelle, ormai consegnate alla storia, della sanguinosa,
gloriosa difesa di Pozzuolo del Friuli. Quello che fa Passavanti in
quell'inferno è coerente col suo passato: sempre calmo, sempre
lucidamente sereno, si batte sulle barricate, sorregge i suoi uomini con
l'esempio, rincuora i feriti e i morenti; vedendo in pericolo il
colonnello Bellotti, comandante del suo reggimento, gli fa scudo e
riceve in sua vece la pallottola che poteva ucciderlo; poi, dopo una
sommaria medicazione, torna a combattere. Verso le 17,30, quando già
più di metà dei nostri sono morti o feriti, il comandante giudica
assolto il compito assegnato alla sua brigata ed ordina ai superstiti di
rimontare a cavallo per tentare di forzare la cerchia nemica. Fra il
fragore dei colpi e i lamenti dei feriti suona il buttasella. Ha
cessato intanto di piovere e un pallido sole illumina il tramonto. E' in
questo preciso momento che per Passavanti succede il peggio. Una
granata scoppia a pochi passi da lui; egli avverte come una tremenda
mazzata, barcolla e perde i sensi. Quando, poco dopo, come
risvegliandosi da un incubo, riprende conoscenza, un velo caldo di
sangue gli cola sul viso dalle ferite che le schegge hanno aperto ancora
una volta nella sua fronte. Ma non è solo il sangue ad annebbiarlo:
proprio non ci vede più. Lo prende il terrore di essere rimasto solo
nel paese invaso dal nemico. Non è cosi, invece; sente avvicinarsi lo
scalpitio di alcuni cavalli lasciati liberi; gli pare di riconoscerne
uno dal nitrito e lo chiama: " Quò..., Quò... ". L'animale, docile, gli
si ferma accanto e Passavanti riesce a issarsi in sella. Quò è un
generoso maremmano del suo squadrone, un po' stravagante, ma che conosce
bene il suo dovere, e raggiunge di slancio la coda dell'ultimo gruppo
che sta tentando di aprirsi un varco verso Santa Maria di Sclaunicco. Lo
formano il colonnello Bellotti, il porta stendardo e pochi altri
dragoni bendati e insanguinati. Davanti alla loro improvvisa
apparizione, che irrompe al galoppo sullo stradone, i mitraglieri nemici
tacciono, forse, sorpresi da tanta audacia, forse ammirati da tanto
sfortunato valore. Il gruppo si perde lontano. Quò per un poco lo segue,
poi se ne va per conto suo, perché il cavaliere non è in grado di
guidarlo, ed è già un miracolo se riesce a tenersi in arcione con quella
testa sempre più pesante. Comincia così l'epica cavalcata di
Passavanti lungo le strade e per i campi del Veneto, sotto il cielo
autunnale gravido di pioggia, fra colonne di truppe in ritirata, fiumane
di profughi che cercano di sfuggire all'invasione, cigolio di ruote,
rombo di motori. Quò ha percorso quei luoghi altre volte durante le
manovre, e l'istinto lo guida. Il cavaliere, invece, va come in un
sogno; ha il pallido viso rigato di sangue, l'uniforme inzuppata di
pioggia e sporca di fango, l'elmetto gettato dietro le spalle. Nel
delirio della febbre la sua mente ogni tanto si smarrisce nel nulla.
Soltanto un'idea rimane netta nel subcosciente: quella che non deve a
nessun costo cadere dalla sella, perché sarebbe la fine.
Quanto
tempo trascorre cosi? A Passavanti sembra che ora sia notte, poi che
sia tornata la luce. Per quattro giorni Quò va senza cercare mai cibo,
né acqua. Pare non debba più fermarsi. E invece ecco che un mattino,
intorno al cieco momentaneamente sopito, si levano voci note che lo
chiamano per nome. Il valoroso Quò è riuscito ad arrivare a Treviso,
nella sua caserma, e scalpita ora perché il cavaliere finalmente scenda,
e lo lasci libero, povero cavallo schiantato dallo sforzo, di adagiarsi
per terra e di morire.
(dalla rivista OGGI, anno XXI - Numero 21 - 27 maggio 1965).
non mi dire come sei fatto perché ormai ti conosco non promettere cio' che non vuoi perché io non ci casco non mi dire che cerco i miei guai tanto io non lo nego le tue parole sono carta straccia uomini ed eroi sono come una freccia la forza di volontà è una questione di testa e di cuore di lacrime e di buon umore, l'esempio che annienta le tue parole il pugno di Carnera sul mondo, le Voloire sguainare tra i ghiacci sul Piave andata e ritorno, del futurismo i colpi e gli slanci come un volo dannunziano, cannoni dal ventre di acciaio sul tetto di questo mondo sventola il tricolore italiano! è il ruggito della belva, l'assalto del leone la schiena sempre dritta, grandezza, esempio e slancio questo mondo non basta tutto il resto non conta è il ruggito della belva, l'assalto del leone
la schiena sempre dritta, grandezza, esempio e slancio