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Dubai City la grande porcilaia della penisola arabica











DUBAI CITY - Si vedono solo la notte. Aspettano sedute, nelle centinaia di locali e discoteche che tengono sveglia Dubai fino al mattino. Giovanissime, alcune appena diciottenni, pelle chiarissima, corpi minuti, stretti in jeans attillati e vestiti cortissimi. Lo sguardo, nascosto dalla falsa sicurezza con cui si presentano ai clienti, è per tutte lo stesso: di paura. «Ciao come stai? Posso offrirti qualcosa da bere?» «Sono 1500 dirham se vuoi passare la serata con me». «Come ti chiami? Di dove sei?» «Nargiza, sono russa amico». I clienti li trovano così oppure direttamente negli appartamenti, su appuntamento, ma sempre al chiuso e senza dare troppo nell’occhio.
Perché negli Emirati Arabi Uniti la prostituzione, secondo le legge della sharia, è vietata e illegale: la pena è di minimo quattro anni di carcere per le donne e altrettanti per i clienti. Dubai, come la definiscono in molti, “parco dei divertimenti della penisola arabica”, è diventata una nuova rotta del traffico di donne. Arrivano dalle Filippine, dalla Cina, dall'India, ma le più richieste sono bianche provengono dall'Europa,  dalla Moldavia,  dalla Russia,  dal Kirghizistan, e poi da Ucraina, Kazakistan, Armenia, Tagikistan, Bielorussia, Turkmenistan, Georgia, Azerbaigian.

Quantificare il fenomeno è difficile in ogni parte del mondo, ma negli Emirati i dati ufficiali cercano di celare la gravità della situazione, mentre le Ong e le associazioni in difesa delle vittime sono ostacolate e hanno bisogno di una concessione governativa per operare e per raccogliere fondi. È certo, però, che il traffico di esseri umani ha raggiunto proporzioni gigantesche ovunque, soprattutto gli Emirati ed Israele: secondo l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (l’Oim) rappresenta il terzo mercato mondiale dopo il traffico di armi e di droga, con profitti che toccano ogni anno i 13 miliardi di dollari. La tratta a fini di sfruttamento della prostituzione incide per il 79% sull’intero fenomeno del traffico di esseri umani e coinvolge ragazze sempre più giovani. Negli Emirati non è diverso: ogni ragazza russa rende tra 60mila e 80mila dollari all’anno. I clienti sono principalmente arabi, che arrivano a Dubai dall'Arabia Saudita e dagli altri paesi della penisola arabica.
Juergen Gasiecki, amministratore della chiesa ortodossa del Paese, vive negli Emirati da dieci anni: ha cercato di aprire una Ong e un rifugio protetto per le vittime, ma il Governo degli Emiri  non lo ha permesso. Così lavora nell’ ombra, ma ha sotto gli occhi la tragica realtà della tratta delle ragazze russe. 
Un altro dato fa chiarezza su come venga affrontata la tratta nel Paese: Dal 2006 esiste una legge contro il traffico degli esseri umani (la numero 51), ma è molto debole e, soprattutto, non fa cenno al supporto alle vittime. I trafficanti sono punibili da 5 anni alla pena di morte, ma da quando è entrata in vigore le condanne definitive si contano sulla punta delle dita: solamente sette. Al contrario, per una ragazza è quasi impossibile ricevere protezione dal Governo: se vanno alla polizia e denunciano la situazione, vengono arrestate come prostitute. Inizia così una lunga trafila, che richiede avvocati e contatti, e che nella migliore della ipotesi le porta in un rifugio protetto del Governo, più simile a un carcere che a una casa dove ricevere supporto.
Le ragazze vengono contattate da persone delle quali si fidano che promettono loro stipendi altissimi  Questa donne sono vittime molto fragili. 
Ma come avviene il viaggio? Che rotte segue? Malika Matchanova lavora per l’Oim di Tashkent: Quasi sempre i trafficanti usano passaporti falsi e a tutte viene promesso uno stipendio di 1000-2000 dollari al mese. Se hanno contratto dei debiti, anche dopo averli ripagati, sono costrette a prostituirsi ancora oppure i trafficanti le vendono ad altre organizzazioni. E' un circolo vizioso, senza una fine».  «Un giorno ero al lavoro – racconta una di loro  - e non ho più trovato il passaporto, mi è sparito. I miei datori, allora, mi dissero che mi avrebbero aiutata ad andare a Dubai: una città ricchissima, dove lavorando in un ristorante avrei guadagnato molto di più. Mi hanno detto che avrebbero pensato loro a tutto, anche a procurarmi un nuovo passaporto». Dinara si è presentata all'aeroporto di Tashkent, una mattina all’alba: le è stato dato un biglietto aereo di sola andata e un falso passaporto kazako. Così è partita, insieme al suo datore di lavoro, che l'ha accompagnata fino a Dubai. Una volta atterrata, è stata consegnata ad altri uomini. «Appena arrivata – prosegue - mi hanno portata in un appartamento dove vivevano molte altre ragazze. Qui eravamo controllate da un’altra donna. Nelya, questo il nome della mia sfruttatrice, si è avvicinata e mi ha detto subito: bene, da oggi dovrai lavorare come prostituta. Io le dissi che ci doveva essere un malinteso, che i miei datori di lavoro mi avevano assicurato un lavoro come cameriera. E lei mi svelò la verità: ero stata venduta proprio da loro, per 15.000 dollari».
Dinara non aveva scelta e ha cominciato a lavorare come prostituta. I clienti la sceglievano direttamente nella casa in cui viveva con le altre ragazze: «Se mi lamentavo venivo picchiata, regolarmente – racconta -, porto ancora le cicatrici delle botte sul mio corpo». A un certo punto si è resa conto che chi non si ribellava poteva stare fuori con i clienti anche una notte intera. Era quella l'unica possibilità per fuggire. Un giorno un cliente indiano l'ha richiesta e Dinara gli ha raccontato tutto: «Non avevo nulla da perdere – dice oggi -. Sono stata fortunata, ho incontrato un uomo molto buono: mi ha subito portata a casa di un suo amico e sono stata nascosta lì, per molti mesi. Poi con l'aiuto della Chiesa ortodossa di Abu Dhabi e dell’Oim in Uzbekistan sono riuscita ad avere il mio passaporto e tornare a casa».
La maggior parte delle ragazze, peró, non riesce a sottrarsi dalla schiavitù. Come Nargiza, appena 19 anni, anche lei uzbeka. Ha provato a chiedere aiuto a un cliente tedesco che per la sua libertà ha pagato perfino 5mila euro alla donna che la controllava, ma non è servito a nulla: Nargiza la sera è ancora lì, seduta al bancone nella discoteca di un noto hotel della città vecchia. E spesso ci sono anche bambini, nati negli Emirati, da violenze o da rapporti sessuali non protetti. Lo scorso anno Juergen e Lena ne hanno assistiti 13, insieme alle loro mamme. La gravidanza fuori dal matrimonio è illegale nel Paese, così come l’aborto. «Da me vengono in media due o tre donne al mese: mi dicono che sono incinte e non sanno che fare - spiega la dottoressa Shashikala, che si è trasferita a Dubai cinque anni fa dall’India e ha un piccolo studio medico a Karama, un quartiere popolare della città -. Il Governo non offre supporto di nessun genere e associazioni che si occupano di questi problemi non ce ne sono.