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2 giugno 1948: interrogazione degli onorevoli Almirante, Mieville, Michelini, Roberti, Russo Perez, al Ministro degli affari esteri, per conoscere quali misure siano state prese per la tutela degli italiani dell’Istria e della Dalmazia

In questa foto Giorgio Almirante con Sandro Pertini
 Cerimonia del Ventaglio 26 luglio 1968

PRESIDENTE. Passiamo allo svolgimento dell’interrogazione degli onorevoli *Almirante, Mieville, Michelini, Roberti, Russo Perez, al Ministro degli affari esteri, ((per conoscere quali misure e quali provvidenze siano state prese o predisposte al fine di tutelare i diritti e gli interessi degli italiani dell’Istria e della Dalmazia, i quali, avendo optato in questi giorni per l’Italia, sono ostacolati in tutti i modi dalle autorità jugoslave, sino al punto di essere spogliati anche dei loro effetti personali 1). L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere. .BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. È noto che il Trattato di pace, all’articolo 19, paragrafo 29, attribuisce al Governo jugoslavo la facoltà di adottare misure legislative appropriate per l’esercizio del diritto di opzione di tutte le persone di lingua italiana domiciliate al 10 giugno 1940 nelle zone cedute. ’I1 Governo jugoslavo emanò infatti, nei limiti di tempo indicati dal Trattato, norme di legge che regolano minutamente le modalità relative. Per quanto il Trattato stesso non facesse esplicita menzione della facoltà per l’Italia di intervenire nella materia, pure il Governo italiano non esitò a prendere posizione, nell’interesse di migliaia e migliaia di italiani, nel momento in cui si decideva il loro destino. Ancor prima che fossero conosciute le disposizioni jugoslave, si provvide con circolare 6 novembre 1947 ad illustrare le disposizioni a tutti i nostri uffici consolari e diplomatici, mettendoli in gràdo di continuare la protezione e l’assistenza agli istriani, giuliani e dalmati all’estero, cercando di evitare inutili attriti con le autorila jugoslave. In data 6 febbraio ultimo SCÒ~SO, essendo venuto .a conoscenza - ancora non, in via ufficiale - delle disposizioni jugoslave, il Ministero per gli affari esteri si affrettò a chiedere precisazioni alla Legazione jugoslava in Roma sulle modalità della presentazione delle domande di opzione, sui documenti da allegare, sulla lingua in cui le di- . chiarazioni dovevano essere redatte, sulle spese inerenti ecc., ponendo nel dovuto rilievo che molti erano coloro che si erano già trasferiti sul territorio nazionale, e la necessità, quindi, di adeguare le modalità per l’esercizio del diritto. di opzione alla loro posizione di profughi dispersi per tutta 1’11alia. In tale occasione il Ministero .degli affari esteri, richiamandosi a nome stabili te nei trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale, credette di dover avanzare una formale riserva nei riguardi della disposizione jugoslava secondo, cui l’attestato della lingua d’uso all’optante deve essere rilasciato dai comitati popol,ari jugoslavi. Su questa disposizione del Governo jugoslavo richiamo l’attenzione della Camera affinché, attraverso questo dibattito e l’azione dei deputati, essa sia chiaramente spiegata agli interessati; nel senso che il Governo italiano non può per nulla intervenire, e che l’accertamento della lingua d’uso viene fatto esclusivamente dai comitati popolari jugoslavi, i quali agiscono con le facoltà e le possibilità di organi di siffatta natura. I trattati che chiusero l’altra guerra, con spirito di ben maggiore equanimità, ammettevano che gli optanti potessero pro, vare con ogni mezzo, compreso l’att,o notorio, quale fosse in effetti la lingua da loro usata: È chiaro infatti che l’accertamento della lingua d’uso può risentire delle diverse vaIutazioni adottate, e quindi mal si presta ad essere rimessa all’autorità locale in zone mistilingue, come sono quasi tutte le zone di frontiera. La riserva che noi poniamo si risolverebbe in sostanza nella offerta della nostra collaborazione per dirimere punti controversi, per evitare equivoci, e partiva dal presupposto che fosse interesse comune jugoslavo e italiano procedere all’accertamento della lingua d’uso in condizioni tali da non lasciare dubbi o sospetti di parzialità. Ma il Governo jugoslavo, che pure aderì a quasi tutti i punti da noi prospettati concedendo facilitazioni a favore degli optanti stabiliti in Italia, insistette nel sostenere che l’accertamento della lingua d’uso da esso, adottato è conforme al Trattato di Pace. Con ciÒ ci fu definitivamente preclusa ogni p-ossibilità di intervenire in una materia tanto delicata e l’accertamento che la lingua d’uso degli optanti è quella italiana rimase affidato agli uffici jugoslavi. Poiché gli onorevoli interroganti sembrano riferirsi particolarmente alla situazione di coloro che si trovano tuttora in Jugoslavia, chiedendo di conoscere le misure e le provvidenze adottate dal Governo per la tutela . dei loro diritti ed interessi, ritengo doveroso ricordare che, secondo la tesi jugoslava, per il paragrafo 10 dell’articolo 19 del Trattato di Pace, le persone domiciliate alla data del i0 giugno i940 nei territori ceduti sono diventate, anche se con riserva dell’opzione, cittadini dello Stato jugoslavo. L’optante è perciò considerato cittadino jugoslavo fino al momento in cui un decreto del Ministero dell’interno croato o sloveno non avrà riconosciuto l’opzione da lui esercitata per la cittadinanza italiana. Ciò. significa che la difesa dell’optante da parte dei Consolati e delle Delegazioni italiane in Jugoslavia si urta contro limiti^ precisi, quali sono definiti dalla prassi del diritto internazionale, sino a quando questi cittadini rimangono nei confini dello Stato .che li considera suoi propri, cittadini. Va riconosciuto che la Jugoslavia, in sede di emanazione di queste norme, si i! strettamente attenuta ai termini letterali del Trattato. Aggiungo che, sia pure con ritardo, le autorità jugoslave hanno accolto i passi esperiti da noi per una più equa applicazione delle norme stesse da parte delle autorità locali. Ma purtroppo gli inconvenienti non poterono essere rimossi. Va detto chiaramente che la vita è dura, molto dura per chi ha esercitato il diritto di opzione’ ed è in attesa della decisione jugoslava che gli riconosca la cittadinanza italiana. Per 1’au’- torità locale egli è ancora ‘jugoslavo, peggio, uno jugoslavo che ha dichiarato di non volerlo più essere: privato del lavoro e delle carte annonarie l’optante deve vivere di ripieghi, vendendo il vendibile in attesa del decreto che gli riconosca la qualità di straniero nonché del visto di uscita che gli consenta di iniziare il viaggio di trasferimento per l’Italia. È appena il caso di aggiungere che le difficoltà fatte da qualche autorittt locale finiscono per creare, anche forse contra la volontà di coloro stessi che usano tali mezzi, uno stato di costrizione che non pu+ non riflettersi sulle decisioni di chi può optare. Posso comunque assicurare che la Legazione di Belgrado e il Consolato generale di Zagabria si adoperano come possono per cercare di far migliorare le condizioni di vita degli optanti. Con la notifica del decreto del competente Ministero dell’interno jugoslavo, l’optante viene riconosciuto quale italiano e come tale ha i doveri e i’diritti di tutti gli stranieri e quindi può finalmente valersi dell’assistenza consolare italiana. Nell’intento di dare una assistenza, in quanto possibile, pronta e larga, ai nostri connazionali ed offrire alla vicina repubblica una concreta collabora-, zione per l’operazione di opzione, noi chiedemmo di potere aprire Uffici consolari nelle città dove presumibilmente si sarebbe accentrata la massa degli optanti. In particolare insistemmo e continuiamo ad insistere per l’apertura di un Consolato a Fiume, essendo ,umanamente impossibile che a Zagabria, centro di circoscrizione che comprende le intere Repubbliche di Croazia e Slovenia si possa seguire da vicino la posizione dei singoli italiani in circostanze tanto eccezionali. Nell’attuale momento i nostri connazionali devono fare capo a Zagabria per avere un passaporto provvisorio, un documento, un timbro qualsiasi. Per riparare; in quanto possibile, gli inconvenienti lamentati il Consolato di Zagabria ha ricevuto istruzioni dal Ministero di intensificare le visite personali a Fiume e ad altri centri. Gli onorevoli interroganti fanno cenno di difficoltà frapposte dalle autorità jugoslave contro coloro che hanno optato per l’Italia. Bisogna dire che il visto di uscita dalla Jugoslavia si fa talvolta troppo abtendere. .Si aggiunga che i visti di uscita jugoslavi hanna validità di 15 giorni e le disposizioni che regolano la vita dello straniero in Jugoslavia risentono tuttora delle restrizioni del periodo bellico. E così effettivamente si è verificato qualche caso di nostri connazionali i quali, dopo’avere lungamente atteso, dovettero poi partire precipitosamente senza potere aspettare il mezzo che consentisse loro di farsi accompagnare dalle masserizie. Quanto al trasporto dei connazionali e alle’ pratiche doganali e di frontiera, le Amministrazioni italiane hanno già preso le opportune disposizioni di loro spettanza. Comunicammo al Governo jugoslavo che eravamo pronti ad offrire la disponibilità di 10 vagoni al giorno che, facendo capo a Fume, potevano risolvere il probleqia dei trasporti giuliani. Da parte jugoslava ci fu invece risposto di avere già la quantità di vagoni occorrenti ai rimpatrianti. Sono tuttora in coi’s0 pratiche per l’invio a Zara di un piroscafo capace di circa 300 persone, ma secondo le più recenti comunicazioni sembra che il Governo jugoslavo si proponga, come per i mezzi terrestri, di provvedere con i suoi propri niezzi marittimi. Per quanto concerne l’esportazione dalla Jugoslavia dei beni mobili, il trasferimento dei fondi e valuta, la vendita e la custodia dei beni immobili e in genere ogni questione relativa ai beni degli optanti, va ricordato che l’Allegato 14 del Trattato di pace ne rimette la definizione delle condizioni e delle modalità ad accordi fra i due Governi. Sono lieto di annunziare che una nostra delegazione, è in viaggio per Belgrado ove si incontrertt con quella jugoslava. Da parte del Governo di Belgrado si sostiene che la questione dei beni degli optanti è connessa’ con altre di carattere economico e finanziario, pure comprese nel citato paragrafo 14. Noi non rifiutiamo di discutere il complesso di questioni che ci viene proposto, ma dobbiamo insistere, per delle ragioni sopratutto umane, che nell’ordine dei. lavori della conferenza si dia la precedenza assoluta alla trattazione di quelli relativi ai beni degli optanti ed in questo senso sono state date categoriche istruzioni alla nostra delegazione. * Desidero, infine, informare la Camera che su conformi istruzioni impartite, il Ministro d’Italia in Belgrado, ha intrattenuto il 9 corrente il Viceministro degli affari esteri jugoslavo Bebler su tutto l’andamento delle opzioni e sugli inconvenienti e sulle diEcoltà, talvolta gravi, che incontrano quanti optano per la cittadinanza italiana. I1 Ministro Martino, venuto in- questi giorni a Roma, ha riferito di aver ricevuto ampie assicurazioni che le questioni per le quali vi è in questa Camera tanta giustiiicata apprensione, saranno oggetto del più attento esame da parte del Governo jugoslavo. I1 Ministero degli esteri, con queste chiare, precise e dettagliate comunicazioni ha voluto rispondere agli interroganti, cui va il merito di aver sollevato questa importante questione in un momento di ansia come l’attuale, e dimostrare al Paese tutta la sua preoccupazione per risolvere al più presto i problemi di questi nostri connazionali, i quali stanno per diventare italiani superando difficoltà e sopportando dei sacrifici pei’ i quali da questa Camera deve partire oggi un benvenuto cordiale e affettuoso, che dia loro la sensazione che, dopo aver tanto patito e sofferto, entreranno in Italia in una grande famiglia ! (Vivissimi applausi a sinistra, al centro e a destra). PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto. ALMIRANTE. Onorevole Sottosegretario, le sue dichiarazioni, di cui la ringrazio - e oso ringraziarla non solo a nome mio e dei miei colleghi, ma di tutta l’Assemblea ... (Rumori alt’estrema sinistra) o per lo meno, degli italiani che in questa Assemblea si trovano, esclusi coloro che rifiutano la qualifica di italiano ... (Applausi al centro e a destra - Proteste all’estrema sinistra) e di ciò noi siamo loro riconoscenti - le sue dichiarazioni hanno squarciato il velo di una tragedia. L’onorevole Mazza diceva poco fa che qui C’è un’aria di famiglia. Noi stiamo occupandoci però purtroppo di gente, di italiani, che non hanno più la famiglia, non hanno più una casa. Bisogna che questi italiani sentano di avere almenouna Patria. Mi riferirò dunque soltanto alle sue ultime parole. Quando ella ha detto che a questi. italiani, così duramente perseguitati da una sorte che dayvero non hanno meritato, bisogna che l’Italia apra il suo cuore, questo e sentimento, è lodevole, alto sentimento e sono lieto di constatare che una volta tanto .qui dentro si è parlato veramente da italiani ... SCOCA. Non una volta tanto ! Sempre ! ALMIRANTE. Ma il sentimento non basta. Occorre, che questi profughi tornan.do in Italia, ricevano qualche ‘cosa di più .di una assistenza sporadica e generica; sen-tano in maniera concreta il cuore della patria palpitare accanto al loro. . È stato emanato recentemente un decreto legislativo che concerne l’assistenza .ai profughi, ivi compresi gli optanti. Ella ricorderà certamente, onorevole So ttosegretario, le disposizioni’ di quel decreto. Io la prego, e prego la Camera, di mettere a paragone quelle disposizioni con le sue parole. Ella ha parlato di tragedia. Jn quel decreto non si sente la tragedia e non si sente neppure il palpito del cuore della Patria. Quelle disposizioni, che io qui non ripeto, perche non voglio turbare quell’atniosfera di solidarietà che tanto ci ha commosso, ,quelle disposizioni, sono veramente insufficienti. Ai profughi che rientrano nelle eon.dizioni da lei illustrate, si concede una volta tanto un sussidio di 12 mila lire, e si concedono 45 lire al giorno ai membri di famiglia e 100 ai capi famiglia. Siccome giustamente ella ha fatto rilevare che dal punto di vista internazionale l’aiuto ‘del nostro Governo ai profughi si può concretare soltanto in pressioni diplomatiche, le quali sciaguratamente non trovano ascolto, o per lo meno non hanno trovato fino ad ora ascolto, il problema non diventa’ pii1 di carattere internazionale ma interno. C’è una nostra precisa responsabiljtà- di fronte a questi italiani, anche se lo straniero li tratta come li tratta, passando sopra non solo allo spirito ma alla lettera di quello stesso iniquo trattato, ma addirittura allo spirito di umanità e al diritto delle genti. .Se, lo straniero li tratta così, noi dobbiamo trattarli ben altrimenti. Quindi, dicendomi soddisfatto e ringraziandola per quanto Ella ha avuto la cortesia .di dire, in tono veramente umano, a proposito, .di quanto il Gov.erno sta facendo per tutelare in sede internazionale i diritti e gli interessi. di questi profughi, io invito il Governo a prendere in esame il problema interno e le responsabilità interne nei confronti di questi profughi: vale a dire, a predisporre immediatamente precise e adeguate misure nei loro riguardi; misure che tanto più debbono essere generose e pronte, quanto 3 più ingiusto ed iniquo e lo straniero nei confronti di questi. fratelli italiani. (Applausi al centro e a destra).

Margherita Incisa di Camerana donna ardita



Margherita Incisa di Camerana, l'unica donna a far parte di una compagnia di Arditi, con il grado di Tenente, era madrina della Compagnia D'Annunzio. A Fiume nacque l'amore tra il giovane tenente Elia Rossi Passavanti, eroe di guerra, e la crocerossina che aveva lasciato gli agi della corte dei Savoia per recarsi al fronte della prima guerra mondiale. Un amore che durò per la vita.

                                               Margherita nella Legione fiumana

 Fra gli Arditi della D' Annunzio c'e' una donna...che sopra una succinta gonna grigio-verde porta la giacca coi risvolti neri. Ha il grado di tenente; prende parte alle marce, alle esercitazioni; con una virile grazia quest'anima ben temprata si piega alle necessita' rudi del blocco, vigilando alla salute morale e alla disciplina delle sue truppe, perorando la causa loro presso il Comandante: costantemente la si vede a fianco di Rossi Passavan...ti: spunta il romanzo. Accadra' un giorno che il capo della Disperata sposi la marchesa Incisa di Camerana. Cosi Leo Kochnitzky descrive Margherita, una donna che precorse i tempi, oggi le donne nell'esercito sono protagoniste quanto gli uomini, ma allora la presenza di una donna in una compagine di Arditi provoco' la reazione di bigotti moralisti, tra questi Filippo Turati che, in una lettera alla sua compagna Anna Kuliscioff, parla di Margherita con disprezzo: " Il povero Nitti e' furibondo per le indegne cose di Fiume. Non solo proclamano la Repubblica di Fiume, ma preparano lo sbarco ad Ancona, due raids aviatori armati sopra l'Italia e altre delizie del genere. Fiume e' diventato un postribolo di malavita e prostitute piu' o meno high life. Mi parlo' di una marchesa Incisa, che vi sta vestita da ardita con tanto di pugnale. Purtroppo non puo' dire alla Camera queste cose, per l'onore d'Italia".
 
Il tenente Margherita Incisa di Camerana con gli arditi della "Disperata" a Fiume
con Gabriele D'Annunzio





Elia Rossi Passavanti e Margherita Incisa di Camerana con D'Annunzio a Fiume

La Disperata Compagnia D'Annunzio





Come nasce "La Compagnia della Guardia" detta "la Disperata". Il comandante, il ternano, allora tenente di cavalleria Elia Rossi Passavanti si trova nel video alla destra di D'Annunzio.
Il 12 settembre del 1919 i legionari di Ronchi entrano a Fiume tra la popolazione in festa, la Fiat 501 rossa di D'Annunzio  con su l'emblema della Santa Casa di Loreto, fu ricoperta da fiori. Il grido del 1917, Eia!Alalà! risuonò nella città Olocausta. Fin dai primi giorni della Santa Entrata, iniziarono ad accorre legionari. Tornarono i Granatieri di Sardegna. Arrivò la I° Divisione d' Assalto, le Fiamme nere cantavano alle ragazze "Apriteci le porte libereremo Fiume a costo della morte". Entrarono 1600 bersaglieri, le Fiamme cremisi. Vennero volontari di tutte le armi. Molti privi di documenti non erano stati accolti dal Comando, invece di andare via si erano accampati nei cantieri navali. Alcuni si tuffavano dalle navi, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano ebri e felici, questi soldati che tutti chiamavano "i disperati"  per la loro situazione di abbandono, si offersero al Comandante come una guardia personale, il quale accettò l'offerta. Al comando della "Disperata" venne chiamato frate Elia, così descritto dalle parole di DAnnunzio: "Il Tenente Elia Passavanti, il più prode ed il più buono dei legionari fiumani, un primissimo eroe tre volte mutilato, un italiano di antica gentilezza, esempio continuo di sacrificio e di costanza". Fu adottato il motto "me ne frego", dal dialetto romanesco, un motto crudo, come lo definì il Poeta, ma a Fiume disse: "la mia gente non ha paura di nulla, nemmeno delle parole". Gran parte del giorno questi soldati facevano esercizio di nuoto e voga, cantavano e marciavano, non avevano obbligo di rimanere in caserma, alla sera per loro divertimento se ne andavano in un luogo chiamato La Torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano. Così scriveva Mario Carli: "Questa Disperata fu la falange eletta dei legionari, la guardia del corpo del Comandante, manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell'adorazione e nell'impeto, fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come «soldati della morte», lieti e canori come atleti in gara continua". Quanto fosse orgoglioso dei disperati D'Annunzio lo proclamerà anche in un volantino ai Dalmati: "Ho in mente una vecchia canzone repubblicana di non so più qual linguaggio, una rude canzone di rivoltosi misurata da questo ritornello: Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo. Non cè qui una disperazione inerme. Cè una speranza con gli artigli e col rostro. Disperati si chiamano anche i miei Arditi, ma in un senso di prodigio: disperati, ovvero certi di giungere in ogni modo alla meta che io indicherò domani ma che essi già guatano impazienti e obbedienti. Finché ce ne sieno tre in piedi, ci può essere una vergogna di meno laggiù". Intanto gli uscocchi mettono a segno un altro colpo: viene catturato il Trapani. "DAnnunzio e i suoi legionari sono dei manigoldi", dichiara il generale Nigra. Così il 26 gennaio La Disperata rapisce Nigra e lo mette a  confronto con il diretto interessato. Questo il racconto: Il signor Generale Nigra, dal giorno in cui ebbe l'onore di assumere il comando della 45.a Divisione, non cessò di dimostrare al Comandante di Fiume, alle truppe fiumane, alla Causa nazionale la più cruda inimicizia. Alle denigrazioni, alle vessazioni, ai soprusi dogni genere volle aggiungere quotidianamente le più basse ingiurie. Ma a proposito del Comandante, l'ultima contumelia fu espressa in questi termini: Chi sceglie a sua guardia d'onore manigoldi non può essere se non il più gran manigoldo. Per rispondere a questa brevità cesarea, nella notte del 27 gennaio, presi gli ordini del Comandante, i manigoldi della Guardia, con una speditezza ed una eleganza incomparabili, hanno compiuto la cattura del nemico. Il Generale Nigra, prigioniero, si è affrettato a dichiarare la sua venerazione verso il Comandante, il suo sviscerato amore per la Causa di Fiume, e la sua stima senza limiti per i Legionari. Egli ha perfino chiesto il nastrino dei colori fiumani per ornarsene! A quello spirito, festivo, comunitario, gratuito, Passavanti seppe essere  coerente nella sua vita. Quando si è salito il Calvario della trincea sette volte, con le carni a brandelli e l'anima rigenerata  e si è innalzato nel cielo di Fiume e d'Italia il grido della Vittoria, non si può ritornare indietro, soleva dire.
I tre Comandanti della Compagnia D'Annunzio furono nell'ordine: Tommaso Beltrami, Elia Rossi Passavanti e Ulisse Igliori. La camicia bianca, il fiocco e il cordone nero nella divisa della Compagnia D'Annunzio sono introdotti da Passavanti.

Elia Rossi Passavanti - Unicuique suum



Video: immagini girate presso la Casa Museo di Elia Rossi Passavanti in via Sant'Agape in Terni
29 ottobre 1917: .... sono circa le cinque del pomeriggio quando un gruppo di dragoni entra al galoppo in Pozzuolo del Friuli: si tratta del I plotone del 1° squadrone del "Genova " che precede in avanscoperta il grosso del reggimento. Lo comanda il sergente Elia Rossi Passavanti, un valoroso che porta sul petto i nastrini di due medaglie d'argento. Le strade sono deserte, le finestre chiuse, le porte sbarrate, perché già un nucleo motorizzato nemico tiene il paese sotto il tiro delle mitragliatrici. Ma Passavanti non vi dà peso; ha il compito di esplorare la strada che conduce a Udine e quindi, lasciato il comando dei suoi trenta dragoni a un caporale, si avvia tutto solo, al piccolo trotto sulla sua cavalla Vienna, mentre la pioggia continua a cadere fastidiosa e insistente. Non ha fatto molto cammino, quando, a una svolta, deve all'improvviso rallentare l'andatura e fermarsi: nella conca leggiera che il ciglio della strada contorna, gli è apparsa una marea di soldati con l'uniforme grigio azzurra, di cannoni, di autocarri, di cavalli.
Subito una raffica si abbatte sulla strada. La cavalla con una impennata e un alto nitrito forza la mano al cavaliere e si lancia ventre a terra verso Pozzuolo del Friuli. Ma appena fuori dal tiro rallenta, inciampa, tenta addirittura di fermarsi, ansimando. Passavanti non sa capacitarsi di un simile strano comportamento e, visti vani gli incitamenti, deve, per la prima volta con la sua Vienna, usare gli speroni e persino colpirla a piattonate con la sciabola se vuole farle riprendere il trotto e rientrare a Pozzuolo.
Nel frattempo è arrivata in paese l'intera brigata, in piazza Julia il generale Emo Capodilista e i due colonnelli attendono il sergente esploratore che, senza scendere da cavallo, fa il suo rapido rapporto. Partono immediati gli ordini.
Soltanto allora la povera Vienna stramazza, trascinando nella caduta il cavaliere. Quando questi si rialza, può finalmente rendersi conto che la fedele compagna ha compiuto fino all'ultimo il suo dovere perché ha un orribile squarcio nel petto e il sangue che ne esce già dilaga in larga pozza sul selciato.
Le ore che seguono, della sera del 29, della notte, e della giornata del 30, sono quelle, ormai consegnate alla storia, della sanguinosa, gloriosa difesa di Pozzuolo del Friuli. Quello che fa Passavanti in quell'inferno è coerente col suo passato: sempre calmo, sempre lucidamente sereno, si batte sulle barricate, sorregge i suoi uomini con l'esempio, rincuora i feriti e i morenti; vedendo in pericolo il colonnello Bellotti, comandante del suo reggimento, gli fa scudo e riceve in sua vece la pallottola che poteva ucciderlo; poi, dopo una sommaria medicazione, torna a combattere.
Verso le 17,30, quando già più di metà dei nostri sono morti o feriti, il comandante giudica assolto il compito assegnato alla sua brigata ed ordina ai superstiti di rimontare a cavallo per tentare di forzare la cerchia nemica. Fra il fragore dei colpi e i lamenti dei feriti suona il buttasella.
Ha cessato intanto di piovere e un pallido sole illumina il tramonto. E' in questo preciso momento che per Passavanti succede il peggio. Una granata scoppia a pochi passi da lui; egli avverte come una tremenda mazzata, barcolla e perde i sensi. Quando, poco dopo, come risvegliandosi da un incubo, riprende conoscenza, un velo caldo di sangue gli cola sul viso dalle ferite che le schegge hanno aperto ancora una volta nella sua fronte. Ma non è solo il sangue ad annebbiarlo: proprio non ci vede più.
Lo prende il terrore di essere rimasto solo nel paese invaso dal nemico. Non è cosi, invece; sente avvicinarsi lo scalpitio di alcuni cavalli lasciati liberi; gli pare di riconoscerne uno dal nitrito e lo chiama: " Quò..., Quò... ". L'animale, docile, gli si ferma accanto e Passavanti riesce a issarsi in sella. Quò è un generoso maremmano del suo squadrone, un po' stravagante, ma che conosce bene il suo dovere, e raggiunge di slancio la coda dell'ultimo gruppo che sta tentando di aprirsi un varco verso Santa Maria di Sclaunicco. Lo formano il colonnello Bellotti, il porta stendardo e pochi altri dragoni bendati e insanguinati.
Davanti alla loro improvvisa apparizione, che irrompe al galoppo sullo stradone, i mitraglieri nemici tacciono, forse, sorpresi da tanta audacia, forse ammirati da tanto sfortunato valore. Il gruppo si perde lontano. Quò per un poco lo segue, poi se ne va per conto suo, perché il cavaliere non è in grado di guidarlo, ed è già un miracolo se riesce a tenersi in arcione con quella testa sempre più pesante.
Comincia così l'epica cavalcata di Passavanti lungo le strade e per i campi del Veneto, sotto il cielo autunnale gravido di pioggia, fra colonne di truppe in ritirata, fiumane di profughi che cercano di sfuggire all'invasione, cigolio di ruote, rombo di motori.
Quò ha percorso quei luoghi altre volte durante le manovre, e l'istinto lo guida. Il cavaliere, invece, va come in un sogno; ha il pallido viso rigato di sangue, l'uniforme inzuppata di pioggia e sporca di fango, l'elmetto gettato dietro le spalle. Nel delirio della febbre la sua mente ogni tanto si smarrisce nel nulla. Soltanto un'idea rimane netta nel subcosciente: quella che non deve a nessun costo cadere dalla sella, perché sarebbe la fine.

Quanto tempo trascorre cosi? A Passavanti sembra che ora sia notte, poi che sia tornata la luce. Per quattro giorni Quò va senza cercare mai cibo, né acqua. Pare non debba più fermarsi. E invece ecco che un mattino, intorno al cieco momentaneamente sopito, si levano voci note che lo chiamano per nome. Il valoroso Quò è riuscito ad arrivare a Treviso, nella sua caserma, e scalpita ora perché il cavaliere finalmente scenda, e lo lasci libero, povero cavallo schiantato dallo sforzo, di adagiarsi per terra e di morire.

(dalla rivista OGGI, anno XXI - Numero 21 - 27 maggio 1965).