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Marine Le Pen gela Salvini: " Io credo nelle nazioni"



 "Io credo nelle nazioni. Credo che possano esistere forme di cooperazioni transfrontaliere, ci sono sempre state e non abbiamo inventato nulla. Ma io credo nella nazione, nell'Europa delle nazioni". Così la leader del Front National, Marine Le Pen, ha risposto a chi le ha chiesto se creda nella prospettiva di collaborazioni fra regioni (come il progetto di macroregione alpina in cui si sono impegnati i governatori della Lega) per il futuro dell'Europa. Il concetto di nazione rende possibile la creazione di un’identità nazionale, che si basa sulla cultura, la lingua, su un’appartenenza comune, esiste una sorta di comunanza tra nazione e territorio; ciò implica il fatto che su uno stesso territorio sia impossibile istituire più di una nazione. Da codesta unione territorio-nazione ebbe origine lo Stato Nazionale.
La formazione dello Stato Nazionale rese possibile la nascita dello Stato di diritto sul territorio della nazione.,Si può affermare che la nascita dello Stato Nazionale fu il presupposto per quella delle società moderne. E' questa una idea opposta e contraria a quella della Lega Nord, che fin nel nome invoca una presunta indipendenza di una entità frutto di invenzione come la padania. Un movimento che si scaglia contro il simbolo dell'Identità nazionale rappresentato dalla bandiera nazionale dei tre colori, invocandone roghi, o associandola alla carta igienica.Un movimento protagonista di quel grande danno per Italia che ha preso il nome di "devolution",  con l'aiuto di Berlusconi e di una destra che ha sempre sventolato i valori della Patria usando come simbolo della propria identità la fiamma tricolore. Un movimento quello della Lega Nord che a nome del suo segretario Salvini lavora per minare alle basi l' unità della Nazione, che sostiene il sistema delle regioni arrivando alla sovranizzazione delle stesse, come si predica in Lombardia e Veneto.
Una vecchia idea pervenutaci dai popolari di Luigi Sturzo e che,grazie ai nuovi alleati che la Lega Nord ha trovato sul suo cammino, il Partito Democratico di Matteo Renzi, sta dilaniando lo Stato.   Il 2002 e stato l'anno della concreta attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. La cessione di sovranità che è avvenuta a favore delle Regioni, sulla base della nuova suddivisione delle funzioni legislative tra stato centrale e periferico ha aperta la forbice che sta ora dilaniando i rapporti tra il governo (Renzi arriva dopo Berlusconi, Letta, Monti e Prodi) e i governatori. Tutti si sono trovati a fare i conti con una situazione sempre più precaria dal punto di vista dei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sono proprio questi gli anni (dal 2001 ad oggi) in cui, non sarà un caso, il debito pubblico italiano è passato da 1.620 miliardi di euro (solo il 108% del Pil) a oltre 2.160 miliardi (più del 133% del Pil): in termini assoluti, 540 miliardi in più, uno score catastrofico

Sentinelle d'Italia riprendete il vostro posto






Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane.
Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo.
Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei; né mi parrebbe di averne rimordimento.
Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l'Italia.
Tutte le azioni necessarie assolve la legge di Roma.

Gabriele D'Annunzio





                                                    CAMICIA ROSSA 
canto popolare dal concerto GARIBALDI L'EROE DEI DUE MONDI, 5 luglio 2008 Castello Cavour Santena, Coro Michele Novaro, direttore Maurizio Benedetti, pianista Carlo Matti, testi Giuseppe Vettori, attore Mario Brusa.








C’è ancora bisogno di Patrioti che non abbandoneranno questo Paese a chi non l’amerà mai





L’Italia fu fatta anche sull’Adamello e sul Carso e questo è bene ricordarlo, e onore a chi si sacrificò per farla; ma oggi l’Italia non si fa sull’Adamello e sul Carso, non si fa contro i tirolesi e gli austriacanti, e non si fa soprattutto con la retorica. Perché l’irredentismo annunciato al fronte non è retorica, ma l’irredentismo annunciato al mercato lo è senz’altro.
Proveniamo da decenni di dipendenze culturali e non solo culturali: l’asservimento ai due grandi modelli culturali dominanti, Stati Uniti e Unione Sovietica, ha dominato per decenni gran parte della nostra popolazione e dei suoi soggetti civili, politici e sociali, a cui si aggiungevano come supplemento di esotismo Castro, Che Guevara, Ho Chi Min e Mao, fino ai pellerossa e ai kamikaze. Non sono poi mancate minoranze più o meno illuminate: la passione anglosassone di una certa cultura elitaria di estrazione laica, la tentazione svizzera ancora serpeggiante al nord. Oggi sotto la pressione dei media ci scopriamo essere “occidentali ”. Spiega Marco Tarchi: “ L’uso martellante della parola “Occidente” da parte dei mezzi di informazione, che adoperandola vogliono instillare la sensazione di una comunanza originaria di interessi e valori fra le popolazioni e gli Stati collocati sulle due sponde dell’Oceano, e nel contempo sottolineare la loro diversità rispetto a quelli del resto del mondo”.  
Viviamo così ancora un Italia lottizzata, mentalmente serva dello straniero, l’Italia dei sette nani. Occorre un patriottismo che sappia guardare alla storia del nostro paese senza perdere l’equilibrio . Che sappia digerire il fascismo e l’antifascismo, dopo averli tenuti così a lungo sullo stomaco. Che sappia riscoprire le ragioni del Risorgimento ma senza demonizzare coloro che furono dall’altra parte a difendere una loro idea di patria, legata a una terra, una dinastia e una chiesa. Un patriottismo che non risparmi l’autocritica per carità di patria ma si sottragga all’auto denigrazione sport nazionale ad alto tassa d’improduttività. Occorre smettere di vedersi sempre attraverso le lenti delle varie guerre civili. In questo quadro occorre sviluppare una forte e libera ricerca storica e culturale che ci consenta di uscire dalla paralisi a somma zero dei veti incrociati delle varie “vulgate”. Un Patriottismo come destinazione e non solo come pura provenienza e come semplice naturalismo. Non manca solo uno Stato, o una classe politica di qualche dignità, ma frana sotto i nostri occhi l’intero paese. C’è un Italia profonda da tirar fuori.
“Noli foras ire, in interiore Italiane habitat veritas”. Non la verità assoluta, ma la nostra verità d’Italiani.
La storia d’Italia è stata finora concepita in chiave antagonista come una storia dimezzata ad uso celebrativo La storia d’Italia è stata finora intesa alla luce della coppia mitizzazione-rimozione: mitizzazione di alcuni avvenimenti, destoricizzati e imbalsamati e rimozione dell’identità nazionale e della sua continuità. Ne è uscita una storia costellata di fratture e reliquie senza vita. Un’Italia meno italiana, più anglosassone e “americana”. Un paese di trovatelli o di arteriosclerotici che non ricordano niente  Un paese che aspetta il futuro come la bella addormentata nel bosco. Anzi nel sottobosco. Lo Stato evoca sempre più in Italia il participio passato del verbo stare.  Ma è possibile fondare lo Stato solo in negativo chiamandolo in  servizio solo come freno d’emergenza? E’ possibile cioè esigere forza ed efficienza, superiorità rispetto alle parti in campo, da un “fantasma” a cui non si riconosce alcuna autorevolezza, alcuna fondatezza e alcuna prospettiva di futuro? L’idea che il mercato dia a ciascuno secondo i suoi meriti è falsa quanto l’idea che il socialismo dia a ciascuno secondo i suoi bisogni.. Nessun gruppo politico, nessun leader politico può oggi invocare a suo sostegno la coerenza ideale o la giustezza politica di un suo programma o di un suo comportamento.Vi è una pura logica aziendale, secondo cui la politica si misura dai profitti ricavati per l’azienda, e tanto peggio per gli interessi generali o nazionali. In occidente esistono più di duemila popoli, ognuno con la sua cultura particolare, perché a noi, invece di questa ricchezza vengono dati tutti gli intrugli e i miscugli della pseudocultura di massa. “occidentale”. Perché il nostro pane quotidiano deve essere zeppo di vermi? Masticatelo se vi piace. Le “patrie “ di ciascuno devono coalizzarsi, cominciando a non concepirsi in antagonismo, superando i confini topografici di destra e sinistra. Non è il caso di sprecare le proprie energie per insultarsi fra dirimpettai di marciapiede quando il rullo compressore minaccia di spianare tutto. I patriottismi vedono nell’Europa la macroappartenenza ad una Patria-civiltà  e  la nascita di un soggetto forte che tuteli le specificità dal progetto di un mondo uniforme e unipolare, tutto l’inverso dei tecnocrati di Bruxelles.
C’è ancora bisogno di Patrioti che non  abbandoneranno  questo paese a chi non l’amerà mai.



 Questo mondo non basta

E’ possibile dirsi ancora Italiani e soprattutto esserlo davvero?





L’Italia esiste solo come entità fiscale. Tende a sparire come sistema-Italia, come servizi, per essere solo un espressione tributaria, una cambiale collettiva, un esercizio implacabile di esattoria. Non ci unisce più nulla ormai, al di fuori della Tassa. L’Italia, insomma si avvia a diventare un paese irreale. Non surreale, come finora si è pensato e forse sperato, confidando nelle nostre abituali risorse di fantasia di genio e di sregolatezza . No irreale nel vero senso della parola.

L’Italia appare sempre più un emanazione della tv, una costola della fiction televisiva. Una specie di realtà virtuale nel senso dei giochi di simulazione. Anche il Partito architrave di questa Italia irreale, è diventato irreale. Ha raggiunto una sua perversa trasparenza che non è sinonimo di onestà e limpidezza, ma di vacuità. Dentro non c’è niente. Se entri in un partito, è come se ti iscrivi al club di Fantomas. La tessera equivale all’anello di Gige, che rende invisibile. Varcata la soglia trovi il nulla, ti nominano cavaliere di gran croce, nel senso che devi mettere una croce sulla scheda al momento delle elezioni.. Ma per il resto? Un esercizio commerciale o poco più. L’impressione è che si stia combattendo una sotterranea ma diffusa guerra di liberazione: la liberazione dall’Italia. Cambia la prospettiva del dopo, per molti è l’Europa, per altri è il Villaggio Globale, per taluni è il Villaggio e basta, o la regione, e per altri semplicemente è il proprio condominio. Non vediamo in giro segnali di gravidanza per una nuova entità politica e culturale, oltre che economica e sociale: vediamo piuttosto l’agonia di un paese allo sfascio che celebra il suo sfascio, lo inscena e lo rende perfino spettacolare. Intendiamoci di sensazioni crepuscolari dell’Italia è piena la storia e la letteratura del nostro Paese. Ma la sensazione era, fino a qualche tempo fa, che esistesse un collante, un residuo e in fondo tenace luogo di identificazione, una risorsa persistente di identità collettiva che sopravviveva a tutte le intemperie. Adesso no, quella sensazione sembra venuta meno. Mentre parlavamo di riforme l’Italia se ne è andata. E’ venuto meno il senso di appartenenza a una identità comune, ad una nazione, un popolo o una patria, prima che uno Stato. Qualcosa d’impalpabile eppure assai concreto, che si respira nell’aria, nelle cose, nel linguaggio, nel paesaggio, nel vivere insieme, oltre che nella cultura e nella memoria.

Ad unirci resta quel che più di ogni altra cosa contribuì a disperderci, la televisione. E’ l’unica  casa comune che resta e ci consente di parlare di cose comuni con un linguaggio comune. Ma l’Italia muore di televisione.

Ci allontaniamo contemporaneamente, e con la stessa sequenza logica, dalla parrocchia e dal municipio.

Il peccato originale fu commesso dai partiti che hanno dissolto la nazione con la parola e con l’esempio, legittimando il pubblico disgusto e i privati affarissimi. Ma dobbiamo riconoscere che il Pese non è meglio della sua classe dirigente.

Certo, la forbice tra dinamismo della società e arretratezza della politica  si è allargata , la società civile si è sviluppata, mentre la società politica è scesa nel sottosviluppo. Ma se il discorso si trasferisce sulla qualità etica e civile, le due società tendono a combaciare. La piazza riproduce in scala ridotta la grande corruzione e la grande inefficienza del palazzo.

L’Italia soffre di cattiva modernità, di una immissione nello sviluppo senza contrappesi forti in termini di tradizioni e di carattere nazionale. Il male d’Italia è la tabula rasa che si è fatta di ogni identità collettiva, il rigetto di ogni radicamento nel proprio tessuto nazionale. : il puro orbitare in uno spazio vacante , in una terra di nessuno, dove siamo cresciuti in grassezza ma non in altezza, in latitudine ma non in profondità. E se il nostro problema non fosse di liberarci dall’identità italiana  ma di esprimerla al meglio?Se il nostro difetto non fosse la nostra italianità ma il nostro complesso di italianità che non ci consente di confrontarci con quel che siamo e ci destina ad esser la controfigura, la degradazione, di quel che vorremmo essere ?  Un Paese non può disegnarsi sul nulla, prescindendo dalla sua stessa realtà e dalla sua storia, ma deve tenere in mente i suoi caratteri radicali. Perché se non lo fa, non diventa un altro Paese, ma diventa la caricatura di se stesso. Su questa tabula rasa è nato un capitalismo senza radicamento etico o nazionale: una partitocrazia senza spirito pubblico e primato degli interessi generali, una democrazia senza popolo, senza valori, senza dignità nazionale.  

Abbiamo pure inventato il peggiore tipo di individualismo, quello fondato sull’irresponsabilità di ciascuno nel disinteresse di tutti.  Abbiamo consentito il dominio del privato, della sua logica e dei suoi interessi, anche laddove sono in gioco interessi pubblici e questioni generali. Mentre i settori pubblici che si vorrebbero privatizzare, non funzionano perché in realtà sono già stati privatizzati , nel senso che rispondono a puri interessi di bande, di clan, siano essi partiti, comitati d’affari, lobbies o vere e proprie cosche,

Da noi ciascuno si chiama fuori dallo sfascio, si deresponsabilizza. E’ la sfiducia assoluta che i comportamenti personali, le responsabilità di ciascuno, possano produrre qualche effetto: il cambiamento è ritenuto possibile solo dall’alto, e da parte di non precisati altri.

Ma c’è una pericolosa sovrapposizione che si tenta di far passare: la difesa dell’identità nazionale viene confusa con la difesa dello status quo, di un regime, di un assetto partitocratrico, di un sistema di potere.

In realtà le due cose non coincidono, ma la crescita dell’una è stata la causa principale del declino dell’altra.

Ripensare l’Italia non può dunque avere il senso di conservare quest’Italia: si riuscirà anzi a ripensare sul serio l’Italia solo quando si riuscirà a coniugare questo pensiero e questa concreta, vivente integrazione nel proprio Paese con l’ineludibile rigetto di “quest’Italia che non ci piace”.

Ma oggi si tratta in realtà di ripensare l’Italia che non c’è, l’Italia che non appare. Ma che esiste non solo nella memoria, ma anche nel paesaggio, nella cultura, nella lingua, nella vita di ciascuno.