Chissà perché l’ineffabile Matteo Renzi si sia dato, a suo tempo, tanto daffare per garantire all’Italia la “poltrona” europea della politica estera. Una politica estera europea, infatti, non esiste. Come, d’altro canto, non esiste l’Europa come entità politica, ma soltanto una “Unione” con funzioni meramente economiche (o, forse, antieconomiche).
Sia come sia, facciamo finta – per un momento – che, al posto di questa invertebrata Unione Europea, ci sia una Europa vera, e cerchiamo di disegnare una sua politica diplomatica. Una politica diplomatica “nostra” – beninteso – cioè fatta nell’interesse dell’Europa, e non in quello degli Stati Uniti d’America. Esattamente come una politica economica “nostra” dovrebbe tutelare gli interessi europei e non quelli americani.
Ipotizziamo, dunque, l’esistenza di una Unione genuinamente, egoisticamente europea, con la sua politica economica europea, con la sua politica diplomatica europea, con la sua politica di difesa europea. Una Unione, in altri termini, che sia l’esatto opposto dell’odierna cosiddetta Unione Europea.
Orbene, cosa avrebbe dovuto fare – questa Unione europea – di fronte al cambiamento epocale che, vent’anni fa, vide la fine dell’Unione Sovietica e la nascita di una Federazione Russa che non voleva più “esportare” il comunismo ad ovest? Semplice: avrebbe dovuto stringere un’alleanza di ferro con questa nuova Russia, avrebbe dovuto raccordare la sua economia con quella russa, avrebbe dovuto armonizzare la sua difesa con quella russa, soprattutto in previsione delle nuove minacce che iniziavano a profilarsi a sud: a sud dell’Europa e, simultaneamente, a sud della Russia, nella Ciscaucasia musulmana. D’altro canto, oltre ad essere l’alleata naturale dell’Europa, la Russia era ed è il partner economico naturale dell’Europa. Anzi, le due economie sono complementari, si integrano a vicenda e – insieme – costituiscono un unicum che le renderebbe autosufficienti, potenzialmente autarchiche – mi si passi il termine – e tali da poter restare immuni dal ricatto della globalizzazione economica (e finanziaria) con cui gli Stati Uniti d’America vogliono imporre la loro supremazia al mondo intero.
La Russia non è un paese come altri, è un gigante che abbraccia la parte più orientale dell’Europa e tutta l’Asia settentrionale, fino al Mar del Giappone. Un gigante che è, tra l’altro, il primo produttore mondiale dell’unica materia prima che manca all’Europa, il petrolio. Ecco perché una grande alleanza euroasiatica (e non euroafricana, come auspicano gli arabi) sarebbe senza dubbio la prima entità politica ed economica (e in un futuro forse anche militare) del globo.
Ma… c’è un “ma”. Gli Stati Uniti hanno il preciso interesse che ciò non si realizzi. Hanno affrontato due guerre mondiali ed una terza lunghissima guerra “fredda” al solo scopo di poter liberamente scorrazzare sui mercati europei e poi su quello russo; e adesso – dopo aver costretto alla resa anche la superpotenza sovietica – non sono certo disponibili ad assistere inerti al rafforzamento, anche soltanto economico, di quelle nazioni destinate a diventare delle semplici praterie di un nuovo Far-West planetario.
Ecco che si sono inventati una canagliesca campagna di accerchiamento della Russia; una Russia – si badi – non più ostile al cosiddetto “Occidente”, che non minaccia nessuno e che, anzi, garantisce che il fondamentalismo islamista non valichi il Caucaso e non aggredisca l’Europa anche da est. Contro Mosca è stato tentato di tutto: il sostegno ai fondamentalisti caucasici attraverso i generosi finanziamenti dei pii musulmani produttori di petrolio, la sanguinosa provocazione di una Georgia che minacciava la pulizia etnica contro la minoranza russa presente entro i suoi confini, il linciaggio mediatico internazionale per il divieto alla propaganda omosessualista, e persino la ridicola crociata in favore delle Pussy Riot (volgare ma letterale traduzione: fiche in rivolta) che la stampa occidentale, evidentemente, avrebbe voluto libere di sculettare seminude sugli altari delle Chiese.
Ultima tragica invenzione dei servizi segreti americani (e di certe “organizzazioni non governative” che svolgono una funzione parallela) è stato il colpo-di-Stato antidemocratico in Ukraina. Un colpo-di-Stato – si badi bene – organizzato contro un Presidente eletto democraticamente (dopo aver sconfitto nelle urne il candidato filoamericano) e che veniva poi abbattuto da una brutale sollevazione armata. Una sollevazione che i media “occidentali” hanno gabellato come la spontanea rivolta di un popolo che anelava ad entrare nell’Unione Europea; ma che invece, molto più prosaicamente, sarebbe stata organizzata e finanziata dagli americani, con una cifra da capogiro – secondo le rivelazioni dell’ex agente della CIA Scott Rickard – pari a 5 miliardi di dollari.
Ma, fin qui, nulla di particolarmente strano. È comprensibile che gli USA abbiano fatto carte false per difendere i loro interessi. È invece del tutto incomprensibile, addirittura inconcepibile che i paesi europei si siano disciplinatamente, supinamente, bovinamente accodati agli americani, fingendo di credere alla ricostruzione ufficiale dei fatti ukraini ed associandosi a delle sanzioni che per l’economia europea (ed italiana in particolare) sono una vera e propria autoflagellazione masochistica. E siamo ancora a niente, perché ci sono ambienti americani che spingono per andare oltre le sanzioni, fino alla guerra. E noi, ancora una volta, a belare obbedienti. Nessuno tra i capi di governo europei ha avuto il coraggio di dire un’acca, di opporsi a quelle incredibili sanzioni, e neppure – men che meno – di raccomandare al pacifista Obama di non andare troppo oltre con le provocazioni, di evitare i passi più azzardati che potrebbero sfociare – Dio non voglia – in un conflitto dagli sviluppi imprevedibili.
La verità è che l’Europa – nella strategia globalista americana – dovrebbe rinunziare alle comode forniture di petrolio e gas russi, per acquistare il nuovo petrolio sintetico prodotto dagli Usa – lo “scisto” – da far giungere nei nostri oleodotti attraverso i costosissimi trasporti marittimi che ne farebbero lievitare a dismisura il prezzo.
E noi – cornuti e contenti – giù a battere le mani, ad osannare la “fermezza” di Obama, ad ospitare sui nostri media la propaganda di guerra del regime collaborazionista ukraino, e naturalmente a subire anche gli “effetti collaterali” di questa incredibile politica sanzionistica contro Mosca. Effetti collaterali che hanno riguardato, in particolare, l’interscambio italiano con la Russia (che nel 2013 sfiorava i 27 miliardi di euro), penalizzando fortemente alcuni settori economici, dall’agricoltura al turismo.
A fronte di questo incredibile bellicismo contro la Russia, la diplomazia americana (con la fotocopia europea) si mostra estremamente comprensiva verso chi minaccia concretamente l’Europa: il fondamentalismo islamico. Hanno iniziato una ventina d’anni fa, subito dopo la creazione dell’Unione Europea: “Qualcuno” ha indirizzato verso l’Europa flussi sempre crescenti di immigrati musulmani, imponendo all’Unione e agli Stati-membri di accoglierli stabilmente, pena l’accusa di razzismo, nazismo e tutto il resto dei fantasmi della “memoria”. Poi “Qualcuno” ha cominciato ad organizzare e a finanziare “primavere arabe” e “rivoluzioni colorate” contro i governi arabi laici (e amici dell’Europa): contro la Tunisia di Ben Alì, contro la Libia di Gheddafi, contro l’Egitto di Mubarak, contro la Siria di Assad. “Qualcuno” al di là dell’Atlantico, naturalmente; e “Qualcuno” nei paesi arabi più reazionari e antidemocratici (ma fedeli alleati e soci in affari dei petrolieri texani), là dove le donne non possono neanche guidare la macchina e gli omosessuali rischiano la decapitazione.
I frutti avvelenati di questa crociata “democratica” sono sotto gli occhi di tutti: si va dall’anarchia istituzionalizzata in Libia fino alla proclamazione di uno Stato terrorista – l’ISIS – su parte del territorio di due Stati sovrani: la Siria e l’Iraq. Uno “Stato” fantasma che potrebbe essere raso al suolo in quattro e quattr’otto, ma che gli americani vogliono conservare, in ossequio ai desiderata dei loro alleati regionali: Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar e tutti gli altri sostenitori della sporca guerra contro la Siria. Il Presidente a stelle e strisce lo ha praticamente ammesso, quando ha dichiarato che «la mia priorità è assicurarmi che le posizioni guadagnate dall’ISIS in Iraq siano riportate alla situazione precedente». Avete capito? Non distruggere l’ISIS, ma «riportarlo alla situazione precedente», contenerlo entro un certo confine, evidentemente stabilito da “Qualcuno” che ha deciso l’amputazione di due Stati sovrani e la creazione di una terza entità statale assolutamente illegittima.
Intanto, mentre un altro pezzo di Iraq – il Kurdistan – sta andandosene per i fatti propri, Israele scalda i motori (e spara) nel sud del Libano. Il Libano è il prossimo Stato di cui è stata decretata la frantumazione (vedrete cosa succederà nei prossimi mesi) per creare due o tre staterelli, più o meno coincidenti con le sue componenti etnico-religiose. È – si dice – un vecchio disegno di Israele e della sua aggressiva politica diplomatica: cancellare le grandi nazioni mediorientali (Arabia Saudita esclusa) e, al loro posto, dar luogo ad una minuzzaglia rissosa, divisa da rivalità etniche e contrapposizioni religiose. L’America di Obama sembra completamente succube di questo disegno, vocata soltanto a ratificare i desiderata di israeliani, sauditi, qatarini e soci minori.
L’Europa, a sua volta, è completamente appiattita sulla politica americana: manda i suoi aerei a bombardare i propri amici (come è successo in Libia) e spedisce le sue “organizzazioni non governative” a sostenere i nemici di Assad. I frutti di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Di noi italiani in particolare: abbiamo visto in diretta tv il linciaggio di Gheddafi, consegnato ai mercenari qatarini; abbiamo visto il via libera agli scafisti per riprendere in grande stile l’invasione migratoria verso la Sicilia; e vediamo, proprio in questi giorni, la proclamazione di un Califfato da qualche parte in Libia, a poche braccia di mare dalle nostre coste.
Nessun leader europeo – però – si arrischia, non dico a protestare, ma anche soltanto ad eccepire qualcosa. Neanche Angela Merkel, che evidentemente è capace di fare la voce grossa soltanto con la piccola Grecia. Sono tutti allineati e coperti, in adorazione della Grande Alleata, pronti a fare la guerra al cattivone Putin e a dare una pacca sulle spalle a quei mattacchioni del Califfato.
Anche per la politica estera, dunque, questa pseudo-Europa è una semplice colonia degli Stati Uniti d’America. Esattamente come per la politica economica, con i risultati che tutti conosciamo.
Sia come sia, facciamo finta – per un momento – che, al posto di questa invertebrata Unione Europea, ci sia una Europa vera, e cerchiamo di disegnare una sua politica diplomatica. Una politica diplomatica “nostra” – beninteso – cioè fatta nell’interesse dell’Europa, e non in quello degli Stati Uniti d’America. Esattamente come una politica economica “nostra” dovrebbe tutelare gli interessi europei e non quelli americani.
Ipotizziamo, dunque, l’esistenza di una Unione genuinamente, egoisticamente europea, con la sua politica economica europea, con la sua politica diplomatica europea, con la sua politica di difesa europea. Una Unione, in altri termini, che sia l’esatto opposto dell’odierna cosiddetta Unione Europea.
Orbene, cosa avrebbe dovuto fare – questa Unione europea – di fronte al cambiamento epocale che, vent’anni fa, vide la fine dell’Unione Sovietica e la nascita di una Federazione Russa che non voleva più “esportare” il comunismo ad ovest? Semplice: avrebbe dovuto stringere un’alleanza di ferro con questa nuova Russia, avrebbe dovuto raccordare la sua economia con quella russa, avrebbe dovuto armonizzare la sua difesa con quella russa, soprattutto in previsione delle nuove minacce che iniziavano a profilarsi a sud: a sud dell’Europa e, simultaneamente, a sud della Russia, nella Ciscaucasia musulmana. D’altro canto, oltre ad essere l’alleata naturale dell’Europa, la Russia era ed è il partner economico naturale dell’Europa. Anzi, le due economie sono complementari, si integrano a vicenda e – insieme – costituiscono un unicum che le renderebbe autosufficienti, potenzialmente autarchiche – mi si passi il termine – e tali da poter restare immuni dal ricatto della globalizzazione economica (e finanziaria) con cui gli Stati Uniti d’America vogliono imporre la loro supremazia al mondo intero.
La Russia non è un paese come altri, è un gigante che abbraccia la parte più orientale dell’Europa e tutta l’Asia settentrionale, fino al Mar del Giappone. Un gigante che è, tra l’altro, il primo produttore mondiale dell’unica materia prima che manca all’Europa, il petrolio. Ecco perché una grande alleanza euroasiatica (e non euroafricana, come auspicano gli arabi) sarebbe senza dubbio la prima entità politica ed economica (e in un futuro forse anche militare) del globo.
Ma… c’è un “ma”. Gli Stati Uniti hanno il preciso interesse che ciò non si realizzi. Hanno affrontato due guerre mondiali ed una terza lunghissima guerra “fredda” al solo scopo di poter liberamente scorrazzare sui mercati europei e poi su quello russo; e adesso – dopo aver costretto alla resa anche la superpotenza sovietica – non sono certo disponibili ad assistere inerti al rafforzamento, anche soltanto economico, di quelle nazioni destinate a diventare delle semplici praterie di un nuovo Far-West planetario.
Ecco che si sono inventati una canagliesca campagna di accerchiamento della Russia; una Russia – si badi – non più ostile al cosiddetto “Occidente”, che non minaccia nessuno e che, anzi, garantisce che il fondamentalismo islamista non valichi il Caucaso e non aggredisca l’Europa anche da est. Contro Mosca è stato tentato di tutto: il sostegno ai fondamentalisti caucasici attraverso i generosi finanziamenti dei pii musulmani produttori di petrolio, la sanguinosa provocazione di una Georgia che minacciava la pulizia etnica contro la minoranza russa presente entro i suoi confini, il linciaggio mediatico internazionale per il divieto alla propaganda omosessualista, e persino la ridicola crociata in favore delle Pussy Riot (volgare ma letterale traduzione: fiche in rivolta) che la stampa occidentale, evidentemente, avrebbe voluto libere di sculettare seminude sugli altari delle Chiese.
Ultima tragica invenzione dei servizi segreti americani (e di certe “organizzazioni non governative” che svolgono una funzione parallela) è stato il colpo-di-Stato antidemocratico in Ukraina. Un colpo-di-Stato – si badi bene – organizzato contro un Presidente eletto democraticamente (dopo aver sconfitto nelle urne il candidato filoamericano) e che veniva poi abbattuto da una brutale sollevazione armata. Una sollevazione che i media “occidentali” hanno gabellato come la spontanea rivolta di un popolo che anelava ad entrare nell’Unione Europea; ma che invece, molto più prosaicamente, sarebbe stata organizzata e finanziata dagli americani, con una cifra da capogiro – secondo le rivelazioni dell’ex agente della CIA Scott Rickard – pari a 5 miliardi di dollari.
Ma, fin qui, nulla di particolarmente strano. È comprensibile che gli USA abbiano fatto carte false per difendere i loro interessi. È invece del tutto incomprensibile, addirittura inconcepibile che i paesi europei si siano disciplinatamente, supinamente, bovinamente accodati agli americani, fingendo di credere alla ricostruzione ufficiale dei fatti ukraini ed associandosi a delle sanzioni che per l’economia europea (ed italiana in particolare) sono una vera e propria autoflagellazione masochistica. E siamo ancora a niente, perché ci sono ambienti americani che spingono per andare oltre le sanzioni, fino alla guerra. E noi, ancora una volta, a belare obbedienti. Nessuno tra i capi di governo europei ha avuto il coraggio di dire un’acca, di opporsi a quelle incredibili sanzioni, e neppure – men che meno – di raccomandare al pacifista Obama di non andare troppo oltre con le provocazioni, di evitare i passi più azzardati che potrebbero sfociare – Dio non voglia – in un conflitto dagli sviluppi imprevedibili.
La verità è che l’Europa – nella strategia globalista americana – dovrebbe rinunziare alle comode forniture di petrolio e gas russi, per acquistare il nuovo petrolio sintetico prodotto dagli Usa – lo “scisto” – da far giungere nei nostri oleodotti attraverso i costosissimi trasporti marittimi che ne farebbero lievitare a dismisura il prezzo.
E noi – cornuti e contenti – giù a battere le mani, ad osannare la “fermezza” di Obama, ad ospitare sui nostri media la propaganda di guerra del regime collaborazionista ukraino, e naturalmente a subire anche gli “effetti collaterali” di questa incredibile politica sanzionistica contro Mosca. Effetti collaterali che hanno riguardato, in particolare, l’interscambio italiano con la Russia (che nel 2013 sfiorava i 27 miliardi di euro), penalizzando fortemente alcuni settori economici, dall’agricoltura al turismo.
A fronte di questo incredibile bellicismo contro la Russia, la diplomazia americana (con la fotocopia europea) si mostra estremamente comprensiva verso chi minaccia concretamente l’Europa: il fondamentalismo islamico. Hanno iniziato una ventina d’anni fa, subito dopo la creazione dell’Unione Europea: “Qualcuno” ha indirizzato verso l’Europa flussi sempre crescenti di immigrati musulmani, imponendo all’Unione e agli Stati-membri di accoglierli stabilmente, pena l’accusa di razzismo, nazismo e tutto il resto dei fantasmi della “memoria”. Poi “Qualcuno” ha cominciato ad organizzare e a finanziare “primavere arabe” e “rivoluzioni colorate” contro i governi arabi laici (e amici dell’Europa): contro la Tunisia di Ben Alì, contro la Libia di Gheddafi, contro l’Egitto di Mubarak, contro la Siria di Assad. “Qualcuno” al di là dell’Atlantico, naturalmente; e “Qualcuno” nei paesi arabi più reazionari e antidemocratici (ma fedeli alleati e soci in affari dei petrolieri texani), là dove le donne non possono neanche guidare la macchina e gli omosessuali rischiano la decapitazione.
I frutti avvelenati di questa crociata “democratica” sono sotto gli occhi di tutti: si va dall’anarchia istituzionalizzata in Libia fino alla proclamazione di uno Stato terrorista – l’ISIS – su parte del territorio di due Stati sovrani: la Siria e l’Iraq. Uno “Stato” fantasma che potrebbe essere raso al suolo in quattro e quattr’otto, ma che gli americani vogliono conservare, in ossequio ai desiderata dei loro alleati regionali: Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar e tutti gli altri sostenitori della sporca guerra contro la Siria. Il Presidente a stelle e strisce lo ha praticamente ammesso, quando ha dichiarato che «la mia priorità è assicurarmi che le posizioni guadagnate dall’ISIS in Iraq siano riportate alla situazione precedente». Avete capito? Non distruggere l’ISIS, ma «riportarlo alla situazione precedente», contenerlo entro un certo confine, evidentemente stabilito da “Qualcuno” che ha deciso l’amputazione di due Stati sovrani e la creazione di una terza entità statale assolutamente illegittima.
Intanto, mentre un altro pezzo di Iraq – il Kurdistan – sta andandosene per i fatti propri, Israele scalda i motori (e spara) nel sud del Libano. Il Libano è il prossimo Stato di cui è stata decretata la frantumazione (vedrete cosa succederà nei prossimi mesi) per creare due o tre staterelli, più o meno coincidenti con le sue componenti etnico-religiose. È – si dice – un vecchio disegno di Israele e della sua aggressiva politica diplomatica: cancellare le grandi nazioni mediorientali (Arabia Saudita esclusa) e, al loro posto, dar luogo ad una minuzzaglia rissosa, divisa da rivalità etniche e contrapposizioni religiose. L’America di Obama sembra completamente succube di questo disegno, vocata soltanto a ratificare i desiderata di israeliani, sauditi, qatarini e soci minori.
L’Europa, a sua volta, è completamente appiattita sulla politica americana: manda i suoi aerei a bombardare i propri amici (come è successo in Libia) e spedisce le sue “organizzazioni non governative” a sostenere i nemici di Assad. I frutti di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Di noi italiani in particolare: abbiamo visto in diretta tv il linciaggio di Gheddafi, consegnato ai mercenari qatarini; abbiamo visto il via libera agli scafisti per riprendere in grande stile l’invasione migratoria verso la Sicilia; e vediamo, proprio in questi giorni, la proclamazione di un Califfato da qualche parte in Libia, a poche braccia di mare dalle nostre coste.
Nessun leader europeo – però – si arrischia, non dico a protestare, ma anche soltanto ad eccepire qualcosa. Neanche Angela Merkel, che evidentemente è capace di fare la voce grossa soltanto con la piccola Grecia. Sono tutti allineati e coperti, in adorazione della Grande Alleata, pronti a fare la guerra al cattivone Putin e a dare una pacca sulle spalle a quei mattacchioni del Califfato.
Anche per la politica estera, dunque, questa pseudo-Europa è una semplice colonia degli Stati Uniti d’America. Esattamente come per la politica economica, con i risultati che tutti conosciamo.
di Michele Rallo