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28 ottobre 1922: l'Italia di Vittorio Veneto marcia su Roma


C’è stato, in fondo, ed è inutile negarlo, un solo momento della storia unitaria nel quale gli italiani si sono sentiti veramente italiani ed orgogliosi di esserlo e fu durante il ventennio fascista. La nazionalizzazione delle masse, in quegli anni, funzionò per davvero, benché in un’ottica di dinamica politica autoritaria. E se è vero che la nazionalizzazione fascista si poneva in continuità con quella inutilmente tentata, soprattutto attraverso la scuola e l’esercito di leva, dai governi liberali post-unitari, la differenza tra le precedenti esperienze sabaude e quella fascista stava in due cose: l’integrazione, secondo una politica di nazionalismo sociale, delle classi popolari le quali in precedenza, nel regime liberal-borghese risorgimentale, erano escluse da qualunque partecipazione politica e, soprattutto, la Conciliazione con la Chiesa cattolica che consentì agli italiani di superare il divario, imposto da Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi, tra fede e appartenenza nazionale.il Nord, che oggi vive di pulsioni autonomiste ed indipendentiste, ha goduto per primo ed in misura superiore al meridione dei vantaggi della politica interventista e dirigista, eredità del fascismo, praticata nell’Italia del decollo industriale ed economico negli anni ’50, ’60 e ’70, le cui basi erano già state poste nel decennio che precedette il secondo conflitto mondiale. L’Eni di Enrico Mattei fu lo sviluppo dell’Agip fascista, l’IRI era stato istituito negli anni ’30 da Alberto Beneduce con il pieno appoggio di Mussolini dando così inizio all’economia delle partecipazioni statali che modernizzò il nostro Paese, la legislazione bancaria del 1936 aveva posto sotto controllo il credito onde finalizzarlo all’investimento sociale e non alla speculazione ed aveva assegnato alla Banca centrale il ruolo di Istituto finanziatore a basso o nullo interesse del fabbisogno statale (il nostro attuale debito pubblico è schizzato alle stelle a partire del 1981 con l’indipendenza dell’Istituto di Emissione che ha costretto lo Stato a finanziarsi presso i mercati a tassi elevatissimi o a comprimere la spesa pubblica), la politica di collaborazione capitale-lavoro, consacrati in articoli semi-attuati della Costituzione quali il 46 e il 49, continuava, nonostante tutto, in clima democratico l’esperienza corporativista del fascismo.Senza lo Stato nazionale il Nord non avrebbe avuto le infrastrutture necessarie alla sua sviluppata economia. Senza lo Stato nazionale il conflitto di classe, molto forte nelle zone industrializzate , non avrebbe trovato quelle soluzioni interclassiste, anche queste sulla scia già tracciata dal fascismo, che hanno consentito all’industria di prosperare con evidenti vantaggi – almeno fino a quando il neoliberismo globalizzatore non ha spiazzato l’idea stessa di Stato nazionale e sociale – anche per i ceti operai e piccolo borghesi.Nel 1992 sul Britannia si programmò la svendita del nostro patrimonio pubblico mettendo fine all’esperienza dell’IRI.. Si passò, così, a smantellare il Welfare ed a precarizzare il lavoro ossia a praticare politiche economiche dal solo lato dell’offerta, che significa politiche vantaggiose solo al capitale ed in particolare al capitale finanziario, favorendo le liberalizzazioni e la mobilità transnazionale dei capitali.Le rivendicazioni di autonomia o di indipendenza dallo Stato nazionale giocano oggettivamente tutte a favore dei processi economici globalizzanti perché la frammentazione fa venir meno i protezionismi, o quel che di essi rimane, anche il protezionismo sociale, e incentiva il liberismo di mercato e senza la sovranità militare, ossia dipendendo da un esercito “di occupazione” inserito nella Nato, non c’è affatto sovranità.

Le regioni? Aboliamole tutte











 Il sistema naturale Italiano di organizzare le autonomie è quello che da sempre è esistito, municipia e provinciae, e ha dimostrato di funzionare nei secoli, i comuni e le province. Storicamente "l'idea regionale" ha radici nell'Ottocento, in quei movimenti di pensiero d'epoca risorgimentale facenti capo ad Antonio Rosmini, a Vincenzo Gioberti e a Carlo Cattaneo. Mazzini stesso nel 1861 sostenne l'esigenza di riconoscere la Regione quale ente intermedio fra la Nazione e il Comune, precisando che l'unitarietà non doveva identificarsi necessariamente con l'accentramento. Ma fu nel primo dopoguerra che, soprattutto da parte di Luigi Sturzo, si riaccesero i riflettori su tale problematica. Per la dottrina dello Stato fascista è l'autorità dello Stato sovrano, che ha fini superiori a quelli degli individui e dei gruppi e che la sua sovranità (in vista degli interessi supremi e collettivi della Nazione) esso deve  rigorosamente e indefessamente attuare. "La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni". Nel secondo dopo guerra con articolo 114, ora modificato dalla riforma costituzionale del 2001, i costituenti vollero introdurre nella Costituzione le Regioni, come nuova ripartizione territoriale della Repubblica in aggiunta alle due già esistenti delle Province e dei Comuni. Il progetto cosi' come proposto, trovò l'avversione di Togliatti il quale rilevava come ci si trovasse di fronte ad un complesso di norme che, lungi dall'essere coerenti, erano, anzi, "contradittorie" e "ridicole", osservando in esse "un difetto fondamentale": rimanevano tracce profonde di federalismo mentre non esisteva il decentramento poiché si finiva con l'appesantire "in modo molto grave" l'apparato amministrativo. Anche il discorso di una autonomia finanziaria regionale preoccupava non poco il dirigente comunista per "il pericolo di creare una divisione economica fra le singole Regioni". Anche Benedetto Croce mostrò tutta la sua contrarietà per uno sconvolgimento dell'ordinamento giuridico che suscitava «il gran dolore di chi, come noi, crede che il solo bene che ci resti intatto degli acquisti del Risorgimento sia l'unità statale che dobbiamo mantenere saldissima se anche nel presente non ci dia altro conforto (ed è pure un conforto) che di soffrire in comune le comuni sventure.Togliatti stesso vide il pericolo di "tanti piccoli Staterelli" in lotta l'un contro l'altro per contendersi le risorse del Paese. Per Nitti «L'autonomia regionale è intesa, in fondo, come un distacco di cui si possono avere tutti i vantaggi della unità senza il peso. Presto o tardi, potete essere sicuri, si arriverà alla separazione, e voi, che siete più giovani di me, ne vedrete le terribili conseguenze. La Regione autonoma, con amministrazioni basate sulla proporzionale, non può sboccare che nella diffidenza, e la diffidenza non può sboccare che nella difficoltà della convivenza. (.) L'Italia non può avere che un nome, un'anima unica nazionale. Noi non possiamo rompere il nostro paese in pezzetti e governarlo con l'assurdo delle Regioni e poi sprofondare le Regioni nelle lotte e nelle diffidenze delle proporzionali». Nel gennaio 1970 si apre il dibattito sui provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario. Nel dibattito parlamentare fu Almirante a caratterizzarsi come decisamente contrario, " Perché? Perché le regioni tanto più costeranno quanto più saranno politicizzate; tanto meno costeranno quanto più rappresenteranno o potranno rappresentare o potrebbero rappresentare (poiché la mia credo sia ormai una vana illusione) degli organismi meramente amministrativi. L'articolo 15, sia attraverso il congegno della delega, sia e soprattutto attraverso l'abrogazione, improvvisa e improvvisata con enorme leggerezza, dell'articolo 9 della legge n. 62 del 1953, è esattamente l'articolo che politicizza al massimo, che autonomizza al massimo ma in senso politico, vorrei dire, con brutto neologismo, che «sovranizza» al massimo, sino a trasformare lo Stato in uno Stato federale, le regioni a statuto ordinario." Il 2002 e stato l'anno della concreta attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. La cessione di sovranità che è avvenuta a favore delle Regioni, sulla base della nuova suddivisione delle funzioni legislative tra stato centrale e periferico ha aperta la forbice che sta ora dilaniando i rapporti tra il governo (Renzi arriva dopo Berlusconi, Letta, Monti e Prodi) e i governatori. Tutti si sono trovati a fare i conti con una situazione sempre più precaria dal punto di vista dei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sono proprio questi gli anni (dal 2001 ad oggi) in cui, non sarà un caso, il debito pubblico italiano è passato da 1.620 miliardi di euro (solo il 108% del Pil) a oltre 2.160 miliardi (più del 133% del Pil): in termini assoluti, 540 miliardi in più, uno score catastrofico.Eppure basta rileggersi con attenzione l'articolo 117 della Costituzione, novellato proprio da quella revisione di inizio millennio, per capire che si sarebbe andati a sbattere. È lunghissima e piena di ricadute finanziarie la lista delle cosiddette materie "di legislazione concorrente" e cioè di competenza esclusiva delle Regioni, un mare magnum che soffoca ogni logica senza un adeguato sistema di controlli ex ante della spesa e un analogo potere impositivo territoriale. La lista dei poteri ''devoluti'' offre un'idea compiuta della mostruosità economica e forse anche giuridica di una tale riforma. Si tratta di rapporti internazionali e con l'Unione europea; commercio con l'estero, tutela e sicurezza del lavoro; istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale); professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Gran parte di queste mansioni va gestita con i soldi dello Stato centrale. Un'assurdità. Le regioni si sono rivelati mega-organismi dai piedi (e dai bilanci) d'argilla. Questo al netto delle inchieste che hanno interessato molti consigli regionali. Lo Stato è diventato una Ferrari che deve consumare come una Panda, il sistema delle Regioni è l'esatto contrario. La benzina è la stessa e sta finendo per tutti. Abbiamo così, non uno ma oltre 20 parlamenti, fonte di sprechi, favori, clientele e privilegi. Le regioni si sono trasformate come previde Togliatti in "tanti piccoli Staterelli" in lotta l'un contro l'altro per contendersi le risorse del Paese, dove spesso, come temeva Almirante, attecchisce il germe della "sovranizzazione", e come ebbe a prevedere Nitti, "Presto o tardi, potete essere sicuri, si arriverà alla separazione", avaporerà così " il solo bene che ci resti intatto degli acquisti del Risorgimento", come Del Noce affermava, l'unità statale. Oggi infatti La Lombardia governata da Maroni della Lega Nord per l'Indipendenza della Padania invoca lo statuto autonomo, una pazzia. Il Veneto governato da Luca Zaia dello stesso movimento separatista, invoca l'indipendenza del Veneto.

Centomila firme affermano i leghisti sono state raccolte per l'indipendenza del Veneto nei gazebo allestiti dalla  Lega nella regione. Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, ha  ringraziato: "La Lega c'è, la Lega corre. Quest'anno - ha chiosato - ci saranno i referendum per l'indipendenza in Catalgona e in Scozia, e io spero che il Veneto faccia da apripista in Italia".

 Nel linguaggio e nei metodi usati dagli esponenti della Lega Nord per l'indipendenza della Padania si intravede il fomento dell'odio nei confronti dei fratelli, nei confronti dei simboli dello Stato, la sua capitale Roma, (poi abbiamo visto che i ladroni si trovano ovunque) la sua Bandiera il Tricolore. L'attuale segretario della Lega Nord per l'Indipendenza della Padania è venuto per la prima volta alla ribalta della cronaca perchè agitatore delle notti alcoliche dei Giovani Padani, usi a bruciare Tricolori, con coretti da stadio che inveiscono contro i Napoletani " Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i Napoletani".Oggi fa l'indossatore di mode di stagione. L'on Grimoldi, segretario nazionale (sic) della Lega della Lombardia quando rivendica fondi lo fa attaccando altri progetti che si realizzerebbero altrove, è una politica. . Le sante milizie che i Comuni della Lega Lombarda strinsero intorno al Carroccio, in una volontà di Vittoria, in un voto di morte, rivissero popolando di Eroi le desolate nudità del Carso, le contrastate rive del Piave, le aspre giogaie trentine. Sul giuramento di Pontida, la Patria riconiò il nuovo patto di fede. A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà, affinché, nelle officine e nei campi e fra il popolo si imparasse a mortificare e a cancellare lo spirito settario, nel nome d'Italia. Legnano fu grande, perché assai grande era l'Idea di Roma, sede del pensiero universale, erede del passato di gloria, tempio della preghiera, di quella che da diritto agli uomini di elevarsi fino a Dio. Grazie prof. Miglio le regioni vanno abolite, e non abbiamo davvero bisogno di creare altri mostri.









La  ruspa di Salvini contro l'Italia





L' Italia non è nata il 25 aprile del 1945




"Vivere il proprio tempo sapendo, coscienza di carne, che c’è stato altro e altro ci sarà dall’oggi. La società non è nata il 25 aprile del 1945, la cultura non è riducibile all’epopea del beat che pare averci generati, e per far fronte al disastro del presente qualche lezione di storia e d’arte bisogna pur farle. E’ obbligatorio".  
Giovanni Lindo Ferretti