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Contro il sostituzionismo


Qual è il contrario della Grande Sostituzione? Qual è la buona ragione, in fin dei conti, affinché sia un popolo e non un altro a dover vivere in un dato territorio? Non è forse vero, come ci ripetono le élite immigrazioniste, che nessuno di noi è originario o autoctono, che le radici possono essere “decostruite”, che l’identità è un’illusione?
Il sostituzionismo è come un Dio terribile per cui tutti gli uomini sono uguali e intercambiabili, dato che gli sono indifferenti. Il contrario del sostituzionismo è non solamente l’identità, ma il carattere “insostituibile” degli individui e dei popoli. L’esilio ha una sua nobiltà tragica e metafisica, certo, ma non c’è esilio che a partire da un fondo di appartenenza. È la propaganda cosificante che pretende di decostruire l’essere. Amo più la morale de I nutrimenti terrestri, di Gide: “Non legarti in te se non a ciò che senti non essere altrove che in te stesso, e crea di te, impazientemente o pazientemente, ah! il più insostituibile degli esseri”.

Per la Russia subito nell'Ue: la Petizione a Junker da firmare, ora!


Sempre più europei hanno l'impressione che l'Unione sia ormai una gabbia dalla quale liberarsi, l'ultimo esempio è proprio quello della Gran Bretagna, il Paese che, tra l'altro, più aveva da perdere uscendo dall'Ue. L'unico Paese con prima lingua ufficiale l'inglese che, ora, non è più lingua comunitaria. 
C'è urgenza quindi di ripensare l'Europa dalle sue fondamenta, culturali come di continuità territoriale. È urgente ri-unire quel destino comune che le Avanguardie Storiche avevano costruito da Parigi a Mosca nei primi del '900 dando vita alla modernità, destinazione comune che il Dopoguerra ha ideologicamente occultata. 
Oggi quel cuore della modernità spezzato va riunificato. Il ventricolo destro ricongiunto al sinistro.
Una Europa senza la Russia è un'Europa mutilata, è urgente dare vita e corpo al sogno del Manifesto di Ventotene: quello degli Stati Uniti d'Europa. E' urgente contrapporre ai venti di guerra brezze di Pace e nonviolenza. 
Per questo un'organizzazione di utilità sociale italiana ha avviato una raccolta firme di persone che, contrarie alla violenza ed alla guerra in tutte le sue forme — economiche e commerciali, culturali e linguistiche, sociali e militari —, chiedono al Presidente della Commissione europea Junker l'entrata della Russia in Europa da subito, proponendole un percorso, veloce ed agevolato, affinché ciò accada il prima possibile.
Seanz'altro una iniziativa da incoraggiare questa e che, chi vuole, può sottoscrivere qui.


La Lega e l'Euro: tutta un'altra storia

XI Legislatura (23 aprile 1992 - 16 gennaio 1994) (1) Ottobre 1992. La Lega Lombarda, pur essendo all''opposizione, vota SI in Parlamento ai Trattati di Maastricht, ovvero votò favorevole alla Bibbia del neoliberismo sulla cui base cessò di vivere la Comunità economica europea e nacque l’Unione europea. XIV Legislatura (maggio 2001-aprile 2006) (2) L'euro entra in circolazione il 1 gennaio 2002, col pieno assenso della Lega Nord che faceva parte del governo Berlusconi. (3) Il 1 febbraio 2003, con l’assenso del governo italiano (di cui fa parte la Lega Nord) entra in vigore il Trattato di Nizza (Costituzione europea). Il Trattato viene firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Stiamo parlando della “Costtiuzione” che verrà bocciata dai francesi e olandesi con referendum nel maggio e giugno 2005. (4) Nel 2003, con il pieno consenso in seno al Consiglio europeo del governo Forza Italia-Lega-An, sono sottoscritti i Trattati di adesione alla Ue di Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia. (5) Il 1 maggio 2004, col pieno consenso del governo Forza Italia-Lega-An in seno al Consiglio europeo, entrano nella Ue: Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia. XVI Legislatura Governo Berlusconi IV (dall'8 maggio 2008 al 16 novembre 2011) (6) Il 19 giugno 2008 il Consiglio europeo (con il consenso del governo Berlusconi-Lega Nord) accetta la Slovacchia nell’euro-zona. (7) Il 1 dicembre 2009 (con il consenso del governo Berlusconi-Lega Nord) entra in vigore il Tratto di Lisbona. Il 23 luglio 2008 il Senato approva il Trattato di Lisbona all'unanimità con 286 sì. Il 31 luglio 2008 la Camera approva all'unanimità il Trattato di Lisbona con 551 sì. (8) Il 3 dicembre 2008 il Parlamento approva, su proposta del governo Pdl-lega Nord, il ddl Salva Banche contenente i cosiddetti Tremonti bond. (9) Il 17 giugno 2010 il Consiglio europeo (con il consenso del governo Berlusconi-Lega Nord) accetta l’ingresso dell’Estonia nell’euro-zona. (10) Il18 novembre 2009 il Parlamwento approva definitivamente il decreto Ronchi presentato dal governo Berlusconi-Lega sul pieno adempimento degli obblighi comunitari. (11) Il 8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri (voto favorevole della Lega Nord), dopo la famigerata "Lettara della Bce" vara la proposta di legge Costituzionale sull'introduzione del principio del pareggio del bilancio nella Costituzione. (12) Il 26 ottobre 2011, causa "crisi dello spread" e i conseguenti diktat dell'Unione Europea, il presidente del Consiglio Berlusconi, col consenso della Lega Nord, invia una lettera con la promessa di adottare le misure austeritarie di macelleria sociale, quelle che saranno poi adottate dal successivo governo Monti. (13) Il 3 e il 4 novembre 2011 dopo che Berlusconi partecipa a Cannes al summit del G20, il governo Pdl-Lega accetta che una delegazione del Fondo Monetario Internazionale "monitori i progressi sulle riforme economiche e gli effetti di queste sui conti pubblici", ovvero il definitivo commissariamento. (14) Poco prima di dimettersi il Presidente del Consiglio Berlusconi, 12 novembre 2011, fa approvare dalla Camera dei deputati i disegni di legge, già approvati dal Senato (consenso della Lega in entrambi le aule), contenenti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012), il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2012 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014. Tutto ciò che poi Monti metterà in pratica.

Victor Orban: leader dell'Europa come potenza



Lo Storico discorso del leader ungherese sottotilotalo in Italiano ed Inglese

Dal centro di Budapest e di fronte a migliaia di ungheresi giunti ad ascoltarlo il Primo Ministro Ungherese si rivolge alle istituzioni comunitarie, alle altre nazioni ma soprattutto a tutti i popoli europei. Invitandoli a fare fronte all'"Europa liberale" che la Ue sta tentando di realizzare. "Invitiamo ogni cittadinio ungherese e ogni nazione europea all'unità, a prescindere dal proprio orientamento politico", ha urlato rivolto alla folla. Lanciando poi dei messaggi alle istituzioni comunitarie: "I leader europei non possono più vivere in mondi separati rispetto ai cittadini. Uno degli obiettivi dichiarati dal premier magiaro è la salvaguardia dell'unità europea. "Dobbiamo ripristinare l'unità politica dell'Europa. Noi popoli europei non possiamo essere liberi da soli, possiamo invece esserlo se siamo uniti, se ci sosterremo a vicenda saremo vittoriosi. Uniti siamo forti, divisi siamo deboli". "Il futuro dell'Europa è a un bivio: vogliamo essere schiavi o uomini liberi? È una domanda, rispondetemi!" ha detto rivolto al pubblico. Che ha risposto con un'ovazione e un intenso sventolio di bandiere.

Dall' occidente americanizzato, all'Europa: i tre poli.


In EUROPA esistono ormai tre poli: uno e' quello dei partiti di centro destra e sinistra che vogliono mantenere l'Unione Europea tale e quale la conosciamo ora: una entita' in cui e' organizzato l'occidente americanizzato, con una politica estera ed economica al servizio degli USA, il rinnegamento della cultura europea, sostituita in tutti i campi del pensiero dal modello di societa' americana, fino ad arrivare alla sostituzione etnica delle popolazioni europee con altri popoli; un secondo polo e' costituito da quei partiti che predicano l'uscita dall'Euro, dall'Unione Europea, il ritorno di monete nazionali e a singoli stati separati l'uno dall'altro; poi esiste un terzo polo, il cui riferimento principale e' il presidente ungherese Victor Orban e comprende uno schieramento di forze che sono al governo di stati europei, soprattutto collocati nell'Europa Centro-Orientale, questo terzo polo, capisce che un Unione Europea che esiste principalmente per sostenere le politiche e gli interessi statunitensi non può andare bene agli europei, d'altra parte capisce anche che nella geopolitica dei grandi spazi che caratterizza la modernità, il ritorno alle singole nazioni isolate o alle monete nazionali costituirebbe un suicidio per i popoli europei, come la prima ipotesi della sudditanza USA, e quindi ha iniziato a lavorare ad Unione Europea diversa, basata sugli interessi degli europei e non su quelli USA, applicando ipotesi concrete nelle scelte di governo dei propri paesi che non colli mano con le decisioni prese dalla commissione europea, e dai manutengoli degli americani. Questa e' l'unica è autentica via da opprre alla prima ipotesi, cioè di Unione Europea entita' dipendente da padroni di oltre atlantico.

La "grande sostituzione": gli U.S.A. finanziano neri e scafisti





Sarebbero gli Stati Uniti a finanziare il traffico di migranti africani dalla Libia verso l’Italia.
 Lo afferma l’austriaco InfoDirekt, che dice di averlo appreso da un rapporto interno dello ’Österreichischen Abwehramts (i servizi d’intelligence militari di Vienna): ed InfoDirekt è un periodico notoriamente vicino alle forze armate.

ll titolo dice: “Un Insider: gli Stati Uniti pagano i trafficanti (di immigrati) in Europa”. Il testo non dice molto di più. Dice che i servizi austriaci valutano il costo per ogni persona che arriva in Europa molto più dei 3 mila dollari o euro di cui parlano i media.
“I responsabili della tratta chiedono cifre esorbitanti per portare i profughi in Europa” Si va dai 7 ai 14 mila euro, secondo le aree di partenza e le diverse organizzzioni di trafficanti; e i fuggiaschi sono per lo più troppo poveri per poter pagare simili cifre. La polizia austriaca che tratta i richiedenti asilo sa questi dati da tempo; ma nessuno è disposto a parlare e fare dichirazioni su questo tema, nemmeno sotto anonimato.
Da parte dei servizi, “Si è intuito che organizzazioni provenienti dagli Stati Uniti hanno creato un modello di co-finanziamento e contribuiscono a gran parte dei costi dei trafficanti”. Sarebbero “le stesse organizzazioni che, con il loro lavoro incendiario, hanno gettato nel caos l’Ucraina un anno fa”. Chiara allusione alle “organizzazioni non governative” americane, cosiddette “umanitarie” e per i “diritti civili”, bracci del Dipartimento di Stato o di Georges Soros.


L’articolo termina con un appello “a giornalisti, funzionari di polizia e di intelligence”perché “partecipino attivamente nella ricerca di dati a sostegno delle accuse qui espresse. L’attuale situazione è estremamente pericolosa e il lavoro informativo può prevenire l’intensificarsi della crisi”.
In un successivo articolo, il giornale austriaco rivela che “anche in Austria c’è il “Business
dei profughi”, Una “azienda per i richiedenti asilo” ha ottenuto dallo stato 21 milioni  per assissterli nelle pratiche e nutrirli. E’ una vera e propria azienda a scopo di lucro,   con sede in Svizzera, la ORS Service AG, ed è posseduta da una finanziaria, la British Equistone Partners Europa ( PEE) , che fa’ capo a Barclays Bank:  ossia alla potentissima multinazionale finanziaria nota anche come “La corazzata Rotschild”, che ha come principali azionisti la banca privata NM Rotschild e la loro finanziaria satelletite Lazard Brothers. “Presidente di Barclays è stato per anni il figlio Marcus Agius Rothschild . Questi ha sposato la figlia di Edmund de Rothschild : Katherine Juliette. Di conseguenza, ha il controllo anche della British Broadcasting Corporation (BBC), ed uno dei tre amministratori del comitato direttivo del gruppo Bilderberg”. I Rotschild non disdegnano nessun affare: e quello degli immigrati da “accogliere” e curare con denaro pubblico è certo l’industria di cui hanno previsto ( sanno) che crescerà in modo esponenziale.
Thierry Meyssan (Reseau Voltaire) rilancia l’informazione perché vi trova confermato un suo lungo e complesso articolo da lui postato quattro mesi fa, in cui fra l’altro sosteneva che l’ondata di rifugiati in Europa non è l’effetto collaterale accidentale dei conflitti in Medio Oriente, ma un obiettivo strategico degli Stati Uniti. Meyssan chiamava la strategia Usa “la teoria del Caos”, e la faceva risalire a Leo Strauss (1899-1973), il filosofo padre e guru dei neocon annidati nel potere istituzionale Usa.
Il principio di questa dottrina strategica può essere così riassunto: il modo più semplice per saccheggiare le risorse naturali di un Paese sul lungo periodo non è occuparlo, ma distruggere lo Stato. Senza Stato, niente esercito. Senza esercito nemico, nessun rischio di sconfitta. Da quel momento, l’obiettivo strategico delle forze armate USA e dell’alleanza che esse guidano, la NATO, consiste esclusivamente nel distruggere Stati. Ciò che accade alle popolazioni coinvolte non è un problema di Washington”.
“Le migrazioni nel Mediterraneo, che per il momento sono soltanto un problema umanitario (200.000 persone nel 2014), continueranno a crescere fino a divenire un grave problema economico. Le recenti decisioni della UE (…) non serviranno a bloccare le migrazioni, ma a giustificare nuove operazioni militari per mantenere il caos in Libia (e non per risolverlo)”.
http://www.voltairenet.org/article187426.html
E’ proprio così: la strategia americana sembra effettivamente quella di trascinare gli europei in avventure militari in Libia come in Siria e in Ucraina; una volta impantanati fino al collo in quelle paludi del caos, per cui non abbiamo alcuna preparazione militare, dovremo implorare l’aiuto della sola superpotenza rimasta, a cui ci legheremo più che mai perché “ci difende dal caos”.
Una sola ultima considerazione: la sinistra dell’accoglienza, come sempre la sinistra, “fà l’interesse del grande capitale, a volte perfino senza saperlo”: Ad essa s’è aggiunta, con Bergoglio, la Chiesa di Galantino.
 
di Maurizo Blondet

 

La bandiera dell'Unione Europea: tante stelle che ruotano intorno al nulla

 
 
 
 
 
 
 
 
 
1- Stars and stripes
2 - Bandiera  Marina della Confederazione:
3 - Stars and bars
 
 
Anche nella bandiera adottata l'Unione Europea di caratterizza nel ruolo di vassallo degli Stati Uniti, la bandiera UE è  infatti ispirata alle bandiere storiche degli Statunitensi, sia alla Stars and stripes (unionista), che alla Star and bars (confederazione), praticamente identica a quella della Marina confederata d'ispirazione Ingles. Non vi è alcuna traccia che si riferisca alla storia, alla cultura e alle tradizioni europee.
 
Gli Stati Uniti hanno voluto l'Unione Europea. Attraverso le loro agenzie di spionaggio, la Cia in particolare, alla fine degli anni '40 e negli anni '50 sono stati i primi promotori delle prime organizzazioni di federazione europea. [...]. Allora la proposta di una Unione Europea che superasse gli scogli degli stati nazionali e configurasse una struttura non democratica, dove il governo del continente fosse affidato a dei funzionari nominati, prodotti dal coacervo del potere finanziario, poteva liberare la strada a una struttura che fosse dominabile, assimilabile agli interessi degli Stati Uniti. Avendo un'Europa ridotta in questi termini anti-democratici, che man mano hanno fatto carne di porco delle sovranità nazionali, agli Stati Uniti è riuscito molto meglio il controllo sul continente. Un controllo che deve essere comunque e sempre mantenuto, come sempre deve essere mantenuta la subalternità del continente, che non deve rafforzarsi eccessivamente, non deve fiorire, non può essere troppo competitivo economicamente con gli Stati Uniti e, soprattutto, non deve essere attratto dalla sua tentazione naturale, data dalla sua collocazione geografica, culturale, storica, verso l'Eurasia, verso la Russia. Questo deve essere impedito. Mettere in difficoltà l'Europa a partire dalle sue appendici inferiori, cioè meridionali, creando questi subbugli, caricando le economie nazionali di questo sovrappeso, significa tenere l'Europa sotto ricatto. Io, attraverso le mie guerre, attraverso i miei strangolamenti economici, attraverso i miei surrogati, l'Isis eccetera, provoco profughi. Questi profughi li faccio riversare su di te, Europa, ed eventualmente la smetto se tu mantieni un ruolo subalterno, se non ti fai tentare da Putin e rimani un nostro tranquillo vassallo, a cui è concesso qualche giro di valzer, qualche spazio economico, ma sempre in termini di condizionamento.
 
 
Estratto da:
Intervista a Fulvio Grimaldi giornalista di guerra e documentarista indipendente, di Claudio Messora.
megachip.globalist.it

L' Europa e il nemico dell' ovest






 
Chissà perché l’ineffabile Matteo Renzi si sia dato, a suo tempo, tanto daffare per garantire all’Italia la “poltrona” europea della politica estera. Una politica estera europea, infatti, non esiste. Come, d’altro canto, non esiste l’Europa come entità politica, ma soltanto una “Unione” con funzioni meramente economiche (o, forse, antieconomiche).
Sia come sia, facc
iamo finta – per un momento – che, al posto di questa invertebrata Unione Europea, ci sia una Europa vera, e cerchiamo di disegnare una sua politica diplomatica. Una politica diplomatica “nostra” – beninteso – cioè fatta nell’interesse dell’Europa, e non in quello degli Stati Uniti d’America. Esattamente come una politica economica “nostra” dovrebbe tutelare gli interessi europei e non quelli americani.
Ipotizziamo, dunque, l’esistenza di una Unione genuinamente, egoisticamente europea, con la sua politica economica europea, con la sua politica diplomatica europea, con la sua politica di difesa europea. Una Unione, in altri termini, che sia l’esatto opposto dell’odierna cosiddetta Unione Europea.
Orbene, cosa avrebbe dovuto fare – questa Unione europea – di fronte al cambiamento epocale che, vent’anni fa, vide la fine dell’Unione Sovietica e la nascita di una Federazione Russa che non voleva più “esportare” il comunismo ad ovest? Semplice: avrebbe dovuto stringere un’alleanza di ferro con questa nuova Russia, avrebbe dovuto raccordare la sua economia con quella russa, avrebbe dovuto armonizzare la sua difesa con quella russa, soprattutto in previsione delle nuove minacce che iniziavano a profilarsi a sud: a sud dell’Europa e, simultaneamente, a sud della Russia, nella Ciscaucasia musulmana. D’altro canto, oltre ad essere l’alleata naturale dell’Europa, la Russia era ed è il partner economico naturale dell’Europa. Anzi, le due economie sono complementari, si integrano a vicenda e – insieme – costituiscono un unicum che le renderebbe autosufficienti, potenzialmente autarchiche – mi si passi il termine – e tali da poter restare immuni dal ricatto della globalizzazione economica (e finanziaria) con cui gli Stati Uniti d’America vogliono imporre la loro supremazia al mondo intero.
La Russia non è un paese come altri, è un gigante che abbraccia la parte più orientale dell’Europa e tutta l’Asia settentrionale, fino al Mar del Giappone. Un gigante che è, tra l’altro, il primo produttore mondiale dell’unica materia prima che manca all’Europa, il petrolio. Ecco perché una grande alleanza euroasiatica (e non euroafricana, come auspicano gli arabi) sarebbe senza dubbio la prima entità politica ed economica (e in un futuro forse anche militare) del globo.
Ma… c’è un “ma”. Gli Stati Uniti hanno il preciso interesse che ciò non si realizzi. Hanno affrontato due guerre mondiali ed una terza lunghissima guerra “fredda” al solo scopo di poter liberamente scorrazzare sui mercati europei e poi su quello russo; e adesso – dopo aver costretto alla resa anche la superpotenza sovietica – non sono certo disponibili ad assistere inerti al rafforzamento, anche soltanto economico, di quelle nazioni destinate a diventare delle semplici praterie di un nuovo Far-West planetario.
Ecco che si sono inventati una canagliesca campagna di accerchiamento della Russia; una Russia – si badi – non più ostile al cosiddetto “Occidente”, che non minaccia nessuno e che, anzi, garantisce che il fondamentalismo islamista non valichi il Caucaso e non aggredisca l’Europa anche da est. Contro Mosca è stato tentato di tutto: il sostegno ai fondamentalisti caucasici attraverso i generosi finanziamenti dei pii musulmani produttori di petrolio, la sanguinosa provocazione di una Georgia che minacciava la pulizia etnica contro la minoranza russa presente entro i suoi confini, il linciaggio mediatico internazionale per il divieto alla propaganda omosessualista, e persino la ridicola crociata in favore delle Pussy Riot (volgare ma letterale traduzione: fiche in rivolta) che la stampa occidentale, evidentemente, avrebbe voluto libere di sculettare seminude sugli altari delle Chiese.
Ultima tragica invenzione dei servizi segreti americani (e di certe “organizzazioni non governative” che svolgono una funzione parallela) è stato il colpo-di-Stato antidemocratico in Ukraina. Un colpo-di-Stato – si badi bene – organizzato contro un Presidente eletto democraticamente (dopo aver sconfitto nelle urne il candidato filoamericano) e che veniva poi abbattuto da una brutale sollevazione armata. Una sollevazione che i media “occidentali” hanno gabellato come la spontanea rivolta di un popolo che anelava ad entrare nell’Unione Europea; ma che invece, molto più prosaicamente, sarebbe stata organizzata e finanziata dagli americani, con una cifra da capogiro – secondo le rivelazioni dell’ex agente della CIA Scott Rickard – pari a 5 miliardi di dollari.
Ma, fin qui, nulla di particolarmente strano. È comprensibile che gli USA abbiano fatto carte false per difendere i loro interessi. È invece del tutto incomprensibile, addirittura inconcepibile che i paesi europei si siano disciplinatamente, supinamente, bovinamente accodati agli americani, fingendo di credere alla ricostruzione ufficiale dei fatti ukraini ed associandosi a delle sanzioni che per l’economia europea (ed italiana in particolare) sono una vera e propria autoflagellazione masochistica. E siamo ancora a niente, perché ci sono ambienti americani che spingono per andare oltre le sanzioni, fino alla guerra. E noi, ancora una volta, a belare obbedienti. Nessuno tra i capi di governo europei ha avuto il coraggio di dire un’acca, di opporsi a quelle incredibili sanzioni, e neppure – men che meno – di raccomandare al pacifista Obama di non andare troppo oltre con le provocazioni, di evitare i passi più azzardati che potrebbero sfociare – Dio non voglia – in un conflitto dagli sviluppi imprevedibili.
La verità è che l’Europa – nella strategia globalista americana – dovrebbe rinunziare alle comode forniture di petrolio e gas russi, per acquistare il nuovo petrolio sintetico prodotto dagli Usa – lo “scisto” – da far giungere nei nostri oleodotti attraverso i costosissimi trasporti marittimi che ne farebbero lievitare a dismisura il prezzo.
E noi – cornuti e contenti – giù a battere le mani, ad osannare la “fermezza” di Obama, ad ospitare sui nostri media la propaganda di guerra del regime collaborazionista ukraino, e naturalmente a subire anche gli “effetti collaterali” di questa incredibile politica sanzionistica contro Mosca. Effetti collaterali che hanno riguardato, in particolare, l’interscambio italiano con la Russia (che nel 2013 sfiorava i 27 miliardi di euro), penalizzando fortemente alcuni settori economici, dall’agricoltura al turismo.
A fronte di questo incredibile bellicismo contro la Russia, la diplomazia americana (con la fotocopia europea) si mostra estremamente comprensiva verso chi minaccia concretamente l’Europa: il fondamentalismo islamico. Hanno iniziato una ventina d’anni fa, subito dopo la creazione dell’Unione Europea: “Qualcuno” ha indirizzato verso l’Europa flussi sempre crescenti di immigrati musulmani, imponendo all’Unione e agli Stati-membri di accoglierli stabilmente, pena l’accusa di razzismo, nazismo e tutto il resto dei fantasmi della “memoria”. Poi “Qualcuno” ha cominciato ad organizzare e a finanziare “primavere arabe” e “rivoluzioni colorate” contro i governi arabi laici (e amici dell’Europa): contro la Tunisia di Ben Alì, contro la Libia di Gheddafi, contro l’Egitto di Mubarak, contro la Siria di Assad. “Qualcuno” al di là dell’Atlantico, naturalmente; e “Qualcuno” nei paesi arabi più reazionari e antidemocratici (ma fedeli alleati e soci in affari dei petrolieri texani), là dove le donne non possono neanche guidare la macchina e gli omosessuali rischiano la decapitazione.
I frutti avvelenati di questa crociata “democratica” sono sotto gli occhi di tutti: si va dall’anarchia istituzionalizzata in Libia fino alla proclamazione di uno Stato terrorista – l’ISIS – su parte del territorio di due Stati sovrani: la Siria e l’Iraq. Uno “Stato” fantasma che potrebbe essere raso al suolo in quattro e quattr’otto, ma che gli americani vogliono conservare, in ossequio ai desiderata dei loro alleati regionali: Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar e tutti gli altri sostenitori della sporca guerra contro la Siria. Il Presidente a stelle e strisce lo ha praticamente ammesso, quando ha dichiarato che «la mia priorità è assicurarmi che le posizioni guadagnate dall’ISIS in Iraq siano riportate alla situazione precedente». Avete capito? Non distruggere l’ISIS, ma «riportarlo alla situazione precedente», contenerlo entro un certo confine, evidentemente stabilito da “Qualcuno” che ha deciso l’amputazione di due Stati sovrani e la creazione di una terza entità statale assolutamente illegittima.
Intanto, mentre un altro pezzo di Iraq – il Kurdistan – sta andandosene per i fatti propri, Israele scalda i motori (e spara) nel sud del Libano. Il Libano è il prossimo Stato di cui è stata decretata la frantumazione (vedrete cosa succederà nei prossimi mesi) per creare due o tre staterelli, più o meno coincidenti con le sue componenti etnico-religiose. È – si dice – un vecchio disegno di Israele e della sua aggressiva politica diplomatica: cancellare le grandi nazioni mediorientali (Arabia Saudita esclusa) e, al loro posto, dar luogo ad una minuzzaglia rissosa, divisa da rivalità etniche e contrapposizioni religiose. L’America di Obama sembra completamente succube di questo disegno, vocata soltanto a ratificare i desiderata di israeliani, sauditi, qatarini e soci minori.
L’Europa, a sua volta, è completamente appiattita sulla politica americana: manda i suoi aerei a bombardare i propri amici (come è successo in Libia) e spedisce le sue “organizzazioni non governative” a sostenere i nemici di Assad. I frutti di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Di noi italiani in particolare: abbiamo visto in diretta tv il linciaggio di Gheddafi, consegnato ai mercenari qatarini; abbiamo visto il via libera agli scafisti per riprendere in grande stile l’invasione migratoria verso la Sicilia; e vediamo, proprio in questi giorni, la proclamazione di un Califfato da qualche parte in Libia, a poche braccia di mare dalle nostre coste.
Nessun leader europeo – però – si arrischia, non dico a protestare, ma anche soltanto ad eccepire qualcosa. Neanche Angela Merkel, che evidentemente è capace di fare la voce grossa soltanto con la piccola Grecia. Sono tutti allineati e coperti, in adorazione della Grande Alleata, pronti a fare la guerra al cattivone Putin e a dare una pacca sulle spalle a quei mattacchioni del Califfato.
Anche per la politica estera, dunque, questa pseudo-Europa è una semplice colonia degli Stati Uniti d’America. Esattamente come per la politica economica, con i risultati che tutti conosciamo.
                   
                                                                                                                                        di Michele Rallo





La democrazia sostitutiva


Il potere dello Stato, oggi, è in gran parte diventato un potere accessorio o subordinato. Coloro che detengono il potere reale appartengono a un cenacolo al di fuori dello Stato e anche al di fuori del territorio. Questi cenacoli contano molti nominati o cooptati che eletti. E sono loro che decidono. E’ una delle cause della crisi della democrazia rappresentativa, che sarebbe meglio chiamare altrimenti democrazia sostitutiva, poiché sostituisce alla sovranità popolare l’unico potere dei suoi presunti rappresentanti”.
Alain De Benoist

Tutto Per La Patria Manifesto per Una Italia Migliore




L’Italia esiste solo come entità fiscale. Tende a sparire come sistema-Italia, come servizi, per essere solo un espressione tributaria, una cambiale collettiva, un esercizio implacabile di esattoria. Non ci unisce più nulla ormai, al di fuori della Tassa. L’Italia, insomma si avvia a diventare un paese irreale. Non surreale, come finora si è pensato e forse sperato, confidando nelle nostre abituali risorse di fantasia di genio e di sregolatezza . No irreale nel vero senso della parola.

L’Italia appare sempre più un emanazione della tv, una costola della fiction televisiva. Una specie di realtà virtuale nel senso dei giochi di simulazione. Anche il Partito architrave di questa Italia irreale, è diventato irreale. Ha raggiunto una sua perversa trasparenza che non è sinonimo di onestà e limpidezza, ma di vacuità. Dentro non c’è niente. Se entri in un partito, è come se ti iscrivi al club di Fantomas. La tessera equivale all’anello di Gige, che rende invisibile. Varcata la soglia trovi il nulla, ti nominano cavaliere di gran croce, nel senso che devi mettere una croce sulla scheda al momento delle elezioni.. Ma per il resto? Un esercizio commerciale o poco più. L’impressione è che si stia combattendo una sotterranea ma diffusa guerra di liberazione: la liberazione dall’Italia. Cambia la prospettiva del dopo, per molti è l’Europa, per altri è il Villaggio Globale, per taluni è il Villaggio e basta, o la regione, e per altri semplicemente è il proprio condominio. Non vediamo in giro segnali di gravidanza per una nuova entità politica e culturale, oltre che economica e sociale: vediamo piuttosto l’agonia di un paese allo sfascio che celebra il suo sfascio, lo inscena e lo rende perfino spettacolare. Intendiamoci di sensazioni crepuscolari dell’Italia è piena la storia e la letteratura del nostro Paese. Ma la sensazione era, fino a qualche tempo fa, che esistesse un collante, un residuo e in fondo tenace luogo di identificazione, una risorsa persistente di identità collettiva che sopravviveva a tutte le intemperie. Adesso no, quella sensazione sembra venuta meno. Mentre parlavamo di riforme l’Italia se ne è andata. E’ venuto meno il senso di appartenenza a una identità comune, ad una nazione, un popolo o una patria, prima che uno Stato. Qualcosa d’impalpabile eppure assai concreto, che si respira nell’aria, nelle cose, nel linguaggio, nel paesaggio, nel vivere insieme, oltre che nella cultura e nella memoria.

Ad unirci resta quel che più di ogni altra cosa contribuì a disperderci, la televisione. E’ l’unica  casa comune che resta e ci consente di parlare di cose comuni con un linguaggio comune. Ma l’Italia muore di televisione.

Ci allontaniamo contemporaneamente, e con la stessa sequenza logica, dalla parrocchia e dal municipio.

Il peccato originale fu commesso dai partiti che hanno dissolto la nazione con la parola e con l’esempio, legittimando il pubblico disgusto e i privati affarissimi. Ma dobbiamo riconoscere che il Pese non è meglio della sua classe dirigente.

Certo, la forbice tra dinamismo della società e arretratezza della politica  si è allargata , la società civile si è sviluppata, mentre la società politica è scesa nel sottosviluppo. Ma se il discorso si trasferisce sulla qualità etica e civile, le due società tendono a combaciare. La piazza riproduce in scala ridotta la grande corruzione e la grande inefficienza del palazzo.

L’Italia soffre di cattiva modernità, di una immissione nello sviluppo senza contrappesi forti in termini di tradizioni e di carattere nazionale. Il male d’Italia è la tabula rasa che si è fatta di ogni identità collettiva, il rigetto di ogni radicamento nel proprio tessuto nazionale. : il puro orbitare in uno spazio vacante , in una terra di nessuno, dove siamo cresciuti in grassezza ma non in altezza, in latitudine ma non in profondità. E se il nostro problema non fosse di liberarci dalla identità italiana  ma di esprimerla al meglio? Se il nostro difetto non fosse la nostra italianità ma il nostro complesso di italianità che non ci consente di confrontarci con quel che siamo e ci destina ad esser la controfigura, la degradazione, di quel che vorremmo essere ?  Un Paese non può disegnarsi sul nulla, prescindendo dalla sua stessa realtà e dalla sua storia, ma deve tenere in mente i suoi caratteri radicali. Perché se non lo fa, non diventa un altro Paese, ma diventa la caricatura di se stesso. Su questa tabula rasa è nato un capitalismo senza radicamento etico o nazionale: una partitocrazia senza spirito pubblico e primato degli interessi generali, una democrazia senza popolo, senza valori, senza dignità nazionale.  

Abbiamo pure inventato il peggiore tipo di individualismo, quello fondato sull’irresponsabilità di ciascuno nel disinteresse di tutti.  Abbiamo consentito il dominio del privato, della sua logica e dei suoi interessi, anche laddove sono in gioco interessi pubblici e questioni generali. Mentre i settori pubblici che si vorrebbero privatizzare, non funzionano perché in realtà sono già stati privatizzati , nel senso che rispondono a puri interessi di bande, di clan, siano essi partiti, comitati d’affari, lobbies o vere e proprie cosche,

Da noi ciascuno si chiama fuori dallo sfascio, si deresponsabilizza. E’ la sfiducia assoluta che i comportamenti personali, le responsabilità di ciascuno, possano produrre qualche effetto: il cambiamento è ritenuto possibile solo dall’alto, e da parte di non precisati altri.

Ma c’è una pericolosa sovrapposizione che si tenta di far passare: la difesa dell’identità nazionale viene confusa con la difesa dello status quo, di un regime, di un assetto partitocratrico, di un sistema di potere.

In realtà le due cose non coincidono, ma la crescita dell’una è stata la causa principale del declino dell’altra.

Ripensare l’Italia non può dunque avere il senso di conservare quest’Italia: si riuscirà anzi a ripensare sul serio l’Italia solo quando si riuscirà a coniugare questo pensiero e questa concreta, vivente integrazione nel proprio Paese con l’ineludibile rigetto di “quest’Italia che non ci piace”.

Ma oggi si tratta in realtà di ripensare l’Italia che non c’è, l’Italia che non appare. Ma che esiste non solo nella memoria, ma anche nel paesaggio, nella cultura, nella lingua, nella vita di ciascuno.









Siamo Italici ancor prima di essere Italiani;

L'Italia e' una Repubblica, la sovranità' appartiene al popolo;

Il Presidente della Repubblica e' eletto direttamente dal popolo. Rimane in carica per cinque anni. 
E' capo del Governo ha potere di nomina e revoca dei ministri. E' capo delle Forze Armate e responsabile della politica estera;

La camera legislativa della Nazione e' il Senato della Repubblica, e' composto da 321 membri, dura in carica 5 anni;

La Banca d'Italia appartiene alla nazione la funzione di presidente pro tempore è svolta dal ministro dell'economia;

Sono quattro le festività nazionali della Repubblica: il 17 marzo nascita della Nazione; il 4 novembre Festa dell'Unita' Nazionale; il 2 giugno nascita della Repubblica; il 21 Aprile Natale di Roma; 

La Corte Costituzionale ha una funzione meramente consultiva;


Il processo (penale e civile) ha due gradi di giudizio. La carriera dei giudici e' separata;

Lo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano può fare istanza per richiedere la cittadinanza italiana;

Reddito di cittadinanza alle famiglie


Sospendere l' habeas corpus per i reati connessi alla criminalità organizzata


Abolizione delle regioni


Per appropriazione indebita di soldi pubblici deve essere prevista la detenzione in carcere; la pena deve essere commisurata all'entità del furto commesso fino a prevedere il carcere a vita.