Visualizzazione post con etichetta Elia Rossi Passavanti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Elia Rossi Passavanti. Mostra tutti i post

Terni onora i 20 operai caduti per la costruzione della Centrale di Galleto

Il primo Podestà Elia Rossi Passavanti 

Sulla sommità del monte S. Angelo, prima dell’abitato di Marmore, si trovano i resti della Rocca costruita per difendere il piano delle Marmore ed il controllo della Cascata, oggetto di guerre centenarie tra Rieti e Terni.
Il 7 marzo del 1927 2.000 operai con il Podestà Elia Rossi Passavanti ed il Vescovo Mons. Boccoleri, insieme a numerose altre autorità ed associazioni, si recarono in cima alla Rocca che era stata trasformata in Cappella Votiva dalla Società Generale Costruzioni di Roma, azienda che aveva realizzato i lavori per il canale della Centrale di Galleto, entrata in funzione nel 1929.
Sulla cima della torre era stata collocata una croce in ferro ed una grande lampada, simile ad una fiamma e lungo le pareti furono 20 lapidi con i nominativi degli operai morti durante l’esecuzione dei lavori per il cantiere dell’impianto idroelettrico, insieme ai nomi dei caduti in guerra di Marmore.
I versi del Passavanti incisi sulla lapide commemorativa:



EROI DELLA GUERRA – EROI DELLA PACE
INVITTI FANTI DELLA TRINCEA

E ARTEFICI PODEROSI CHE A COSTRUZIONI CICLOPICHE
COSTRINSERO LE FORZE IMMANI DELLA NATURA
PER LA VITA CHE GETTARONO
A RENDERE PIU’ GRANDE LA PATRIA
LA RIVERENZA E IL RICORDO DELLE FUTURE GENERAZIONI

Rocca di San Michele Arcangelo Marmore
Monte San Michele Arcangelo Marmore panorama

Rocca di San Michele Arcangelo Marmore
Rocca di San Michele Arcangelo Marmore
Rocca di San Michele Arcangelo Marmore

Divina Patria

Terni: "Il denaro pubblico sarà trattato come sacro al bene del popolo"







"Il danaro pubblico sarà trattato come sacro al bene del popolo".
Elia Rossi Passavanti


Il Giornale d’Italia, 31 marzo 1924

Terni: “Un corteo di oltre ventimila persone con trenta musiche e centinaia di bandiere ha percorso le vie della città, tra l’entusiasmo delirante della folla che faceva ala al suo passaggio. Dalle finestre sono stati gettati a piene mani fasci di fiori sull’eroico combattente che G. D’Annunzio predilige tra i suoi più nobili e più puri legionari.”. In piazza Vittorio Emanuele, l’attuale piazza della Repubblica, “davanti a una folla immensa”, Elia Rossi Passavanti pronuncia “un’orazione semplicemente meravigliosa, strappando le lacrime di commozione ed ovazioni frequenti, interminabili…”. “Da questa città – risuonante di opere audaci – forgiatrice di ogni tempra, generatrice fulminea, balenante di energie vitali e mortali, e da un croscio profondo di una fusione magnanima, deve uscire l’Italia della pace e del lavoro. Uomini usi a tutto osare, conoscitori del dolore e degli stenti, della debolezza e della forza, delle potenze note e ignote, d’angoscia in angoscia, di errore in errore, di timore in timore, di presagio in presagio, di preghiera in preghiera, ci siamo sollevati alla santità di questo ternano mattino. Accendiamo, accendiamo l’immensa fornace o popolo mio, o fratelli, e che accesa resti per trenta secoli e che il fuoco fatichi, sino a che tutto il metallo si strugga, sino a che la colata sia pronta, sino a che l’urto del ferro apra il varco al sangue rovente della rinascita e della salvazione…”.


Elia Rossi Passavanti fu eletto alla Camera dei Deputati con grande suffragio, giurò il 24 maggio, aveva 28 anni.






                                                  "Inno del sole"
                                      Pietro Mascagni  su libretti  di Luigi Illica

A Tripoli i Turchi non regnano più Su il nostro vessillo issate lassù







 di Elia Rossi Passavanti


La Libia e La Tripolitania, erano rispettivamente la novantunesima e novantaduesima provincia d’Italia, riconosciute province d’Italia da tutti gli stati dell’Universo. E non colonie.   I problemi originati dal passaggio di sovranità fra i due stati , furono sanciti con un accordo con il primo ministro libico Ben Halim ed il Presidente del consiglio dei ministri italiano Antonio Segni, il quale  aveva compreso dolorosamente  troppo tardi la situazione degli Italiani di Libia anno 1956.
Il trattato prevedeva:
Il trasferimento alla Libia di tutte le proprietà  statali e parastatali nel Paese , fatti salvi gli edifici per far funzionare i servizi diplomatici e le scuole italiane.
La cessione all’Italia di un area, dove avrebbe fatto costruire a spese proprie un nuovo ospedale a Tripoli.
Il Governo Libico s’impegnava a garantire agli’italiani , compreso le persone giuridiche, il libero e diretto esercizio dei loro diritti , escludendo nei loro confronti qualsiasi possibilità di contestazione , anche da parte dei singoli , per fatti dell’Amministrazione italiana intervenuti alla Costituzione della stato libico .
Il trattato stabilisce il proseguimento della colonizzazione contadina e il trasferimento di proprietà quando le opere previste fossero state completate.
 Inoltre si prevedevano quali fossero le modalità per il trasferimento in Italia dei capitali e dei beni mobili degli italiani rimpatriati.
L’Italia versò alla Libia un contributo di settecento cinquantamila lire libiche, pari a cinque miliardi di lire di allora.
Nel 1970 entra in scena , con un riuscito golpe militare il colonnello El Gheddafi, il quale  confiscò tutte le proprietà degli italiani e li espulse dalla Libia, disonorando i trattati internazionali firmati tra i due paesi. A fare un elenco della portata della rapina ai danni dei nostri connazionali è lo stesso Gheddafi in un discorso a Bengasi il 5 settembre dello stesso anno: 1.5000 case , 50 fabbriche, 300 opifici, 37.000 ettari di terreno, 120 miliardi di lire  congelati nelle banche italiane.
Ma facciamo un indispensabile conteggio per i richiesti danni di guerra.
Nella Libia nel 1911 dopo tanti anni di malgoverno Turco,  edilizia, trasporti, scuole, organizzazione sanitaria , industria erano pressoché inesistenti. E, l’agricoltura era limitata alle zone di facile coltivazione, nei pressi dei pozzi, condotta con mezzi assolutamente primitivi. Nelle regioni interne aveva un certo sviluppo la pastorizia , nelle città un modesto artigianato mentre il commercio  era generalmente appannaggio della comunità ebraica.
Durante la presenza italiana furono piantati 400.000 ulivi, 500.000 alberi di agrumi, 184.000 mandorli, un milione di viti, 52.000 alberi da frutta. Furono resi irrigui 5.096 ettari di terreno in aree desertiche o semidesertiche, che vennero messi a cultura. Furono costruiti 6.000 km di strade asfaltate , 4000 km di strade ferrate, . Vennero trasformate in città ricche di edifici e di ooere pubbliche , da borgate che erano, Bengasi, Misurata, Barce, Cirene, Derna, Tobruk, e di Tripoli si fece una prestigiosa capitale da tutti ammirata.
Secondo i dati del censimento turco pubblicati nel 1911 la popolazione del  Villajet di Tripoli  era di 375.566 abitanti quella del Mousseriffato di Bengasi di 198.345.
Quando abbiamo lasciato la Libia la popolazione sfiorava i 2 milioni. Alla fine del 1938 l’assistenza ambulatoriale e ospedaliera era in atto in tutti i centri di una certa importanza dell’immenso paese. A Tripoli era sorto il grande ospedale della Mescia, in quel tempo uno dei migliori dell’Africa.  



Regio Corpo Truppe Coloniali 



A Tripoli (1911 ) interpretazione di Claudio Villa 
per l' Antologia della canzone italiana

Margherita Incisa di Camerana donna ardita



Margherita Incisa di Camerana, l'unica donna a far parte di una compagnia di Arditi, con il grado di Tenente, era madrina della Compagnia D'Annunzio. A Fiume nacque l'amore tra il giovane tenente Elia Rossi Passavanti, eroe di guerra, e la crocerossina che aveva lasciato gli agi della corte dei Savoia per recarsi al fronte della prima guerra mondiale. Un amore che durò per la vita.

                                               Margherita nella Legione fiumana

 Fra gli Arditi della D' Annunzio c'e' una donna...che sopra una succinta gonna grigio-verde porta la giacca coi risvolti neri. Ha il grado di tenente; prende parte alle marce, alle esercitazioni; con una virile grazia quest'anima ben temprata si piega alle necessita' rudi del blocco, vigilando alla salute morale e alla disciplina delle sue truppe, perorando la causa loro presso il Comandante: costantemente la si vede a fianco di Rossi Passavan...ti: spunta il romanzo. Accadra' un giorno che il capo della Disperata sposi la marchesa Incisa di Camerana. Cosi Leo Kochnitzky descrive Margherita, una donna che precorse i tempi, oggi le donne nell'esercito sono protagoniste quanto gli uomini, ma allora la presenza di una donna in una compagine di Arditi provoco' la reazione di bigotti moralisti, tra questi Filippo Turati che, in una lettera alla sua compagna Anna Kuliscioff, parla di Margherita con disprezzo: " Il povero Nitti e' furibondo per le indegne cose di Fiume. Non solo proclamano la Repubblica di Fiume, ma preparano lo sbarco ad Ancona, due raids aviatori armati sopra l'Italia e altre delizie del genere. Fiume e' diventato un postribolo di malavita e prostitute piu' o meno high life. Mi parlo' di una marchesa Incisa, che vi sta vestita da ardita con tanto di pugnale. Purtroppo non puo' dire alla Camera queste cose, per l'onore d'Italia".
 
Il tenente Margherita Incisa di Camerana con gli arditi della "Disperata" a Fiume
con Gabriele D'Annunzio





Elia Rossi Passavanti e Margherita Incisa di Camerana con D'Annunzio a Fiume

La Disperata Compagnia D'Annunzio





Come nasce "La Compagnia della Guardia" detta "la Disperata". Il comandante, il ternano, allora tenente di cavalleria Elia Rossi Passavanti si trova nel video alla destra di D'Annunzio.
Il 12 settembre del 1919 i legionari di Ronchi entrano a Fiume tra la popolazione in festa, la Fiat 501 rossa di D'Annunzio  con su l'emblema della Santa Casa di Loreto, fu ricoperta da fiori. Il grido del 1917, Eia!Alalà! risuonò nella città Olocausta. Fin dai primi giorni della Santa Entrata, iniziarono ad accorre legionari. Tornarono i Granatieri di Sardegna. Arrivò la I° Divisione d' Assalto, le Fiamme nere cantavano alle ragazze "Apriteci le porte libereremo Fiume a costo della morte". Entrarono 1600 bersaglieri, le Fiamme cremisi. Vennero volontari di tutte le armi. Molti privi di documenti non erano stati accolti dal Comando, invece di andare via si erano accampati nei cantieri navali. Alcuni si tuffavano dalle navi, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano ebri e felici, questi soldati che tutti chiamavano "i disperati"  per la loro situazione di abbandono, si offersero al Comandante come una guardia personale, il quale accettò l'offerta. Al comando della "Disperata" venne chiamato frate Elia, così descritto dalle parole di DAnnunzio: "Il Tenente Elia Passavanti, il più prode ed il più buono dei legionari fiumani, un primissimo eroe tre volte mutilato, un italiano di antica gentilezza, esempio continuo di sacrificio e di costanza". Fu adottato il motto "me ne frego", dal dialetto romanesco, un motto crudo, come lo definì il Poeta, ma a Fiume disse: "la mia gente non ha paura di nulla, nemmeno delle parole". Gran parte del giorno questi soldati facevano esercizio di nuoto e voga, cantavano e marciavano, non avevano obbligo di rimanere in caserma, alla sera per loro divertimento se ne andavano in un luogo chiamato La Torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano. Così scriveva Mario Carli: "Questa Disperata fu la falange eletta dei legionari, la guardia del corpo del Comandante, manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell'adorazione e nell'impeto, fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come «soldati della morte», lieti e canori come atleti in gara continua". Quanto fosse orgoglioso dei disperati D'Annunzio lo proclamerà anche in un volantino ai Dalmati: "Ho in mente una vecchia canzone repubblicana di non so più qual linguaggio, una rude canzone di rivoltosi misurata da questo ritornello: Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo. Non cè qui una disperazione inerme. Cè una speranza con gli artigli e col rostro. Disperati si chiamano anche i miei Arditi, ma in un senso di prodigio: disperati, ovvero certi di giungere in ogni modo alla meta che io indicherò domani ma che essi già guatano impazienti e obbedienti. Finché ce ne sieno tre in piedi, ci può essere una vergogna di meno laggiù". Intanto gli uscocchi mettono a segno un altro colpo: viene catturato il Trapani. "DAnnunzio e i suoi legionari sono dei manigoldi", dichiara il generale Nigra. Così il 26 gennaio La Disperata rapisce Nigra e lo mette a  confronto con il diretto interessato. Questo il racconto: Il signor Generale Nigra, dal giorno in cui ebbe l'onore di assumere il comando della 45.a Divisione, non cessò di dimostrare al Comandante di Fiume, alle truppe fiumane, alla Causa nazionale la più cruda inimicizia. Alle denigrazioni, alle vessazioni, ai soprusi dogni genere volle aggiungere quotidianamente le più basse ingiurie. Ma a proposito del Comandante, l'ultima contumelia fu espressa in questi termini: Chi sceglie a sua guardia d'onore manigoldi non può essere se non il più gran manigoldo. Per rispondere a questa brevità cesarea, nella notte del 27 gennaio, presi gli ordini del Comandante, i manigoldi della Guardia, con una speditezza ed una eleganza incomparabili, hanno compiuto la cattura del nemico. Il Generale Nigra, prigioniero, si è affrettato a dichiarare la sua venerazione verso il Comandante, il suo sviscerato amore per la Causa di Fiume, e la sua stima senza limiti per i Legionari. Egli ha perfino chiesto il nastrino dei colori fiumani per ornarsene! A quello spirito, festivo, comunitario, gratuito, Passavanti seppe essere  coerente nella sua vita. Quando si è salito il Calvario della trincea sette volte, con le carni a brandelli e l'anima rigenerata  e si è innalzato nel cielo di Fiume e d'Italia il grido della Vittoria, non si può ritornare indietro, soleva dire.
I tre Comandanti della Compagnia D'Annunzio furono nell'ordine: Tommaso Beltrami, Elia Rossi Passavanti e Ulisse Igliori. La camicia bianca, il fiocco e il cordone nero nella divisa della Compagnia D'Annunzio sono introdotti da Passavanti.

Elia Rossi Passavanti - Unicuique suum



Video: immagini girate presso la Casa Museo di Elia Rossi Passavanti in via Sant'Agape in Terni
29 ottobre 1917: .... sono circa le cinque del pomeriggio quando un gruppo di dragoni entra al galoppo in Pozzuolo del Friuli: si tratta del I plotone del 1° squadrone del "Genova " che precede in avanscoperta il grosso del reggimento. Lo comanda il sergente Elia Rossi Passavanti, un valoroso che porta sul petto i nastrini di due medaglie d'argento. Le strade sono deserte, le finestre chiuse, le porte sbarrate, perché già un nucleo motorizzato nemico tiene il paese sotto il tiro delle mitragliatrici. Ma Passavanti non vi dà peso; ha il compito di esplorare la strada che conduce a Udine e quindi, lasciato il comando dei suoi trenta dragoni a un caporale, si avvia tutto solo, al piccolo trotto sulla sua cavalla Vienna, mentre la pioggia continua a cadere fastidiosa e insistente. Non ha fatto molto cammino, quando, a una svolta, deve all'improvviso rallentare l'andatura e fermarsi: nella conca leggiera che il ciglio della strada contorna, gli è apparsa una marea di soldati con l'uniforme grigio azzurra, di cannoni, di autocarri, di cavalli.
Subito una raffica si abbatte sulla strada. La cavalla con una impennata e un alto nitrito forza la mano al cavaliere e si lancia ventre a terra verso Pozzuolo del Friuli. Ma appena fuori dal tiro rallenta, inciampa, tenta addirittura di fermarsi, ansimando. Passavanti non sa capacitarsi di un simile strano comportamento e, visti vani gli incitamenti, deve, per la prima volta con la sua Vienna, usare gli speroni e persino colpirla a piattonate con la sciabola se vuole farle riprendere il trotto e rientrare a Pozzuolo.
Nel frattempo è arrivata in paese l'intera brigata, in piazza Julia il generale Emo Capodilista e i due colonnelli attendono il sergente esploratore che, senza scendere da cavallo, fa il suo rapido rapporto. Partono immediati gli ordini.
Soltanto allora la povera Vienna stramazza, trascinando nella caduta il cavaliere. Quando questi si rialza, può finalmente rendersi conto che la fedele compagna ha compiuto fino all'ultimo il suo dovere perché ha un orribile squarcio nel petto e il sangue che ne esce già dilaga in larga pozza sul selciato.
Le ore che seguono, della sera del 29, della notte, e della giornata del 30, sono quelle, ormai consegnate alla storia, della sanguinosa, gloriosa difesa di Pozzuolo del Friuli. Quello che fa Passavanti in quell'inferno è coerente col suo passato: sempre calmo, sempre lucidamente sereno, si batte sulle barricate, sorregge i suoi uomini con l'esempio, rincuora i feriti e i morenti; vedendo in pericolo il colonnello Bellotti, comandante del suo reggimento, gli fa scudo e riceve in sua vece la pallottola che poteva ucciderlo; poi, dopo una sommaria medicazione, torna a combattere.
Verso le 17,30, quando già più di metà dei nostri sono morti o feriti, il comandante giudica assolto il compito assegnato alla sua brigata ed ordina ai superstiti di rimontare a cavallo per tentare di forzare la cerchia nemica. Fra il fragore dei colpi e i lamenti dei feriti suona il buttasella.
Ha cessato intanto di piovere e un pallido sole illumina il tramonto. E' in questo preciso momento che per Passavanti succede il peggio. Una granata scoppia a pochi passi da lui; egli avverte come una tremenda mazzata, barcolla e perde i sensi. Quando, poco dopo, come risvegliandosi da un incubo, riprende conoscenza, un velo caldo di sangue gli cola sul viso dalle ferite che le schegge hanno aperto ancora una volta nella sua fronte. Ma non è solo il sangue ad annebbiarlo: proprio non ci vede più.
Lo prende il terrore di essere rimasto solo nel paese invaso dal nemico. Non è cosi, invece; sente avvicinarsi lo scalpitio di alcuni cavalli lasciati liberi; gli pare di riconoscerne uno dal nitrito e lo chiama: " Quò..., Quò... ". L'animale, docile, gli si ferma accanto e Passavanti riesce a issarsi in sella. Quò è un generoso maremmano del suo squadrone, un po' stravagante, ma che conosce bene il suo dovere, e raggiunge di slancio la coda dell'ultimo gruppo che sta tentando di aprirsi un varco verso Santa Maria di Sclaunicco. Lo formano il colonnello Bellotti, il porta stendardo e pochi altri dragoni bendati e insanguinati.
Davanti alla loro improvvisa apparizione, che irrompe al galoppo sullo stradone, i mitraglieri nemici tacciono, forse, sorpresi da tanta audacia, forse ammirati da tanto sfortunato valore. Il gruppo si perde lontano. Quò per un poco lo segue, poi se ne va per conto suo, perché il cavaliere non è in grado di guidarlo, ed è già un miracolo se riesce a tenersi in arcione con quella testa sempre più pesante.
Comincia così l'epica cavalcata di Passavanti lungo le strade e per i campi del Veneto, sotto il cielo autunnale gravido di pioggia, fra colonne di truppe in ritirata, fiumane di profughi che cercano di sfuggire all'invasione, cigolio di ruote, rombo di motori.
Quò ha percorso quei luoghi altre volte durante le manovre, e l'istinto lo guida. Il cavaliere, invece, va come in un sogno; ha il pallido viso rigato di sangue, l'uniforme inzuppata di pioggia e sporca di fango, l'elmetto gettato dietro le spalle. Nel delirio della febbre la sua mente ogni tanto si smarrisce nel nulla. Soltanto un'idea rimane netta nel subcosciente: quella che non deve a nessun costo cadere dalla sella, perché sarebbe la fine.

Quanto tempo trascorre cosi? A Passavanti sembra che ora sia notte, poi che sia tornata la luce. Per quattro giorni Quò va senza cercare mai cibo, né acqua. Pare non debba più fermarsi. E invece ecco che un mattino, intorno al cieco momentaneamente sopito, si levano voci note che lo chiamano per nome. Il valoroso Quò è riuscito ad arrivare a Treviso, nella sua caserma, e scalpita ora perché il cavaliere finalmente scenda, e lo lasci libero, povero cavallo schiantato dallo sforzo, di adagiarsi per terra e di morire.

(dalla rivista OGGI, anno XXI - Numero 21 - 27 maggio 1965).

La Fondazione Ternana Opera Educatrice



 

Il 30 giugno 1980 Elia  Rossi Passavanti, con atto a rogito del notaio Filippo Federici, costituiva in Terni la Fondazione T.O.E. "Ternana Opera Educatrice", con lo scopo di "animare, stimolare e premiare i giovani nati in Terni e nei Comuni compresi nell'attuale circoscrizione del Tribunale di Terni che maggiormente si fossero distinti nello studio in ogni campo dello "scibile", e per conferire premi "ai Lavoratori Anziani che abbiano dimostrato doti eminenti nella vita del lavoro".Per conseguire queste finalità,  Rossi Passavanti donava alla Fondazione tutto il suo patrimonio immobiliare, costituito da un palazzo gentilizio settecentesco con giardino e annessi, sito in Firenze, che successivamente veniva alienato e con il ricavato si costituiva il patrimonio mobiliare, le cui rendite erano destinate ad alimentare, come alimentano tuttora, le premiazioni che annualmente sono assegnate, per esplicità volontà del fondatore nella festività di San Valentino. Preliminarmente Passavanti aveva stabilito i criteri per la premiazione in collaborazione della maestra Tardioli e delle professoresse Lombardi e Bovelli. La Fondazione, nel cui consiglio di amministrazione sono presenti i rappresentanti di tutte le istituzioni cittadine, compresa l’Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra, cura annualmente l'assegnazione dei premi. ai giovani che hanno conseguito, nell'anno precedente, i diplomi di Laurea o i diplomi di Maturità con il massimo dei voti, nonchè i lavoratori anziani andati in quiescenza, già dipendenti dalle aziende industriali cittadine. La Fondazione cura altresì la custodia e la valorizzazione della Casa Museo di Elia Rossi Passavanti in via dell'Agape in Terni, attualmente in fase di restauro, dove si trovano importanti documenti, e cimeli di grande interesse storico culturale per approfondire non solo la conoscenza dell’uomo e della sua opera, ma la società italiana del 900. E’ buona cosa ricordare che la Fondazione T.O.E. nel 1999, non essendo possibile per gli attuali regolamenti,  come era negli auspici del fondatore, collocare il sepolcro alla base del Monumento ai Caduti, ha realizzato la costruzione del monumento funebre del Passavanti, affidandone la progettazione  ad Arnaldo Pomodoro, in un area del cimitero civico messa a disposizione dal Comune di Terni. Tra le altre attività della Fondazione T.O.E occorre segnalare le sinergie attivate con altre istituzioni che hanno portato alla realizzazione di pubblicazioni come “Elia Rossi Passavanti nell’Italia del Novecento”, volume collettaneo curato dal prof. Vincenzo Pirro o il volume “Elia Rossi Passavanti Dragone ed Eroe di Guerra”, raccolta di documenti e lettere selezionate a cura di Guido Pesce. Di grande interesse è stata anche la mostra “Elia Rossi Passavanti dragone ed eroe tra storia e leggenda” realizzata presso il Polo di  Mantenimento Armi Leggere dell’Esercito. Per la prima volta, in occasione del 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio, è stata organizzata l’esposizione del “Carteggio D’Annunzio-Passavanti “, l’iniziativa che ha suscitato un grande interesse,  si è svolta presso Palazzo Mazzancolli, ed è stata curata dall’Archivio di Stato. A breve sarà edito il Catalogo. “Il Consiglio di Amministrazione della T.O.E.  si occupa da oltre trenta anni - come spiega Mario Fornaci, presidente della Fondazione  - della gestione del patrimonio lasciato dal Passavanti nel rispetto delle sue volontà e dei suoi benemeriti propositi, al fine di ottenere la migliore rendita per assegnare ogni anno un adeguato numero di premi ai giovani e ai lavoratori a riposo”.
Il fondatore, come rilevato da Paolo Candelori, esprime con la costituzione della T.O.E. il desiderio di incoraggiare e stimolare i più meritevoli, propone dei modelli di vita di cui la società in ogni tempo ha bisogno. "Quisque faber fortuna suae"...la consapevolezza che soltanto con l'impegno personale si può aspirare ad un dignitoso inserimento nella società e divenire costruttori della stessa.

Uomini ed eroi sono come una freccia



Non mi dire quello che vedo perché tanto lo vedo
non mi dire come sei fatto perché ormai ti conosco
non promettere cio' che non vuoi perché io non ci casco
non mi dire che cerco i miei guai tanto io non lo nego
le tue parole sono carta straccia uomini ed eroi sono come una freccia
la forza di volontà è una questione di testa e di cuore di lacrime e di buon umore,
l'esempio che annienta le tue parole il pugno di Carnera sul mondo,
le Voloire sguainare tra i ghiacci sul Piave andata e ritorno,
del futurismo i colpi e gli slanci come un volo dannunziano,
cannoni dal ventre di acciaio sul tetto di questo mondo sventola il tricolore italiano!
è il ruggito della belva, l'assalto del leone
la schiena sempre dritta, grandezza, esempio e slancio
questo mondo non basta tutto il resto non conta
è il ruggito della belva, l'assalto del leone
 
la schiena sempre dritta, grandezza, esempio e slancio