"A noi ci hanno insegnato tutto gli americani.
Se non c'erano gli americani... a quest'ora noi eravamo europei...".
Giorgio Gaber
Diventa ciò che sei
Friedrich Nietzsche
di Marcello Veneziani
Due principi ormai si
fronteggiano sulla scena mondiale, venuto meno il comunismo: uno. prevalente, che pone il traguardo dell'umanità nel cosmopolitismo, nella città
planetaria. E il Progetto ethos
mondiale di cui parlava in un suo libro il teologo progressista Hans Kung e che trova sulla stessa linea,
a differenti livelli, un variegato
panorama: dai pacifisti umanitari, ai
cattolici democratici, dai liberal-progressisti ai socialdemocratici,
dai neo-comunisti fino ai liberal-capitalisti. Sullo sfondo non mancano naturalmente circoli finanziari e
massonici, multinazionali e grandi industrie protese verso la globalizzazione
del mercato. Il progetto è far seguire a questo mondialismo degli
affari, un mondialismo etico, che trovi fondamento nei diritti dell'uomo ed espressione nel sogno di un'umanità
liberata dalle frontiere terrene e ultraterrene. Pendant e sottofondo
necessario di questa visione
"ecumenica" è l'individualismo, ovvero la considerazione
dell'uomo come entità irriducibile ed autonoma rispetto ad ogni ambito; e dunque errante, facilmente spostabile, inappartenente.
Sviluppo altrettanto necessario è il progetto di un governo mondiale, una sorta di Super-ONU che affianchi il governo effettivo della finanza mondiale, dandole
un supporto organizzativo ed anche un supplemento etico di anima. Un governo mondiale umanitario, verde quanto basta,
pacifista fino ad un certo punto, inflessibile nel soffocare le zone difformi o
i modelli culturali che incrinano
questa pax annunciata.
Dall'altra
parte, emerge un principio antagonista: quello che si oppone al mondialismo attraverso la rivolta comunitaria. É un principio amico, originario, e insieme nuovo che
si esprime nelle società industrializzate del primo mondo, come nelle
società uscite dal comunismo del secondo
mondo, e infine nelle società ancora
non del tutto conquistate dallo sviluppo nel terzo mondo. II suo referente,
variamente indicato dalla difesa del territorio alle identità e specificità
etniche, culturali e religiose, dalla tutela dell'ambiente e delle città
in rovina al recupero del tessuto comunitario, fino ai fondamentalismi
nazional-religiosi, è sostanzialmente l'appartenenza e la difesa di una patria.
Patria intesa in senso lato, come luogo
originario, come luogo culturale o cultuale, ma anche sociale e lavorativo,
ambientale e linguistico, in cui ciascuno sì trova a casa. In
questa prospettiva ciascuno avverte di sentirsi culturalmente, naturalmente ed
elettivamente inserito in una serie di ambiti comunitari, dalla famiglia alla
città, alla comunità di lavoro, alla regione, alla nazione. E avverte questa appartenenza come un radicamento a
cui non può fare a meno, se non facendo a meno di se stesso. E dunque
difende la sua patria. Ma la difende non attaccando le patrie altrui, patrie
territoriali o ideali, e perfino ideologiche; ma al contrario, difendendo nella
propria patria la patria di ciascuno. Anzi, la garanzia dì vita della mia
patria è la garanzia di vita della patria di ciascuno, e viceversa.
Non sì tratta
dunque, come spesso ancora si fa nella nostra società frammentata ed
egoistica, di contrapporre ad un principio universale come il mondialismo, un principio particolare,
come la propria diversità. Sarebbe un
discorso debole, perdente, una pura fuga nel microcosmo e nel privato,
in definitiva omogenea e funzionale al mondialismo stesso, che ama accreditarsi
come un supermercato in cui è possibile
esporre ogni merce. Si tratta invece di passare a concepire la difesa
della propria diversità, della propria
identità, non come un fatto antagonistico a quello delle altre, né come un fatto a sé stante, che
mira a isolarsi da un contesto
generale. Ma come un principio anch'esso universale.
Ovvero, occorre
passare ad una specie di intemazionale delle patrie in cui le patrie si
coalizzano per difendere le proprie radici e la propria peculiarità dal comune avversario: il
mondialismo che omologa, annienta e trita le
diversità e concepisce solo individui nudi. Ricordiamo un appello rivolto dai movimenti nazional-religiosì russi:
" Patrioti di tutto il
mondo unitevi".
Un appello che coglie perfettamente l'unica
battaglia possibile per ostacolare la città mondiale senza volto, la poltiglia universale.
"Ognì persona che rispetti la cultura e la tradizione del proprio popolo è nostro fratello" dicono gli esponenti di
un movimento (peraltro inaccettabile
in molte sue valenze) come il Pamjat. E aggiungono: "In Occidente
esistono più di duemila popoli, ognuno con la sua cultura particolare, perche a noi, invece di questa ricchezza, viene data una pseudocithura di massa, un simile
intruglio di "metalli pesanti", di pornofilm, di kolossal
cinematografici e altre produzioni
cosmopolite, buone solo a danneggiare ciò che resta della nostra spiritualità? L'intenzione di trasformare i popoli in un'unica folla senza patria, facile da
pilotare..."
Si tratta di
superare i nazionalismi aggressivi del passato, i vecchi imperialismi
coloniali, o i "patrioti" di giacobina memoria. Facile obiezione è
far notare l'aggressività con cui si manifestano oggi i conati nazionalistici. Non si può dimenticare
che alcuni patriottismi degenerano in
violenze o si manifestano con punte di intolleranza, perché a loro volta hanno
subito violenze. Non è stato loro concesso il diritto di manifestarsi,
sono state calpestate le loro sovranità
nazionali e popolari, sono stati negati, spesso a suon di carri armati, i loro
diritti di popolo. Si tratta allora di un'intolleranza di ritorno.
L'aggressività non nasce dall'istanza
patriottica ma dal fatto che è stata repressa. E quando viene repressa
esplode assumendo a volte toni concitati e forme
incontrollate. Differente è il nostro caso di paese occidentale, dove le patrie più che represse sono state depresse.
E da qui nascono, per virtù
omeopatica, semipatriottismi '"depressi" che talvolta, tramite alcune degenerazioni ecologiste
e localiste, finiscono con l'essere pure fughe nel particolare, con
l'alibi che lì vi è maggiore concretezza. E con l'esito di non incrinare gli assetti del sistema ma di assecondarti. A volte
vengono forniti anche surrogati di patriottismo. É il caso ad esempio
del "patriottismo della costituzione" di cui parta un intellettuale tedesco progressista (ma conservatore, anzi
retrivo, rispetto alla storia tedesca che cammina e travolge i muri), Jurgen
Habermas. E un patriottismo che
alberga anche da noi, e che vorrebbe trasferire il sentimento
collettivo di appartenenza nell'astratto e cartaceo
riconoscimento di una Costituzione liberale e democratica. Bisecolare
vizio illuministico di far nascere le cose con decreto legge della Ragione, dalla carta; senza trarle dalla storia, dalla
vita concreta e dall'anima dei popoli.
I due principi
antagonistici, serbano naturalmente nello spazio
che tra loro intercorre, una varietà di posizioni che impedisce una
valutazione manichea. C'è perfino un punto di contatto: è rappresentato
dall'europeismo. Nell'Europa si incrociano cosmopolitismi e patriottismi. Ma la
direzione verso cui marciano è opposta: il mondialismo vede
l'Europa come un passo per liberarsi dai nazionalismi e per
marciare verso la compiuta globalizzazione del sistema: i patriottismi vedono al contrario nell'Europa la macroappartenenza ad una Patria-civiltà e la grande nascita di un soggetto forte che
tuteli le specificità dal Progetto di un mondo uniforme e
unipolare.
La battaglia dei prossimi anni è dunque questa (Furio Colombo vede il futuro nell'alternativa tra"universalismo e tribalismo"; e l'impegno verso cui lavorare è
quello dt far comprendere ai vari comunitarismi la loro concordia discors,
la loro comune esigenza di coalizzarsi in nome del comune principio delle diversità da tutelale. Questo discorso può
largamente applicarsi, senza perdere la coerenza, anche in chiave politica e
sociale concreta. Rispetto all'onnivoro centrismo che tutto media,
neutralizza e digerisce; rispetto all'egemonia del capitale che mira a rendere inorganiche le differenze per
organizzare il mercato, le diversità politiche, sociali, sindacali e culturali, le "patrie" di ciascuno, devono coalizzarsi, cominciando a non
concepirsi in antagonismo,
superando i confini topografici di destra e di sinistra, di tradizionalismo e
di progressismo. Non è il caso di sprecare le proprie energie per
insultarsi fra dirimpettai di marciapiede quando il rullo compressore minaccia
di spianare tutta la strada.
L' America Giorgio Gaber