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Russia ”Cafè Prezident”: patriottismo e "Barak Obama toilette paper".



In Russia ha aperto un ristorante più che patriottico, si chiama ”Cafè Prezident”: alle pareti ha ritratti di Vladimir Putin, piatti coi colori della bandiera nazionale e il volto di Barack Obama sulla carta igienica nelle toilette. Il locale si trova a Krasnoyarsk, Siberia centrale, e gioca molto sul confronto tra la Russia e l’Occidente americanizzato.
Per esempio sulla porta del bagno c’è scritto ”Blocco Nato”, mentre i clienti del cafè possono disegnare e fare caricature sui ritratti di alcuni leader ritenuti anti-russi come l’ucraino Petro Poroshneko, la Cancelliera Angela Merkel o la ex premier ucraina Yulia Timoshenko. Uno dei titolari del locale, Svetlana Lautman, ha raccontato al giornale Komsomolskaya Pravda di aver studiato negli Usa per tre anni, ma di essere voluta tornare in patria nonostante molti de suoi amici non capissero la sua scelta.
«Ci sono persone che ora criticano Putin - ha spiegato al giornale - ma vorrei dire loro: Viviamo in un tempo in cui il paese è in ristrutturazione e durante le ristrutturazioni non c’è ordine ma questo prima o poi finirà». A mezzanotte, tutti i giorni, al cafè Prezident risuona l’inno nazionale.

Si è ristretto l'Occidente

Se gli Italiani continuano a ragionare come Oriana Fallaci, il Foglio di Ferrara, Libero, Repubblica, Fuffngton post, Corriere americano degli Elkan, Salvini e compagnia, gli italiani continueranno ancora a non capire mai quello che gli succede intorno, e non saranno quindi in grado di produrre soluzioni adeguate.Occorre che gli venga insegnata della geopolitica. L'attuale fenomeno che stiamo vivendo è quello del crollo dell'occidente, inteso come sistema che tende ad implementare i popoli delle due coste dell'atlantico.Tecnicamente Stati Uniti, quella parte di Europa che aderisce alla UE ed il mondo anglofono. Dopo il crollo per bancarotta economica del suo sistema antagonista, con il crollo dell'Unione Sovietica, era inevitabile che il sistema occidentale sarebbe entrato, dopo un ragionevole tempo storico in crisi. Simbolicamente pensiamo alla caduta dell' arcata di un arco, tutta la struttura diventa inutile. L'occidente americanizzato, non conviene più agli europei, L'Europa è divenuta inevitabilmente terra di confine dell'impero, dove si riversano tutti i conflitti provocati dall'idea americana di esportare il loro modello socio culturale ed economico. Tutto il confine centro-orientale è stato pesantemente armato, è stata provocato un golpe in Ucraina, che ha portato la guerra civile al centro dell'Europa, tutto il confine meridionale è stato destabilizzato, il mediterraneo è diventato una polveriera. La volontà dell'amministrazione Obama di destituire il legittimo presidente della Siria, ha favorito la creazione di organizzazioni come lo Stato Islamico, fondato sun di uno Islam Wahabbita, che ha radici nell'Arabia Saudita nel Qatar, negli Emirati Arabi Uniti. La guerra in Siria e la cancellazione di qualsiasi entità statuale in Libia, sono state le cause di una incredibile ondata migratoria che si è riversata in Europa, in parte favorita da quelle stessse agenzie che avevano incendiato l'Ucraina. Le sanzioni economiche imposte di là dell' Atlantico nei confronti della Federazione Russa penalizzano tutte le economie europee, quando invece l'Europa, di fronte ad una Russia che ha smesso di "esportare comunismo", per motivi naturali, dovrebbe essere portata ad una collaborazione reciproca sui temi economici, culturali, di sicurezza. Un'altro esempio di sanzioni economiche adottate su ordine transatlantico sono state quelle all' IRAN, particolarmente l'Italia che era il primo patner commerciale dell'IRAN, dove inviava tecnici e personale qualificato per costruire dighe, acquedotti, sistemi d'irrigazione, impianti elettrici, impianti estrattivi, ha pagato queste scelte. E' evidente a molti, che le politiche dell'occidente americanizzato stanno diventando sempre più incompatibili per l'europa, perchè gli riversano contro innumerevoli disastri. Il crollo dell'occidente americanizzato provoca un meccanismo di frattura profonda nella sua organizzazione sociale, la linea di faglia investirà precisamente il modello sociale e politico, perno del vecchio sistema. Ad esempio la fine di quei sistemi politici su cui si è basato iil basato sul modello americano, bipartitismo, e sui partiti che lo hanno rappresentato. L'islam è un mondo variegato sia dal punto di vista teologico che etnico. Gli Iraniani non sono Arabi, sono indoeuropei, come noi. In Iran si elegge un presidente della Repubblica ed un parlamento, dentro il parlamento hanno una rappresentanza garantita dalla costituzione le minoranze religiose ed etniche. La vicepresidente della Repubblica è una donna. Le donne in Iran non solo votano, lavorano, studiano all'università, guidano la macchina, ma sono la maggior parte dei medici della nazione, fanno gli avvocati, fanno le giudici nei tribunali e giudicano gli uomini, come il premio nobel per la Pace Shirin Ebadi. Quando gruppi di fanatici hanno compiuto reati nei confronti delle donne perchè non conformi ad una loro presunta sharia, la polizia e la giustizia iraniana li ha trattati come terroristi. Si guardi invece Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Riuniti. La verità che l'Islam Wahabbita non tollera nessuna minoranza religiosa sia essa Sciita, oppure Cristiana. Mentre noi vediamo i soldati islamici siiti di Hezbollah prendersi cura delle Chiese e della immagini sacre, una intera brigata di combattenti di Hezbollah è costituita da cristiani. Allo stesso modo si comportano i soldati di religione cristiana delle Esercito Siriano. Lo Stato d' Israele, come l'Islam è una realtà complessa e articolata. Purtroppo sono venuti a mancare due personaggi chiave per il futuro d'Israele, il primo Isaac Rabin, ucciso da un estremista di destra, e a causa di una malattia l'Ariel Sharon che aveva pensato Kadima. Entrambi combattenti, al contrario di Bibi Netanyahu, avevano capito che la ricetta della guerra perenne era guasta, ed avevano entrambi le qualità morali e l'autorità per poter incamminarsi in un processo di pace simile a quello tra Inglesi ed Irlandesi, basato sulla logica del riconoscimento. Israele deve ritirarsi entro i confini riconosciuti dal diritto internazionale liberando le terre che  che illegalmente occupa, Sharon applicando le risoluzioni dell'ONU, fece sgomberare, anche con la forza interi insediamenti. Netanyahu favorisce gli insediamenti. Concludendo dire gli Islamici è sbagliato, poichè non è vero che esiste un Islam moderato, è vero che esistono nell'Islam delle sensibilità diverse, inoltre un'altro fenomeno generato dal crollo dell'occidente è la regionalizzazione, gli stati tendono a recuperare e rafforzare la loro influenza regionale, è il Caso della Turchia la cui politica regionale, non è più compatibile e lo sarà sempre meno nel futuro, con la politica occidentale. In sostanza il mondo uscito dal crollo del sistema dell'equilibrio tra le due super potenze Usa e Urss, pensato dagli americani come "universo", si sta trasformando in "pluriverso", ed è in questo contesto che l'Europa riuscirà a trovare una identità propria e curare i suoi interessi pacifici.

Sentinelle d'Italia riprendete il vostro posto

 
Sien mute le lingue, sien pronte le braccia;
Soltanto al nemico volgiamo la faccia,
E tosto oltre i monti n’andrà lo straniero
Se tutta un pensiero — l’Italia sarà.
     Non basta il trionfo di barbare spoglie;
Si chiudan ai ladri d’Italia le soglie;
Le genti d’Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola — le cento città.
          Va fuora d’Italia, va fuora ch’è l’ora,
          Va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!






                                                
 Inno di Garibaldi

Arturo Toscanini conducts the NBC Symphony Orchestra in the Garibaldi Hymn. Walter Toscanini, the Maestro's son, is heard in the introduction. From the NBC broadcast of September 9, 1943.


Servi dell' impero







 di Marco Tarchi

Dieci anni fa, di questi tempi, le parole d'ordine imposte dalla giaculatoria massmediale alla opinione del pubblico erano due. Dopo l'11 settembre, si diceva, il mondo non sarebbe stato «mai più come prima»: l'Occidente era stato ferito al cuore e avrebbe dovuto, di lì in poi, fronteggiare la tentacolare minaccia di un estremismo islamico che rischiava di metterlo in ginocchio. E per questo - ecco il secondo slogan - era venuto il momento del «siamo tutti americani», ovvero della solidarietà incondizionata con Washington, riassurta, a solo dodici anni dal crollo del muro di Berlino, al ruolo di baluardo del Mondo Libero contro l'Asse del Male, gli Stati canaglia e i loro sgherri, votati all'odio perché invidiosi del livello di vita e di ricchezza raggiunto dagli Usa e dai loro più fedeli alleati. Un'invidia che, non si mancava di aggiungere, si nascondeva dietro le invettive contro l'empietà e l'arroganza dei nemici dell'islam. Fummo tra i pochi, allora e dopo, che cercarono di opporre al frastuono della propaganda la voce critica della ragione, proponendo argomenti invece di proclami. Dicemmo chiaramente - chi vuole, può sincerarsene leggendo due libri (entrambi editi da Laterza) come il nostro Contro l'americanismo e La paura e l'arroganza curato da Franco Cardini - che, nei suoi tratti essenziali, la dinamica politica, economica e culturale del mondo non sarebbe stata modificata dall'attacco aereo alle Torri gemelle: la scalata all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, in atto ormai da un abbondante decennio, ne avrebbe semmai tratto un ulteriore impulso; l'Europa avrebbe accentuato la già marcata sudditanza ai voleri d'oltre Atlantico, rinunciando a qualsiasi iniziativa indipendente; la tanto temuta propagazione di sentimenti antiamericani nell'ex Terzo mondo non ci sarebbe stata; il mondo islamico non avrebbe imboccato la via del radicalismo oltranzista. E, soprattutto, l'infiltrazione dell'american way of life, con il suo carico di precetti individualistici, materialistici e cosmopoliti, negli anfratti dell'immaginario collettivo delle popolazioni di ogni angolo del globo non solo non sarebbe rallentata ma avrebbe tratto nuova linfa dalla vittimizzazione degli States che gli attentati di New York e di Washington favorivano: rappresentare il paese della più potente, spietata e attiva macchina da guerra esistente nei panni del gigante buono e vulnerabile vigliaccamente colpito dai malvagi era un'arma formidabile per rafforzarne il mito e creare, sulla base della compassione, complicità verso le nuove imprese belliche che si annunciavano all'orizzonte.
A distanza di un decennio, è inevitabile constatare che avevamo azzeccato l'analisi. Sulle ali della retorica dell'11 settembre, che le attuali celebrazioni si incaricano di tenere ben viva con un intento politico celato, come di consueto, dietro il richiamo ai buoni e doverosi sentimenti, gli Usa hanno costruito un percorso lastricato di guerre, bombardamenti a tappeto, massacri di militari e civili dei paesi nemici, che soltanto in virtù degli accorgimenti tecnologici che consentono agli aggressori di distruggere dall'alto ogni bersaglio senza rischiare danni non hanno prodotto una contabilità di vittime equiparabile a quella dei maggiori conflitti del XX secolo. E nel loro sanguinoso itinerario verso il dominio, oltre a godere del plauso dell'apparato comunicativo dell'intera area di influenza occidentale, pronto a tacere, distorcere, negare, mentire a comando ogniqualvolta veniva ritenuto necessario, hanno potuto contare sull'efficace azione di una nutrita retroguardia economico-finanziaria, pronta a ricostruire ciò che era stato distrutto traendone e in parte distribuendo ai più servizievoli amici ampi profitti, e soprattutto sull'impegno di una fureria intellettuale, che nei paesi soggiogati a suon di bombe ha diffuso a piene mani, seguendo una tradizione consolidata, quei formidabili strumenti di condizionamento mentale che sono i gadgets della cultura di massa made in Usa.
La conquista dell'agognato ruolo di gendarme planetario è stata però, bisogna riconoscerlo, ostacolata dalla forte crescita economica di concorrenti inattesi, prime fra tutti Cina e India, e lo scenario unipolare disegnato dagli strateghi neoconservatori dell'amministrazione Bush si è rivelato sin qui impraticabile. L'esplosione della bolla economica interna del 2008 ha poi accentuato i problemi. Ma per assurgere a padroni del mondo, gli eredi dei Padri pellegrini ce l'hanno messa davvero tutta. E nella partita più importante, quella per il controllo delle mentalità collettive, il loro vantaggio è ancora straordinariamente consistente. Le aspettative che si sono create attorno alla cosiddetta "primavera araba", dalla quale ci si attende formalmente un'ondata di democratizzazione ma si esige sostanzialmente una robusta occidentalizzazione - dei costumi, dei consumi, delle leggi, degli stili di vita, delle credenze - ne sono una spia evidente. E non si può negare, come invece piace fare da sempre agli ambienti pervasi di un antiamericanismo pregiudiziale, rancoroso e sommario, mosso non dalla critica rigorosa di un modello di civiltà ma da un confuso mix di nostalgie ereditarie (di destra e/o di sinistra) e wishful thinking, che l'azione condotta dagli Usa e dai loro volenterosi complici sia stata, e sia, molto efficace. Tanto da rendersi pressoché impermeabile agli argomenti con cui coloro che non ne condividevano né le premesse né gli obiettivi hanno tentato di contrastarla.
I motivi di questo successo attengono sia all'ordine delle sue premesse teoriche sia a quello degli strumenti empirici incaricati di tradurle in realtà.
Sul primo di questi versanti, la carta vincente degli Usa è stata il ricorso sistematico e onnipervadente all'ideologia dei diritti dell'uomo, costruita ad immagine e somiglianza del loro modello di società e dei progetti di espansione imperiale connaturati al paese che aveva già partorito nel corso degli oltre due secoli di vita le dottrine del «destino manifesto» e del «cortile di casa» e che fin dalla nascita ha coltivato la convinzione di aver ricevuto da Dio il compito di adempiere ad una missione universale di conversione al Bene dei miscredenti, non esitando a ricorrere ai mezzi più crudeli per adempierla (gli ormai dimenticati nativi, ridotti dopo il genocidio a stereotipo per un genere cinematografico oggi non più di moda, ne sanno qualcosa). In nome e per conto dei dogmi contenuti in queste nuove Tavole della Legge, si è fatto strame del concetto di sovranità nazionale che per secoli aveva costituito un cardine del tentativo di imporre un diritto internazionale condiviso, si è negata la nozione di autodeterminazione dei popoli quando le scelte da questi compiute non andavano nella direzione auspicata, e soprattutto si è varata la mortifera formula della "guerra umanitaria" che ha derubricato le uccisioni di civili dei paesi aggrediti a "danni collaterali" riparabili a suon di scuse postume, ha legittimato l'uso di ordigni micidiali come i proiettili al fosforo e all'uranio impoverito. Insomma, si è celebrato il trionfo del principio per cui il fine giustifica i mezzi se ad utilizzare anche i più abietti fra questi sono i Buoni contro i Cattivi.
A far da velo a questa evidenza e a magnificare, per coprirla, la nobiltà del nuovo umanesimo sterminatore e devastatore ha provveduto un'armata intellettuale variegata, fatta perlopiù di convertiti dell'utopia comunista pronti a tutto pur di allinearsi al clima di opinione dominante e di goderne le rendite — si pensi a Bernard-Henri Lévy e André Glucksmann, esempi estremi di una specie molto diffusa e assai ben pagata dai giornali che ne pubblicano i periodici violenti sfoghi umorali —, mentre sui pochi critici (come l'Alain de Benoist di Oltre i diritti dell'uomo o il Danilo Zolo di Chi dice umanità) si è abbattuta la scure del silenzio, aggravata dallo stato semicomatoso in cui vegetano gli ambienti sedicenti nonconformisti, da tempo incapaci anche soltanto di leggere, far proprie e far circolare al di fuori delle rispettive nicchie le riflessioni attorno alle quali potrebbe essere costruita una linea di resistenza culturale all'omologazione sistemica.
L'imposizione di questa ideologia ipocrita e insidiosa, veicolata dalle migliaia di voci - dai conduttori di talk shows televisivi agli inviati sugli scenari bellici, dagli editorialisti dei quotidiani ai bloggers consenzienti, dai redattori radiofonici agli opinionisti, ai romanzieri, ai filosofi, sociologi e politologi accademici allineati allo spirito del tempo - di cui la odierna fabbrica del consenso dispone non sarebbe tuttavia stata sufficiente a raggiungere gli scopi che gli occidentalizzatori del mondo si proponevano se la declamazione teorica non fosse stata seguita dai fatti. Cioè dalle risoluzioni delle istituzioni internazionali, dagli embarghi, e poi dalle forniture di armi e denaro
a dissidenti e ribelli, dal lavorio dei servizi segreti, dalle incursioni aeree, dai bombardamenti, dalle invasioni di truppe. Delegittimazione del nemico e suo assoggettamento con la forza dovevano procedere di pari passo. E così è stato. Una volta dipinti i soggetti ostili come spietati tiranni e sfoderata la risorsa della demonizzazione dei "nuovi Hitler" - una galleria infinita, che dopo Milosevic, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, non ha risparmiato né Assad né Gheddafi, inevitabilmente rappresentati con balletti e ciuffetto ribelle malgrado le evidenti incongruenze fisiognomiche, e ha sfiorato i capi di Hezbollah e Hamas e perfino Mubarak (I) -, si è potuti passare alle maniere spicce.
Un ruolo fondamentale è stato svolto, in questo quadro, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui gli Usa e i loro vassalli da decenni deplorano e neutralizzano le ripetute pronunce di Assemblea, quando sono dirette a deplorare gli atti di violenza perpetrati da Israele, ma utilizzano le opportunità quando è il ristretto Consiglio di Sicurezza ad avallare, grazie a bilanciamenti di interessi, ricatti e compensi, le loro decisioni. Dall'indecorosa sceneggiata di Colin Powell all'epoca dell'invenzione delle inesistenti armi di distruzione di massa irachene ai contorsionismi dialettici adoperati per giustificare i diversi atti di aggressione, gonfiando o nascondendo a seconda dei casi e dei soggetti implicati stragi e repressioni, fino alla grottesca risoluzione che ha dato il via alle migliaia di bombardamenti contro gli obiettivi libici che hanno consentito di vincere la resistenza di Gheddafi e dei suoi, il catalogo delle genuflessioni dell'organo supremo dell'Onu ai voleri statunitensi è vastissimo, e ancora una volta basterebbe leggere quanto ha scritto in argomento uno studioso libero da tutele e condizionamenti come Danilo Zolo, in libri come Cosmopolis, I signori della pace e La giustizia dei vincitori per rendersene conto.
Se l'Onu ha costituito l'elemento fondamentale del circuito legittimante che ha all'altro capo l'ideologia dei diritti dell'uomo, e ha consentito di far apparire come repressioni di regimi tirannici contro popolazioni plebiscitariamente insorte quelle che erano in realtà guerre civili tra contrapposte minoranze desiderose di conquistare o mantenere il potere con ogni mezzo, autorizzando forze estranee allo scenario dello scontro a scendere in campo militarmente a favore dell'una fazione contro l'altra, a fare da braccio armato all'interventismo umanitario (sul quale la lettura d'obbligo è quella degli studi di Alessandro Colombo: La lunga alleanza, La guerra ineguale e La disunità del mondo) è stata, come è noto, la Nato. All'organizzazione militare transatlantica spetta infatti il ruolo più pesante ed ambiguo nella trama dell'imperialismo statunitense tessuta nell'arco dell'ultimo ventennio, dall'Afghanistan al Kosovo alla Libia senza trascurare i molti scenari collaterali e minori, e la trasfigurazione dei suoi obiettivi originari - in realtà, un vero e proprio tradimento degli intenti proclamati alla sua nascita — è la prova più eclatante dell'inconsistenza politica dell'Europa, che per suo tramite si è soggiogata completamente ai disegni e agli interessi dell'alleato-padrone d'oltreoceano, rinunciando anche solo ad un motivato diritto a dissentire dalle sue iniziative. Il bombardamento di Belgrado ha reso trasparenti gli intenti che i promotori dell"'adeguamento strategico" dell'Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (la cui ragion d'essere si era estinta con lo scioglimento del Patto di Varsavia) si prefiggevano: riaffermare ed ampliare il dominio sul Vecchio Continente, legarlo completamente a sé con le buone o con le cattive (il soft e l'hard power) e poi trascinarlo, facendogli pagare costi salati, nelle proprie avventure bellico-umanitarie. La spedizione libica, che si è tradotta in migliaia di bombardamenti giustificati sino all'ultimo, con suprema ipocrisia, dalla necessità di «proteggere la popolazione civile» che soltanto le loro micidiali incursioni contro gli obiettivi urbani potevano minacciare, ha dimostrato che, con l'andar del tempo, il potenziale bellico della struttura l'ha resa utilizzabile per scopi ancora più vasti, nel contesto di un piano di addomesticamento agli interessi occidentali in genere — e a quelli di alcuni paesi dell'area più in particolare — dei residui paesi riottosi. Giunti a questo punto, non è azzardato immaginare che in futuro la Nato potrà servire sistematicamente da maschera di comodo degli Stati Uniti in ogni conflitto, potendo vantare quella parvenza internazionale, ormai a vocazione universalistica, che nell'ambito della strategia adottata dai governi di Washington è una carta cruciale da giocare.
Lultimo tassello di questo mosaico, a suo modo non meno efficace degli altri, è il meccanismo dei Tribunali internazionali, primo fra tutti quello de L'Aia, che consente di ricorrere ad un altro strumento di condizionamento psicologico dell'opinione pubblica mondiale, l'accusa di crimini contro l'umanità, sostituto ben più impressionante della precedente nozione di crimini di guerra. Celando il sempiterno Vae victis sotto le prescrizioni di una legislazione ad hoc, voluta, amministrata ed interpretata ad hoc dai vincitori, questo presunto sistema di giustizia si è finora distinto per il rifiuto di assoggettare a procedimenti giudiziari i responsabili di notori atti di violenza perpetrati dalla "parte giusta" e per il clamore mediatico offerto ai processi o ai mandati d'arresto che hanno avuto per. oggetto alcune "bestie nere" degli Usa, da Milosevic a Karadzic e Mladic, da Bashir a Gheddafi (con il supporto di qualche capro espiatorio croato o bosniaco, utile per un'equanimità puramente di facciata e comunque additabile come esempio delle colpe del-l'esecrato nazionalismo altrui). Appare sempre più chiaro che la sua funzione, nell'ottica degli ispiratori, non consiste nel cercare le prove delle colpe degli indagati, ma nel dissuadere esemplarmente chiunque osi contrastare i principi santificati dall'ideologia dei diritti umani e, soprattutto, ostacolare l'omologazione del pianeta alla volontà e ai valori di chi si refigge di controllarlo integralmente. Pur con qualche intoppo, e con una rilevanza massmediale variabile a seconda dei casi, il meccanismo ha svolto il compito che gli era stato assegnato.
Il combinato di questi fattori ha prodotto nell'ultimo decennio, pur con modalità diverse e non sempre riuscendo a controllare sino in fondo gli esiti delle mosse compiute, un notevole impulso del processo di occidentalizzazione del mondo pilotato dagli Stati Uniti d'America. I vaticini sull'imminente implosione degli States che si ripetono periodicamente ad ogni accenno di crisi economica, e hanno trovato rinnovato vigore dall'autunno 2008 in poi, hanno nascosto agli occhi di molti osservatori pur non prevenuti questo dato di fatto, ma la sua sostanza resta, ed occorre capire, come il dossier di «Eléments» che pubblichiamo in questo numero si propone, se i recenti sconvolgimenti del mondo arabo siano o no un altro decisivo passo avanti in tale direzione. Ce lo dirà, comunque, il prossimo futuro.
Quel che è certo è che il progetto imperiale coltivato a Washington ai tempi di George W. Bush non si è estinto con la pur più riluttante e incerta presidenza Obama. E che ha trovato, oltre ai molti entusiasti corifei, un numero crescente di servitori volontari, talvolta inconsapevoli, i quali, abbracciando la dottrina che ne è alla base, predispongono il terreno per nuovi gravi conflitti a venire (in Siria? In Iran? In Libano? Nell'Asia orientale?) proprio mentre vanno celebrando l'epopea di una presunta età di. Pace perpetua, di Giustizia e di Libertà. Come ha scritto Alessandro Colombo, uno studioso attento delle relazioni internazionali che, oltre a conoscerle, sa interpretare ed applicare all'attualità le analisi schmittiane, nel suo recente La disunità del mondo (Feltrinelli), dopo il 1989 «l'eccezionale coerenza del mondo bipolare ha lasciato il posto a un sistema internazionale nel quale le diverse aree regionali continuano a essere in contatto tra loro grazie alla globalizzazione dell'economia e dell'informazione, ma nel quale ogni regione tende sempre più ad abbracciare protagonisti, interessi, conflitti e linguaggi diversi. Tale scomposizione è un potentissimo fattore di instabilità: accentua le differenze istituzionali e culturali tra le diverse regioni, aumenta il peso delle gerarchie di prestigio e potere al loro interno e, in questo modo, apre la strada a nuove diffidenze e competizioni sulla sicurezza. Ma, soprattutto, tale scomposizione rende sempre più inadeguate le risposte di portata globale, anzi rischia di trasformarle da fattori di ordine in fattori di disordine internazionale».
Questo è il lascito velenoso che la predicazione universalistica dell'ideologia liberale reca dentro di sé e che il progetto di dominio planetario statunitense sta liberando. Sarebbe davvero tempo di accorgersene e di reagire. Questa sì, ben più di altre, è una ragione profonda per indignarsi dello stato di cose che siamo costretti a sopportare.
(editoriale di Diorama Letterario, n. 305)

C’è ancora bisogno di Patrioti che non abbandoneranno questo Paese a chi non l’amerà mai





L’Italia fu fatta anche sull’Adamello e sul Carso e questo è bene ricordarlo, e onore a chi si sacrificò per farla; ma oggi l’Italia non si fa sull’Adamello e sul Carso, non si fa contro i tirolesi e gli austriacanti, e non si fa soprattutto con la retorica. Perché l’irredentismo annunciato al fronte non è retorica, ma l’irredentismo annunciato al mercato lo è senz’altro.
Proveniamo da decenni di dipendenze culturali e non solo culturali: l’asservimento ai due grandi modelli culturali dominanti, Stati Uniti e Unione Sovietica, ha dominato per decenni gran parte della nostra popolazione e dei suoi soggetti civili, politici e sociali, a cui si aggiungevano come supplemento di esotismo Castro, Che Guevara, Ho Chi Min e Mao, fino ai pellerossa e ai kamikaze. Non sono poi mancate minoranze più o meno illuminate: la passione anglosassone di una certa cultura elitaria di estrazione laica, la tentazione svizzera ancora serpeggiante al nord. Oggi sotto la pressione dei media ci scopriamo essere “occidentali ”. Spiega Marco Tarchi: “ L’uso martellante della parola “Occidente” da parte dei mezzi di informazione, che adoperandola vogliono instillare la sensazione di una comunanza originaria di interessi e valori fra le popolazioni e gli Stati collocati sulle due sponde dell’Oceano, e nel contempo sottolineare la loro diversità rispetto a quelli del resto del mondo”.  
Viviamo così ancora un Italia lottizzata, mentalmente serva dello straniero, l’Italia dei sette nani. Occorre un patriottismo che sappia guardare alla storia del nostro paese senza perdere l’equilibrio . Che sappia digerire il fascismo e l’antifascismo, dopo averli tenuti così a lungo sullo stomaco. Che sappia riscoprire le ragioni del Risorgimento ma senza demonizzare coloro che furono dall’altra parte a difendere una loro idea di patria, legata a una terra, una dinastia e una chiesa. Un patriottismo che non risparmi l’autocritica per carità di patria ma si sottragga all’auto denigrazione sport nazionale ad alto tassa d’improduttività. Occorre smettere di vedersi sempre attraverso le lenti delle varie guerre civili. In questo quadro occorre sviluppare una forte e libera ricerca storica e culturale che ci consenta di uscire dalla paralisi a somma zero dei veti incrociati delle varie “vulgate”. Un Patriottismo come destinazione e non solo come pura provenienza e come semplice naturalismo. Non manca solo uno Stato, o una classe politica di qualche dignità, ma frana sotto i nostri occhi l’intero paese. C’è un Italia profonda da tirar fuori.
“Noli foras ire, in interiore Italiane habitat veritas”. Non la verità assoluta, ma la nostra verità d’Italiani.
La storia d’Italia è stata finora concepita in chiave antagonista come una storia dimezzata ad uso celebrativo La storia d’Italia è stata finora intesa alla luce della coppia mitizzazione-rimozione: mitizzazione di alcuni avvenimenti, destoricizzati e imbalsamati e rimozione dell’identità nazionale e della sua continuità. Ne è uscita una storia costellata di fratture e reliquie senza vita. Un’Italia meno italiana, più anglosassone e “americana”. Un paese di trovatelli o di arteriosclerotici che non ricordano niente  Un paese che aspetta il futuro come la bella addormentata nel bosco. Anzi nel sottobosco. Lo Stato evoca sempre più in Italia il participio passato del verbo stare.  Ma è possibile fondare lo Stato solo in negativo chiamandolo in  servizio solo come freno d’emergenza? E’ possibile cioè esigere forza ed efficienza, superiorità rispetto alle parti in campo, da un “fantasma” a cui non si riconosce alcuna autorevolezza, alcuna fondatezza e alcuna prospettiva di futuro? L’idea che il mercato dia a ciascuno secondo i suoi meriti è falsa quanto l’idea che il socialismo dia a ciascuno secondo i suoi bisogni.. Nessun gruppo politico, nessun leader politico può oggi invocare a suo sostegno la coerenza ideale o la giustezza politica di un suo programma o di un suo comportamento.Vi è una pura logica aziendale, secondo cui la politica si misura dai profitti ricavati per l’azienda, e tanto peggio per gli interessi generali o nazionali. In occidente esistono più di duemila popoli, ognuno con la sua cultura particolare, perché a noi, invece di questa ricchezza vengono dati tutti gli intrugli e i miscugli della pseudocultura di massa. “occidentale”. Perché il nostro pane quotidiano deve essere zeppo di vermi? Masticatelo se vi piace. Le “patrie “ di ciascuno devono coalizzarsi, cominciando a non concepirsi in antagonismo, superando i confini topografici di destra e sinistra. Non è il caso di sprecare le proprie energie per insultarsi fra dirimpettai di marciapiede quando il rullo compressore minaccia di spianare tutto. I patriottismi vedono nell’Europa la macroappartenenza ad una Patria-civiltà  e  la nascita di un soggetto forte che tuteli le specificità dal progetto di un mondo uniforme e unipolare, tutto l’inverso dei tecnocrati di Bruxelles.
C’è ancora bisogno di Patrioti che non  abbandoneranno  questo paese a chi non l’amerà mai.



 Questo mondo non basta

Intellettuali patrioti delle patrie altrui








Non è la Patria il comodo giaciglio per la cura e la noia e la stanchezza;
ma nel suo petto, ma nel suo periglio chi ne voglia parlar deve crearla.
  
Carlo Michelstaedter


Nel contesto della questione italiana c'è anche la questione degli intellettuali, il loro ruolo di fronte alla nazione. Da tempo gli intellettuali hanno perso ogni ruolo orientativo nella società: taluni bamboleggiano e cirioleggiano, parlando d'altri; altri si affiliano all'industria culturale tentando di recuperare nei media una centralità vistosa ed apparente, perduta nella società, diventando indossatori culturali delle mode di stagione. Chi resta, cede al gusto o al disgusto dello sfascio e si nega ad ogni discorso ulteriore, ad ogni apertura al mondo, allo spirito pubblico, ad ogni integrazione collettiva. E' però necessario che ci si liberi anche in questo caso di quel complesso di autodenigrazione dell'intellettuale italiano. Esempi miserabili di opportunismo, camaleontismo o pura ignavia ce ne sono tanti. Ma non va dimenticato che non sono stati pochi gli intellettuali italiani che hanno pagato di persona il loro legame con la propria idea dl'Italia: lo hanno pagato a volte con entusiasmo, a volte anche con disincanto. Si pensi all'iterventismo culturale della prima guerra mondiale, ma anche a figure come Gobetti, Gramsci, e poi Gentile, Marinetti, Soffici; o alla generazione di Berto Ricci o quella di Gaime Pintor. Sono numerosi gli esempi di intellettuali che scontarono il proprio impegno pubblico sulla propria pelle, a volte a prezzo della propria vita. Abbiiamo anche una tradiizone di dignità che non è giusto dimenticare.per lasciare posto solo agli intellettuali da diporto, agli intellettualòi vanesi o a tassametro, con rimborso a piè di lista. Quelli che non scrivono nè si espongono se non per fatto personale.