L’Italia esiste solo come entità
fiscale. Tende a sparire come sistema-Italia, come servizi, per essere solo un
espressione tributaria, una cambiale collettiva, un esercizio implacabile di esattoria.
Non ci unisce più nulla ormai, al di fuori della Tassa. L’Italia, insomma si
avvia a diventare un paese irreale. Non surreale, come finora si è pensato e
forse sperato, confidando nelle nostre abituali risorse di fantasia di genio e
di sregolatezza . No irreale nel vero senso della parola.
L’Italia appare sempre più un
emanazione della tv, una costola della fiction televisiva. Una specie di realtà
virtuale nel senso dei giochi di simulazione. Anche il Partito architrave di
questa Italia irreale, è diventato irreale. Ha raggiunto una sua perversa
trasparenza che non è sinonimo di onestà e limpidezza, ma di vacuità. Dentro
non c’è niente. Se entri in un partito, è come se ti iscrivi al club di
Fantomas. La tessera equivale all’anello di Gige, che rende invisibile. Varcata
la soglia trovi il nulla, ti nominano cavaliere di gran croce, nel senso che
devi mettere una croce sulla scheda al momento delle elezioni.. Ma per il
resto? Un esercizio commerciale o poco più. L’impressione è che si stia combattendo
una sotterranea ma diffusa guerra di liberazione: la liberazione dall’Italia.
Cambia la prospettiva del dopo, per molti è l’Europa, per altri è il Villaggio
Globale, per taluni è il Villaggio e basta, o la regione, e per altri
semplicemente è il proprio condominio. Non vediamo in giro segnali di
gravidanza per una nuova entità politica e culturale, oltre che economica e
sociale: vediamo piuttosto l’agonia di un paese allo sfascio che celebra il suo
sfascio, lo inscena e lo rende perfino spettacolare. Intendiamoci di sensazioni
crepuscolari dell’Italia è piena la storia e la letteratura del nostro Paese.
Ma la sensazione era, fino a qualche tempo fa, che esistesse un collante, un
residuo e in fondo tenace luogo di identificazione, una risorsa persistente di
identità collettiva che sopravviveva a tutte le intemperie. Adesso no, quella
sensazione sembra venuta meno. Mentre parlavamo di riforme l’Italia se ne è
andata. E’ venuto meno il senso di appartenenza a una identità comune, ad una
nazione, un popolo o una patria, prima che uno Stato. Qualcosa d’impalpabile
eppure assai concreto, che si respira nell’aria, nelle cose, nel linguaggio,
nel paesaggio, nel vivere insieme, oltre che nella cultura e nella memoria.
Ad unirci resta quel che più di
ogni altra cosa contribuì a disperderci, la televisione. E’ l’unica casa comune che resta e ci consente di
parlare di cose comuni con un linguaggio comune. Ma l’Italia muore di
televisione.
Ci allontaniamo
contemporaneamente, e con la stessa sequenza logica, dalla parrocchia e dal
municipio.
Il peccato originale fu commesso
dai partiti che hanno dissolto la nazione con la parola e con l’esempio,
legittimando il pubblico disgusto e i privati affarissimi. Ma dobbiamo
riconoscere che il Pese non è meglio della sua classe dirigente.
Certo, la forbice tra dinamismo
della società e arretratezza della politica
si è allargata , la società civile si è sviluppata, mentre la società
politica è scesa nel sottosviluppo. Ma se il discorso si trasferisce sulla
qualità etica e civile, le due società tendono a combaciare. La piazza
riproduce in scala ridotta la grande corruzione e la grande inefficienza del
palazzo.
L’Italia soffre di cattiva
modernità, di una immissione nello sviluppo senza contrappesi forti in termini
di tradizioni e di carattere nazionale. Il male d’Italia è la tabula rasa che
si è fatta di ogni identità collettiva, il rigetto di ogni radicamento nel
proprio tessuto nazionale. : il puro orbitare in uno spazio vacante , in una
terra di nessuno, dove siamo cresciuti in grassezza ma non in altezza, in
latitudine ma non in profondità. E se il nostro problema non fosse di liberarci
dall’identità italiana ma di esprimerla
al meglio?Se il nostro difetto non fosse la nostra italianità ma il nostro
complesso di italianità che non ci consente di confrontarci con quel che siamo
e ci destina ad esser la controfigura, la degradazione, di quel che vorremmo
essere ? Un Paese non può disegnarsi sul
nulla, prescindendo dalla sua stessa realtà e dalla sua storia, ma deve tenere
in mente i suoi caratteri radicali. Perché se non lo fa, non diventa un altro
Paese, ma diventa la caricatura di se stesso. Su questa tabula rasa è nato un
capitalismo senza radicamento etico o nazionale: una partitocrazia senza
spirito pubblico e primato degli interessi generali, una democrazia senza
popolo, senza valori, senza dignità nazionale.
Abbiamo pure inventato il
peggiore tipo di individualismo, quello fondato sull’irresponsabilità di
ciascuno nel disinteresse di tutti.
Abbiamo consentito il dominio del privato, della sua logica e dei suoi
interessi, anche laddove sono in gioco interessi pubblici e questioni generali.
Mentre i settori pubblici che si vorrebbero privatizzare, non funzionano perché
in realtà sono già stati privatizzati , nel senso che rispondono a puri
interessi di bande, di clan, siano essi partiti, comitati d’affari, lobbies o
vere e proprie cosche,
Da noi ciascuno si chiama fuori
dallo sfascio, si deresponsabilizza. E’ la sfiducia assoluta che i
comportamenti personali, le responsabilità di ciascuno, possano produrre
qualche effetto: il cambiamento è ritenuto possibile solo dall’alto, e da parte
di non precisati altri.
Ma c’è una pericolosa
sovrapposizione che si tenta di far passare: la difesa dell’identità nazionale
viene confusa con la difesa dello status quo, di un regime, di un assetto
partitocratrico, di un sistema di potere.
In realtà le due cose non
coincidono, ma la crescita dell’una è stata la causa principale del declino
dell’altra.
Ripensare l’Italia non può dunque
avere il senso di conservare quest’Italia: si riuscirà anzi a ripensare sul
serio l’Italia solo quando si riuscirà a coniugare questo pensiero e questa
concreta, vivente integrazione nel proprio Paese con l’ineludibile rigetto di
“quest’Italia che non ci piace”.
Ma oggi si tratta in realtà di
ripensare l’Italia che non c’è, l’Italia che non appare. Ma che esiste non solo
nella memoria, ma anche nel paesaggio, nella cultura, nella lingua, nella vita
di ciascuno.