Un ufficiale imberbe, gentile e ardito come doveva esser GOFFREDO MAMELI, si avanzò e in silenzio mi offerse due fiori e una foglia: una foglia verde, un fiore bianco, un fiore rosso. Mai gesto ebbe più di grazia, più di semplice grandezza. Il cuore mi balzò di gioia e di gratitudine. Io serberò quei fiori, come il più prezioso dei pegni. Li serberò per me e per voi, per la poesia e per il popolo d'Italia. Verde, bianca e rosso! Triplice splendore della primavera nostra!
Gabriele D'Annunzio
La sezione di Terni del Nastro Azzurro all'adunata nazionale di Roma 28 ottobre 1932
4 Novembre 1918 Bollettino della Vittoria
l'omaggio ai Caduti in piazza Tacito
Ianva di Nuovo in Armi
Terni piazza Tacito
Soldato Ignoto Ultima Frontiera
25 5 1936 gli Arditi di Terni alla Passeggiata
Avanti Ardito
gli Arditi alla Passeggiata
Terni piazza del Popolo visita del Duce 14 novembre 1938
La leggenda de Piave
Assemblea generale dei Mutilati ed invalidi di Guerra 2 ottobre 1937
Assemblea generale dei Mutilati ed invalidi di Guerra 21 giugno 1931
Laude dell'Eroismo Ardito
La Giornata del Gelso 19 3 1933
La Giornata del Gelso 19 3 1933
La Giornata del Gelso
La Campana di Trieste Beniamino Gigli
Prima Guardia d'Onore Centuria 4 novembre 1933
Guardia D' Onore 4 Novembre 1934
Liceo Classico 5 dicembre 1937 i Marinai
"La Ritirata"- Tommaso Mario - Inno della Marina Militare
Marmore 28 Ottobre 1932
Marmore 28 Ottobre 1932
Marmore 28 Ottobre 1932
Morrano -Orvieto Lapide in Onore ai Caduti della Grande Guerra
Inno di Garibaldi
Terni piazza Tacito
Elia Rossi Passavanti M.O.V.M.
Principe Eugenio Inno Arma di Cavalleria Fanfara Brigata Pozzuolo del Friuli
Piazza Tacito l'Omaggio ai Caduti dei Combattenti e dei Mutilati
Il Volo su Vienna La Serenissima
Terni piazza Tacito Monumento ai Caduti
Piazza del Popolo Terni
Ianva Muri d'Assenzio
Narni PNF Raduno 24 MAGGIO 1934
Associazione Nazionale Combattenti sezione di Santa Agnese
La Principessa Giovanna 22 giugno 1948 Trigoria
Santa Barbara 1938
4 Novembre 1935
I Combattenti e i Mutilati al Monumento ai Caduti
Terni piazza del Popolo visita del Duce 14 novembre 1938
Beniamino Gigli Giovinezza
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Terni piazza del Popolo vsita del Duce 14 novembre 1938
Colonia marina
Terni Guardia D'Onore ai Caduti
Terni Chiesa di San Francesco
i Patrioti si stringono intorno al Monumento ai Caduti
Terni la sfilata dei Combattenti e Mutilati di Guerra in via Garibaldi
Terni piazza Tacito lo schieramento in Omaggio ai Caduti
La Fabbrica D'Armi
Chiesa di San Francesco
Schieramento Combattenti e Mutilati visita del Duce 14 Novembre 1938
Guardia D' Onore 4 Novembre 1934
Stroncone Santuario di San Francesco
Stroncone 24 Maggio 1932
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Terni
Onore a tutti i Caduti - Soldato Austriaco della Grande Guerra Le foto a documento del servizio hanno valore storico e culturale, sono di proprietà privata, qualsiasi utilizzo non approvato è punibile ai sensi della legge italiana.
Sulla sommità del monte S. Angelo, prima dell’abitato di Marmore, si trovano i resti della Rocca costruita per difendere il piano delle Marmore ed il controllo della Cascata, oggetto di guerre centenarie tra Rieti e Terni. Il 7 marzo del 1927 2.000 operai con il Podestà Elia Rossi Passavanti ed il Vescovo Mons. Boccoleri, insieme a numerose altre autorità ed associazioni, si recarono in cima alla Rocca che era stata trasformata in Cappella Votiva dalla Società Generale Costruzioni di Roma, azienda che aveva realizzato i lavori per il canale della Centrale di Galleto, entrata in funzione nel 1929. Sulla cima della torre era stata collocata una croce in ferro ed una grande lampada, simile ad una fiamma e lungo le pareti furono 20 lapidi con i nominativi degli operai morti durante l’esecuzione dei lavori per il cantiere dell’impianto idroelettrico, insieme ai nomi dei caduti in guerra di Marmore.
I versi del Passavanti incisi sulla lapide commemorativa:
EROI DELLA GUERRA – EROI DELLA PACE
INVITTI FANTI DELLA TRINCEA
E ARTEFICI PODEROSI CHE A COSTRUZIONI CICLOPICHE
COSTRINSERO LE FORZE IMMANI DELLA NATURA
PER LA VITA CHE GETTARONO
A RENDERE PIU’ GRANDE LA PATRIA
LA RIVERENZA E IL RICORDO DELLE FUTURE GENERAZIONI
La scuola colpita dalle bombe degli Inglesi nel criminale bombardamento della città
Quello che non poterono le bombe, ha potuto Vincenzo Paglia
Nell'era della globalizzazione, dove sono i mercati a dettare legge, se non sei competitivo, divieni merce abbandonata, il tuo destino è la rottamazione.
A questa dura legge non è sfuggita una delle scuole cattoliche di maggior tradizione della nostra città, da tempo il vescovo di di allora, seguendo la logica ferrea del mercato, decise di accentrare tutte le attività didattiche presso l'Istituto Leonino, tagliando tutto il resto, a farne le spese sono state le Suore Orsoline e la loro Scuola, presso la quale hanno studiato generazioni di ternani.
Poche le suore rimaste, spesso anziane, pochi gli studenti, troppi costi, la decisione è stata presa, la scuola è stata chiusa, suor Daniela e suor Annalucia rottamate.
Non solo, la legge del mercato impone che nessun bene può essere lasciato improduttivo, così la scuola è stata venduta all' impresa edile Baldelli, il suo futuro affidato alle ruspe dei palazzinari, il destino dell'edificio è infatti quello di essere abbattuto, per lasciare spazio alla costruzione di appartamenti privati di lusso, oggi vi è stato costruito un palazzone di dubbio gusto.
Alle persone ragionevoli vengono in mente alcune considerazioni divergenti sulla bontà di tale operazione: chiudere una scuola è sempre un fatto negativo, chiudere una scuola cattolica significa rinunciare ad uno spazio educativo basato sulla diffusione di valori fondati sulla fede, di fronte ad un mondo dove avanza il buio della secolarizzazione è come spegnere una luce; ci sono anche alcune considerazioni pratiche da fare, l' edificio dell' ex Scuola delle Orsoline fu uno dei pochi risparmiati dalle bombe inglesi, seppur duramente danneggiato, era un edificio storico della nostra città, sopravvissuto ad una guerra, è stato un peccato abbatterlo, inoltre, era stato recentemente, con un investimento di molti milioni del vecchio conio, completamente messo a norma riguardo gli impianti elettrici, la sicurezza, se ci si passava di fronte non si poteva fare a meno di notare la nuovissima scala anti-incendio che vi si arrampica di lato per l'intera altezza, sarà certamente costata bei soldini, sarebbe valsa la pena di rilanciare, invece che chiudere. Quello che è stato abbattuto non è quindi un rudere fatiscente, ma un edificio scolastico modernamente attrezzato secondo la normativa europea, meglio di molti altri edifici scolastici della città.
Questo bel proposito sembrava aver inizialmente trovato uno scoglio non di poco conto sul suo cammino, occorre fare una breve storia: il terreno dove sorgeva, la scuola delle Suore di Sant'Orsola fu donato dalla famiglia cesana degli Eustachi alla curia vescovile, perchè appunto fosse dedicato alla realizzazione di opere che avessero una funzione sociale, aperte alla comunità cittadina, una donazione per un uso aperto agli altri, il donare alla Chiesa per un cattolico non è un gesto che nasce da un calcolo utilitarista ma solo dall'amore per Dio. Su queste basi gli eredi degli Eustachi presentarono un ricorso contro la decisione della vendita del bene al Tribunale Amministrativo Regionale, ma poi... è stato trovato un "accordo".
L'unica cosa certa è che l' Istituto è stato abbattuto, le risa e le grida dei bambini non si sentono più, la città non rimpiange di certo quel vescovo che tanti danni ha provocato e che ha lasciato alla diocesi un buco di milioni di Euro.
Il governo fascista ha voluto dedicare alla memoria di Anita, la presenza galoppante, nell’atteggiamento di guerriera che insegue il nemico e di madre che protegge il figlio. L’artista insigne, che ha così dato oltre l’effige lo spirito di Anita, che conciliò sempre, durante la rapida avventurosa sua vita, i doveri alti della madre con quelli della combattente intrepida al fianco di Garibaldi. E’ nel cinquantenario della morte dell’eroe, cinquantenario che vorremmo celebrato come nazionale solennità, che il monumento si inaugura alla vostra augusta presenza, alla presenza dei discendenti di Garibaldi e dei prodi garibaldini, alla presenza ideale di tutto il popolo italiano. Di Garibaldi fu detto prima e dopo la morte, dalla storia, dall' arte, dalla poesia, dalla leggenda che vive nelle anime delle moltitudini più a lungo della storia. Adolescenti, il nome di Garibaldi ci apparve circonfuso dalle luci di questa leggenda. Le camicie nere che seppero lottare e morire negli anni dell’umiliazione, si posero politicamente sulla linea delle camicie rosse e del prode condottiero.
Durante tutta la sua vita egli ebbe il cuore infiammato da una sola passione: l’unità e l’indipendenza della Patria. Tra i due periodi giganteggia Garibaldi che ha un solo pensiero, un solo programma, un sola fede: l’Italia. Coerente, di una perfetta coerenza, che gli apologeti postumi del suo nome non sempre compresero, fu coerente, e quando offriva la sua spada a Pio IX, e quando vent’anni dopo, lanciava i suoi disperati legionari sulle colline di Mentana. Coerente quando collaborava con Cavour, seguiva Mazzini, serviva Vittorio Emanuele II, osava Aspromonte. La marcia dei Mille, da Marsala al Volturno, guerra e rivoluzione insieme, elemento portentoso che ha dato per sempre l’unità della Patria. Il suono della vita, anche in quella di Garibaldi, le minori e le mediocri cose che accompagnano inevitabilmente l’azione – polemiche, ingratitudine, abbandoni -, un uomo non sarebbe più grande se non fosse uomo fra gli uomini.
Ma la storia ha già tratto dalle fatali antitesi la sintesi della definitiva giustizia, e Garibaldino è vivo più alto e più possente che mai nella coscienza della nazione e nelle coscienze di libertà.
Le generazioni del nostro secolo, cariche già di sanguinose esperienze, attraverso la più grande guerra che l’umanità ricordi, ebbero un pregio. Se il cavaliere bronzeo che sorge qui vicino diventasse uomo vivo e aprisse gli occhi mi piace sperare che egli riconoscerebbe la discendenza delle sue camicie rosse nei soldati di Vittorio Veneto e nelle camicie nere che da un decennio continuano sotto forma ancora più popolare e più feconda, il suo volontarismo. E sarebbe lieto di posare il suo sguardo su questa Roma, luminosa, vasta, pacificata, che egli amò di infinito amore e che fin dai primi anni della giovinezza identificò con l’Italia.
Sire, finchè su questo colle dominerà la statua dell’eroe sicuro e forte sarà il destino della Patria. Benito Mussolini Roma maggio 1932
A Roma l'inaugurazione del monumento ad Anita Garibaldi
Il trasporto a Roma delle spoglie di Anita Garibaldi
Anita Garibaldi
inaugurazione del busto di Anita Garibaldi, offerto da Costanza Garibaldi
A Roma lo scultore La Spina termina la testa di Garibaldi
Non vogliamo ammetterlo e
giriamo in modo estenuanteattorno alla questione, ma il buco nero intorno a
cui danziamo ha un nome preciso: amor di patria. Gli appelli drastici al
rinnovamento o alla conservazione, le sante alleanze e le leghe nazionali che
si invocano da più parti,la Grande Riformao il Partito degliOnesti, ruotano intorno a quell'omissione, anzi la invocano senza
pronunciarla.Se manca il coraggio di
richiamare in servizio quel comunesenso di
appartenenza nazionale non c'è nessuna ragione per interrompere il gioco allo
sfascio, o alladecomposizione,come correggono con dotto tartufismo i sociologi. C'era una volta lacarità
di patria, ma è stata usata con troppa indulgenza, al puntoda dissipare la stessa idea di patria. Adesso, ha ragione il CENSIS, si dovrebbe piuttosto inventare la severità
di patria, un sentimento austero
che non tollera più pulcinellate né sgravi diresponsabilità o fughe nei sofismi, nella retorica
e nella demagogia. Basta con il perdonismo e
le indulgenze. Severità di patria. Ma è
possibile un patriottismo? É possibile, anzi è necessario. É l'unica via
possibile per non chiudere bottega e privatizzare l'Italia nel senso peggioredel
termine: cioè spaccarla in tranci, in lotti, in briciole e liquidarla come nazione. Certo, non si
tratta di rispolverare uniformi fatiscenti o retoriche d'annata. Si
tratta piuttosto di inventare un patriottismosevero,
anti-retorico, asciutto, che non risparmi l'autocritica percarità di patria; ma si sottragga all'autodenigrazione, sport nazionale
ad alto tasso di improduttività. In fondo la guerraciviledelle istituzioni è in atto
perchémanca quel collante: e la psicosi del partito die
lui ha investito gliarti, come una paralisi
progressiva. Ed ognuno dice la sua, si dissocia e si mette in proprio perché rappresenta un partito o aspiraa rappresentarlo. Ogni imprecazione trova untargete dunque inbaseallalegge di mercato trova
legittimazione all'esistere. Ma dimercato si può anche morire. Se tutto si mette in piazza per piazzarsi come merce,l'unica regola è il
successo del prodotto. Einvece no, ci dev'essere
qualcosa che valga di più degli indici di gradimento, dei punti totalizzati nei
sondaggi? E questo qualcosa, fino a prova contraria, non può
essere che uno straccio dipatriottismo.
Che resta, in fondo, l'unica ragione sociale per cuibene o male stiamo insieme e
continuiamo a parlarci nella stessalingua. Insomma un maturo senso della patria fuori da ogni
militarismo o sciovinismo d'occasione. Un senso della patria che nulla
ha a che vedere con il centralismo autoritario e con il "sacroegoismo"
nazionale. Anche le piccole patrie sono patrie e meritano
di essere garantite. E anche le patrie altrui sono patrie, anzila condizione indispensabile per cui
lamiapatria possa vivere,
è che sia garantita anche lasua,laloropatria. Ovunque si difende
una patria, si difende la mia patria, il diritto della mia patria aconsiderarsi tale. Insomma, non un sentimento aggressivo ed
esclusivista, ma il suo contrario. Un patriottismo che sappia guardare ancheindietro
senza perdere l'equilibrio. Quando si riuscirà a completare quell'unificazione
nazionale con una autentica integrazione popolare, l'Italia cesserà di
vedersi sempre attraverso le lentidella
guerra civile: tra nord e sud, tra cattolici e laici, tra fascistie antifascisti, tra pubblico e privato, tra città e
provincia. Énecessario ricucire le
vecchie fratture per assorbire le nuove. Forse
è possibile. E va detto senza cancellare le amarezze e idisincanti, ma cercando di portarseli appresso come antidotocostante
alle tentazioni patriottarde da parata. Tutto questo non urta con l'Europa, ma
è la condizione per arrivarci bene e, perevitare che si tratti
solo di una semplice trasformazione di un negozio in un supermercato. Un
patriottismo con i piedi perterra, perché dalla terra,
in fondo, trae origine. Ma è necessarioper
disegnare l'Italia ventura e per fondare un vero senso di cittadinanza. Senza
del quale, più che connazionali o concittadini,siamo
solo occasionali e rissosi concubini.
Noi siamo i Cacciatori delle Alpi
Castello Cavour Santena, Coro Michele Novaro, direttore Maurizio Benedetti, pianista Carlo Matti, testi Giuseppe Vettori, attore Mario Brusa.
Il Telamone di Terni, sottratto dalla sovrintendenza a causa dell'inadeguatezza delle strutture Museali della città'.
E' incredibile la situazione in cui versa la citta' di Terni incapace
di custodire adeguatamente, almeno a detta del sovrintendente Pagano,
uno dei pezzi piu' pregiati del suo patrimonio storico artistico. Il Museo Archeologico non avrebbe lo spazio sufficiente, nè le misure di sicurezza adeguate per l'esposizione e la custodia permanente del “Telamone”.
E pensare che il CAOS (Centro Arti Opificio Siri ) nel suo complesso
costa all'amministrazione ternana circa 800 mila euro l'anno per la sua
gestione, che a dire il vero non sono bastati ad evitare il furto di un
fermacapelli d'oro risalente al II secolo a.C . Il Telamone, statua
colossale che misura 1,90 metri per un peso di 8 quintali proviene da
Terni, dove fu rinvenuta nelle immediate vicinanze di Porta Romana, nel
1971. Trasportato a Spoleto, è rimasto per 42 anni nei magazzini del
museo Spoletino , per trovare collocazione provvisoria, nel chiostro
della chiesa di San Domenico a Perugia. Oltre alle accuse di scarsa
capacita' nella cura del bene il sovrintendente Pagano asserisce, sulla
base di una sua fantasiosa teoria, che il Telamone (forse destinato
all'abbellimento della Porta Romana della citta'), sarebbe stato portato
a Terni in epoca giustinianea nel 554 dopo Cristo da Villa Adriana a
Tivoli e quindi immediatamente interrato per sottrarlo al saccheggio
degli invasori Longobardi. Tutto cio' per giustificare una presunta
mancanza di legame tra l'opera e la citta' che quantomeno l'ha ospitato
nel sottosuolo per 1500 anni e poterlo collocare a pieno titolo dove
piu' gli possa fare comodo. Sarebbe come dire che i Bronzi di Riace non destinati in origine alla città calabra diventassero improvvisamente res nullius .
Per quanto riguarda poi la provenienza dal Canopo di Villa Adriana ,
così accaloratamente sbandierata, mi sembra non ci sia il benchè minimo
appiglio per poterla sostenere. A villa Adriana ci sono si due sileni
canefori, ma realizzati in modo completamente differente. Sono piu'
corpulenti, hanno la barba, il cesto che sorreggono e la veste che
indossano assolutamente non congruenti con l'appartenenza del Telamone
Ternano a questo gruppo. Mi sorprende la leggerezza di simili
affermazioni , volte più che altro a svincolare la statua dal suo
territorio di appartenenza. Fino a serie prove contrarie il Telamone rinvenuto a Terni è e fu pertinente a questa citta' ed in questa citta' deve rimanere.
Se poi le strutture Museali, non risultassero idonee ad accoglierlo, le
responsabilità ricadrebbero interamente sulla gestione quantomeno
approssimativa del patrimonio archeologico, artistico ,culturale, da
parte dell'amministrazione ternana.
Difendere
le nostre identità ambientali, culturali e storiche da modelli
estranei, globalizzanti e mercantili che annullano le differenze e
spersonalizzano ambienti, usi, e costumi.
È un buon motivo per rassegnarsi? Sicuramente no, per chi sa guardare al
di là delle cortine fumogene della disinformazione e coglie senso e
sostanza della posta in gioco nel conflitto, ancor più asimmetrico degli
altri per la dismisura delle forze in campo, che è in atto fra
l’occidentalismo e i suoi oppositori. Il cui primo dovere è recare
ovunque sia possibile parole di verità: denunciare, documentare,
smascherare. Per non doversi poi sentire complici dei disastri che il
fanatismo ideologico liberale e i disegni politici di chi se ne avvale
stanno seminando, e continueranno a seminare, sul nostro pianeta.
Marco Tarchi
Il disgusto del sordido è solo un'altra manifestazione della sensibilità
alle cose più belle.
Non vi è percezione di bellezza che non abbia un
corrispondente senso di disgusto. Ezra Loomis Pound
Serbate inviolato il principio
sul quale si fonda la vostra esistenza come Nazione. Questa voce non è spenta e
si fa sentire ancor oggi monito e rampogna contro i fiacchi rassegnati…
In questo momento Oberdan ha
ancora qualche parola da dire al popolo italiano che sta subendo nuovi soprusi
e dolorose rinunzie. …Ora da un pezzo tacciono le rane petulanti,mentre l’eroe
e il poeta sono assunti numi tutelari, nel Pantheon dell’anima nazionale. E
tale pure sarà la sorte dei mentori pigmei che garriscono contro l’uomo –
Sentinella d’Italia: le loro parole saran presto polvere dispersa, mentre lui grandeggerà
sempre più in alto e radioso nel cielo della Patria.
In località Palmetta, nelle immediate vicinanze di Terni, sorgeva la cinquecentesca Villa Palma, molto importante per antichità e per il suo autore: Antonio Sangallo il Giovane. Villa Palma fu realizzata sotto commissione della famiglia Spada subito dopo l’esecuzione del palazzo cittadino, come residenza estiva. Il complesso comprende il palazzo padronale e due edifici laterali più bassi. L’edificio principale è di pianta rettangolare, elevato su tre piani e concluso, alle estremità da due torrette gemelle. La parte centrale del fronte è caratterizzata da arcate tripartite, aperte al piano terra e tamponate ai due piani superiori con finestra rettangolare al centro. Gli altri prospetti sono composti in modo diverso tra loro: a tre assi di aperture con portone al centro il fianco e a quattro assi di aperture senza ingresso al centro, il retro. Tutti i prospetti sono armonizzati da doppie fasce marcapiano e paraste. Il palazzo è concluso da cornicione a mensole che si ripete per tre volte sulle torrette. All’interno il palazzo ha un’ interessante scala ad emiciclo decorata da nicchie e statue. Il piano nobile è ricco di sale di rappresentanza affrescate e alcune riaffrescate nel XIX secolo da Antonio Calcagnadoro, artista locale.
Al palazzo si affiancano, come ali, due edifici bassi, stretti e lunghi formando con il corpo della villa una forma ad "U". Questi, inizialmente loggiati, ospitavano la casa del custode ad oriente, le cucine, i magazzini la limonaia e la cappella, ad occidente. L’ala con la cappella ha una larghezza maggiore rispetto all’altra e racchiude un piccolo cortile interno. La cappella ha accesso dall’esterno, ha una facciata tripartita da lesene con portoncino ad arco e piccole finestre quadrate ai lati. In sommità , si aggiunge un fastigio tripartito con cimasa mistilinea e timpano centrale.
All’interno della "U" formata dagli edifici, in passato si sviluppava il giardino all’italiana, disposto su due livelli collegati da due scalinate semicircolari simmetriche. Il primo ripiano era ornato da aiuole di bosso e varietà floreali, il secondo da vasche e fontane. Tra le essenze arboree spiccano grandi palme che probabilmente hanno dato il nome al complesso. Sul retro esisteva un altro giardino più semplice, a forma semicircolare, incorniciato da grandi alberature che proseguono nei due monumentali viali d’accesso di cipressi e alloro. Ai margini del giardino all’italiana, si estende per due ettari il parco costituito per lo più da lecci
Passata da una famiglia nobile all’altra, Villa Palma attualmente è di proprietà del Comune di Terni e versa in condizioni disperate.