La bandiera dell'Unione Europea: tante stelle che ruotano intorno al nulla

 
 
 
 
 
 
 
 
 
1- Stars and stripes
2 - Bandiera  Marina della Confederazione:
3 - Stars and bars
 
 
Anche nella bandiera adottata l'Unione Europea di caratterizza nel ruolo di vassallo degli Stati Uniti, la bandiera UE è  infatti ispirata alle bandiere storiche degli Statunitensi, sia alla Stars and stripes (unionista), che alla Star and bars (confederazione), praticamente identica a quella della Marina confederata d'ispirazione Ingles. Non vi è alcuna traccia che si riferisca alla storia, alla cultura e alle tradizioni europee.
 
Gli Stati Uniti hanno voluto l'Unione Europea. Attraverso le loro agenzie di spionaggio, la Cia in particolare, alla fine degli anni '40 e negli anni '50 sono stati i primi promotori delle prime organizzazioni di federazione europea. [...]. Allora la proposta di una Unione Europea che superasse gli scogli degli stati nazionali e configurasse una struttura non democratica, dove il governo del continente fosse affidato a dei funzionari nominati, prodotti dal coacervo del potere finanziario, poteva liberare la strada a una struttura che fosse dominabile, assimilabile agli interessi degli Stati Uniti. Avendo un'Europa ridotta in questi termini anti-democratici, che man mano hanno fatto carne di porco delle sovranità nazionali, agli Stati Uniti è riuscito molto meglio il controllo sul continente. Un controllo che deve essere comunque e sempre mantenuto, come sempre deve essere mantenuta la subalternità del continente, che non deve rafforzarsi eccessivamente, non deve fiorire, non può essere troppo competitivo economicamente con gli Stati Uniti e, soprattutto, non deve essere attratto dalla sua tentazione naturale, data dalla sua collocazione geografica, culturale, storica, verso l'Eurasia, verso la Russia. Questo deve essere impedito. Mettere in difficoltà l'Europa a partire dalle sue appendici inferiori, cioè meridionali, creando questi subbugli, caricando le economie nazionali di questo sovrappeso, significa tenere l'Europa sotto ricatto. Io, attraverso le mie guerre, attraverso i miei strangolamenti economici, attraverso i miei surrogati, l'Isis eccetera, provoco profughi. Questi profughi li faccio riversare su di te, Europa, ed eventualmente la smetto se tu mantieni un ruolo subalterno, se non ti fai tentare da Putin e rimani un nostro tranquillo vassallo, a cui è concesso qualche giro di valzer, qualche spazio economico, ma sempre in termini di condizionamento.
 
 
Estratto da:
Intervista a Fulvio Grimaldi giornalista di guerra e documentarista indipendente, di Claudio Messora.
megachip.globalist.it

La Russia consegna alla Siria sei Mikoyan Mig 31 per combattere l'ISIS

 
 
La Russia ha consegnato sei  jet da combattimento Mikoyan MiG-31 alla Siria nel tentativo di aiutare il paese arabo nella sua battaglia contro i terroristi Takfiri. Secondo un report  in lingua inglese del sito web della Turchia BGN Notizie, Mosca ha fornito  gli  intercettori  supersonici a Damasco nell'ambito di un contratto firmato tra le due parti nel 2007. L'Agenzia intermediaria russa per le esportazioni e le importazioni di prodotti per la difesa, Rosoboron Export,  non ha né  confermato né smentito la notizia, mentre una conferma ufficiale deve ancora arrivare da Damasco. Secondo BGN Notizie il contratto impegna Mosca a fornire altri due jet al paese martoriato dalla violenza delle milizie ISIL. Il sito turco ha inoltre rilevato che la consegna è parte del piano della  Russia per aumentare le capacità militari dei paesi che sono in prima linea nella battaglia contro i terroristi Takfiri nella regione. Nel 2014, Mosca aveva già  fornito Baghdad  degli elicotteri di attacco Mi-28  per aiutare sul piano militare il paese arabo contro i militanti Daesh. Il gruppo terrorista ISIL, con l'appoggio di molti stati occidentali e regionali, ha iniziato la sua campagna di terrore in Siria nel 2012. I militanti, che attualmente controllano  aree in   Siria,  e la parte settentrionale e occidentale dell'Iraq, hanno condotto orribili atti di violenza. comprese le decapitazioni pubbliche, contro le comunità irachene e siriane, come sciiti, sunniti, curdi e cristiani.

A settembre il via alla campagna anti immigrazione del governo ungherese anche in Turchia e Afghanistan

 
 
Il governo ungherese ha deciso di estendere la sua campagna di affissioni anti-immigrazione verso i paesi di origine dei migranti, tra cui la Siria e l'Afghanistan. I poster ungheresi tenteranno di convincere i potenziali migranti che la recinzione di confine costruita sulla frontiera con la Serbia ha di fatto reso inutile un viaggio per raggiungere l' Europa occidentale lungo questo percorso. In base a quanto riportato dal portale d'informazione  index.hu, la campagna, volta a diminuire la pressione migratoria e difendersi dagli immigrati clandestini  che arrivano in Europa  attraverso l'Ungheria, verrà lanciata anche in Afghanistan e in Siria ( o forse il lato turco del confine con la Siria), nel mese di settembre. Secondo l'articolo del sito, gli annunci potranno anche lanciare il messaggio che il governo ungherese è poco accogliente verso i clandestini che arrivano nel paese.
Dopo aver esaminato le possibilità di pubblicità nei paesi dilaniati dalla guerra e nelle zone di conflitto, gli Ungheresi sono giunti  alla conclusione che solo molto piccoli gruppi possano essere raggiunti attraverso Internet e i social media, e ha optato piuttosto per una campagna d'informazione  negli spazi pubblici e nei giornali . Ai sensi della decisione, i manifesti saranno installati nel mese di settembre, parallelamente al completamento della recinzione temporanea sul confine ungherese con la Serbia, in diverse lingue e dialetti locali.
La campagna anti-immigrazione clandestina di affissioni del governo è in corso all'interno del paese dal mese di maggio.

"Picchia e insulta l'Arabo", videogame di successo

''Picchia e insulta l'arabo'', questo il nome di un un nuovo videogame scaricabile gratuitamente su un sito Internet iraniano specializzato in giochi elettronici, il videogioco è stato messo a disposizione ed è stato subito un successo. Gli Arabi in questione sono rappresentati dalla tipologia degli abitanti degli Sceiccati del Golfo e dagli Arabi Sauditi 
Il videogame si compone di due tempi, il primo intitolato ''nutri l'arabo'' e il secondo ''picchia l'arabo''.  Ricordando che gli Iraniani non sono Arabi, occorre tenere conto del ruolo degli Sceiccati arabi del golfo nella guerra in Siria,  il sostegno a formazioni  quaediste come Al Nusra, ( ed ISIL),  nell'aggressione Saudita allo Yemen, nella sostituzione-esecuzione di Gheddafi in Libia. Sono molti I fatti che  la opinione pubblica della Repubblica  iraniana rimprovera alle monarchie del Golfo.

La riforma di Putin dell' esercito Russo 2011-2020

 
 
 
 
 
 Dal 2011 è partita in Russia una profonda riforma militare che si prevede vedrà piena attuazione nel 2020, Obiettivo principale quello di creare in Russia un esercito professionale compatto e mobile capace di risolvere efficacemente i compiti su qualsiasi teatro di guerra.
Erede dell’esercito sovietico ( e zarista ), l’esercito russo agli inizi era ancora largamente sovradimensionato. Cercò di abbandonare gradualmente questa eredità riducendo le dimensioni (processo accelerato dalla crisi economica degli anni ’90) e aumentando professionalità e modernizzazione. Questa modernizzazione passa smantellando l’industria specificamente militare e ricostruendo le varie relazioni tra industria “militare” e “civile”, ma anche consolidando l’industria militare in un numero ridotto di imprese. Un  lungo e doloroso processo di professionalizzazione e modernizzazione dell’esercito.  Ma è innegabile che tale processo abbia dato i suoi frutti. ed abbia permesso di elevare la capacità difensiva della Russia anche a fronte di una riduzione del personale militare.
Un esercito di massa e di leva riflette sempre qualità e difetti della società da cui proviene.
 
 
Putin's reforms of the Russian Army 2011-2020
 
 
 
A new documentary showing Putin's reforms of the army until 2020
This is a collection of the best, most high quality footage you can find on the internet.
A detailed explanation of Putin's new plan to return the Russian army the title of the strongest in the world, which started in 2011.
This video shows Russia's best future and present technology and weapons with the most important details and shows real life footage of them in HD.
Planes, Tanks, Missiles, Submarines, Helicopters, Future projects and secret weapons only Russian people would know about. This video will present them in English.

Americans

 

 
Sapevate che a Washington si può essere multati fino a 500 dollari per aver rimosso o deturpato l'etichetta su un cuscino? che a Seattle sono proibiti i lecca-lecca? che nel North Carolina ad Hornytown sono banditi tutti i salotti di massaggio? che a Cleveland (Ohio) è vietato alle donne indossare in pubblico scarpe di pelle verniciata in lucido (il perché di questa legge sembra da ricercare nella possibilità offerta agli uomini di guardare sotto la gonna sfruttando il riflesso delle superfici lucide)?Che ad Omaha (Nebraska) è vietato radere il torace degli uomini? Che in Pennsylvania una legge dello Stato proibisce di cantare nella vasca da bagno? che in n Texas a Mesquite, per i giovani è proibito avere un taglio di capelli insolito? che in Texas per andare a piedi nudi sulla strada si devono prima pagare 5 dollari al comune che rilascerà una speciale licenza? che nello Utah nessuna donna può fare sesso con un uomo mentre corre in ambulanza all'interno dei confini di Tremont? Se sorpresa, la donna può essere incolpata di una infrazione sessuale e "il suo nome verrà pubblicato sul giornale locale". L'uomo non è incolpato e il suo nome non è rivelato. che Nel Wisconsin a St. Croix non è permesso alle donne indossare un qualsiasi capo rosso mentre si trovano in pubblico? che nel 2005 la Camera dei Delegati dello Stato della Virginia ha approvato una legge che prevede un'ammenda di 50 dollari nei confronti di chi, lasciando calare troppo i pantaloni, mette in mostra le mutande "in modo impudico e indecente"? che a Skullbone (Tennessee) la legge proibisce ad una donna di dare piacere a un uomo se questo siede dietro un volante? i trasgressori possono finire in galera per trenta giorni. Sapevate che a Liberty Corner (New Jersey) se una coppia che fa l'amore in automobile urta accidentalmente il clacson durante il suo atto lussurioso, può essere condannata ad un anno di carcere?che In New Mexico a Carrizozo le donne non possono mostrarsi in pubblico se non accuratamente depilate?che ad a Omaha, Nebraska, gli uomini non possono circolare con il petto depilato? che nello Utah non si possono possedere piu' di due litri di birra, a meno che non si sia un rivenditore?che nel Nel North Dakota nei bar e nei ristoranti è vietato servire simultaneamente birra e ciambelle salate? Le ciambelle salate aumentano infatti la sete e, di conseguenza, la probabilità che il cliente si ubriachi.

Gli U.S.A. e la crisi greca

 
Chi urla che la Germania è il vero nemico dei popoli europei “è lui stesso il nemico”, parafrasando Brecht. Il nemico marcia, molto spesso, alla testa del malcontento generale, mimetizzato come un camaleonte sotto le bandiere degli oppressi. Costui è sempre in prima linea a manipolare e direzionare le “masse” scontente e vessate sull’obiettivo sbagliato. La Germania ha tante colpe, non quella di voler instaurare il IV Reich in Europa. Tutte frescacce diffuse e rilanciate da chi copre manovre politiche e militari, ben più pericolose, attuate contro la sovranità europea da presunti amici oltreatlantici. Non vedo divisioni tedesche all’opera mentre i marines continuano a sbarcare ai margini continentali con la scusa di qualche pericolo esterno. Per non parlare delle interferenze statunitensi sui governi più deboli dell’Ue, tenuti letteralmente in ostaggio dalla Casa Bianca. I sapientoni di tutte le cattedre e le cadreghe straparlano di nazismo finanziario tedesco perché non conoscono né la storia né l’economia. Andrebbero sepolti, seduta stante, nei luoghi dove vengono invitati a seminare la loro zizzania da quattro soldi e trenta denari. Se l’Europa vacilla è perché gli Usa la vogliono claudicante. Lo ha raccontato perfettamente Francesco Meneguzzo in questo pezzo “Crisi Grecia: Atene come arma degli Usa contro la Germania” . Noi lo diciamo, solitari e inascoltati, da anni. Scrive Meneguzzo, a proposito delle sceneggiata greca, che si è trattato di: “Una manovra americana che rasenta la perfezione, una speculazione al ribasso destinata a un successo storico, a meno che la Germania tenga duro nonostante le impressionanti pressioni condotte anche dai soliti utili idioti delle sinistre europee: se alla Grecia verrà ristrutturato o tagliato il debito, la Germania subirà un salasso tale da mortificare qualsiasi speranza di ripresa sostenuta almeno nel breve termine, nonché qualsiasi ambizione extra-atlantica, anche perché è impensabile che possano contribuire significativamente altri paesi indebitati fino al collo come la Spagna e soprattutto l’Italia (e anche per la Francia avremmo qualche dubbio), mentre la Grecia rimarrà nell’eurozona, certamente vivacchiando ma lontanissima da tentazioni ‘strabiche’ verso Mosca o Pechino. Portando a una convivenza forzata e traballante, ma saldamente nel campo atlantico, e quanto più flebile sarà la voce della Germania, tanto più rapida e sicura sarà l’approvazione del trattato di partnership transatlantica (Ttip), nuova architrave del blocco occidentale e probabile gabbia e condanna per gli europei, tanto desiderata da Washington anche in chiave anti-russa e anti-cinese”. Più chiaro di così non si può. Alla Germania può essere elevata l’accusa di non aver saputo disegnare un destino generale meno angusto di quello burocratico-contabile attuale. Berlino è mancante di una visione strategica del futuro, pur avendo accumulato i mezzi industriali ed economici per proiettarsi sulla scacchiera geopolitica regionale e intrecciare intese fuori dai tradizionali schemi atlantici. Non è riuscita a creare un asse con le potenze confinanti (Francia e Italia) per rinnovare le sue alleanze internazionali ad Est. Errore imperdonabile per un Paese che ha tutte le potenzialità per accrescere la sua sfera egemonica e contribuire ai mutamenti dell’ordine mondiale, richiesti dall’epoca in corso. Ma gli altri cosa hanno fatto? Gli utili idioti degli Usa, come afferma Meneguzzo. Allora smettiamola di addossare tutte le responsabilità ai crucchi e dividiamoci le dosi di vergogna e incapacità come si conviene. A cominciare da noi italiani che vantiamo una classe dirigente talmente inetta da fare concorrenza a quelle dei regimi africani dei tempi coloniali.
 
Gianni Petrosillo (Conflitti e strategie)
 

Pegada: Patrioti Europei contro l'americanizzazione dell'occidente

 
 
 
 
PEGADA - Patriotische Europäer Gegen Die Amerikanisierung des abendlandes, in Italiano  "Patrioti Europei contro l'americanizzazione dell' occidente", è un movimento che sta raccogliendo ampi consensi nella società tedesca e capace di grandi mobilitazioni.  I recenti sondaggi effettuati dai media tedeschi, in cui veniva chiesto agli intervistati se il presidente Russo Vladimir Putin avesse dovuto partecipare al G7, hanno  avuto  in risposta una valanga di si. Esiste in Germania un malessere diffuso verso opzioni che possiamo definire "occidentali, in realtà dettate dagli americani, che si riversano negativamente sulla realtà sociale,  A questo disagio diffuso ha dato una concretezza politica "Alternative for Deutschland" che sta mettendo in crisi il sistema basato sull'antagonismo, o presunto tale,  tra Popolari e Socialisti, come avvenuto del resto in gran parte del continente. L'opinione pubblica tedesca condivide la posizione espressa in Europa  dal primo ministro ungherese Viktor Orban. Orban ha criticato la politica delle sanzioni dell’Occidente verso la Russia ed ha sostenuto che tale politica causa più danni all’Ungheria (ed agli altri paesi europei) che non alla Russia. “Questo si chiama spararsi un colpo sui piedi” ,ha testualmente detto Orban incitando Bruxelles a compensare i produttori ungheresi dei danni subiti per il veto della Russia alle importazioni di prodotti alimentari dai paesi della UE. Il presidente del parlamento ungherese  Laszlo Kover ha assimilato  la programmazione della Ue a quella stalinista, ha inoltre precisato di non condividerne i valori di riferimento. 
 

PEGADA - Patriotische Europäer Gegen Die ... - Facebook

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La distruzione del bel paese




 Il discorso pubblico, soprattutto quello politico, non è mai orientato alla verità. La sua funzione non è quella di spiegare ai cittadini l’azione e i risultati reali che un soggetto o gruppo di potere intende conseguire, se non in minima parte. La sua versione essoterica sta a quella esoterica nello stesso rapporto in cui le manifestazioni superfi
ciali dei fenomeni stanno all’essenza invisibile e alla concatenazione recondita degli stessi che solo con l’analisi scientifica approfondita è possibile cogliere e spiegare.
Esso, cioè il discorso pubblico, deve creare innanzitutto quelle forme di coinvolgimento generale per ottenere il sostegno dei vari settori sociali a puntellamento della propria opera. Del resto, essendo la Politica, quella che si dispiega in tutte le sfere collettive (economica, ideologica, culturale,ecc. ecc. quindi non solo nella sfera politica propriamente detta), una serie di mosse e di strategie per prevalere su agenti concorrenti con disegni più o meno affini (con insorgenza di alleanze temporanee) o del tutto antitetici (con scatenamento di conflittualità aperta e asserita) miranti a raggiungere degli scopi (di predominanza) quasi mai dichiarabili, è corretto che i suoi intendimenti restino coperti.
Tuttavia, c’è una bella differenza tra tenere nascosti elementi che se svelati porterebbero la strategia a fallire, mettendo a repentaglio la sicurezza del Paese e del raggruppamento in azione, e mentire spudoratamente sui propri propositi, fondare tutto sulla menzogna e sul raggiro dei meno riflessivi, ovvero avere in mente, già in partenza, un’assoluta mistificazione dei fatti, della situazione e dei propri progetti per interessi ristretti di corporazione o di cordata (senza comunque lesinare colpi di pugnale pure a chi sta accanto) a danno dell’intero Stato e corpo sociale.
Quando, per l’appunto, manca il disegno di ampio respiro, il fine ultimo che non giustifica i mezzi ma li forgia per l’esito agognato – il quale sarà sempre diverso da quanto elaborato astrattamente (eterogenesi dei fini) – oppure quando il fine medesimo coincide con la propria misera autoconservazione di consorteria, ottenuta anche a costo di una cessione totale della propria autonomia gestionale, a terze forze esterne (sia chiamino Ue o mercato globale a guida Usa) al contesto di riferimento, abbiamo l’incancrenimento delle istituzioni e degli apparati statali ed il saccheggio delle sue principali risorse che vengono divorate tra traditori autoctoni e controparti straniere.
Questo fa anche aumentare i famigerati vincoli esterni i quali sono lo sbocco naturale di tale sottomissione ad agenti internazionali che assicurando protezione ti svuotano definitivamente le tasche e la sovranità. Per di più i suddetti vincoli che rappresentano una vile subordinazione vengono persino esaltati in quanto consentirebbero alla nazione – questa è la vulgata della quale si servono i cialtroni che ci sgovernano – una condotta più confacente all’area culturale ed economica di riferimento.
Senza farla troppo lunga possiamo affermare che la descrizione fatta coincide perfettamente con quanto sta accadendo in Italia. Parlino uomini di destra o di sinistra, con la loro propaganda in lingua estera o in vernacolo della Brianza, l’inganno non cambia. Sono due anni che lo Stivale è governato da quisling scelti direttamente al di fuori dei nostri confini con l’assenso di tutti i partiti dell’arco costituzionale. Ormai sono scomparsi gli uomini politici e sono apparsi i sensali di cricche globaliste, dietro le quali si celano potenze occidentali con i loro specifici interessi, che puntano a spartirsi l’Italia e i suoi tesori. L’accelerazione verso il massacro è stata impressa dal Presidente della Repubblica che ha scelto i suoi premier e i suoi ministri per calcoli occidentali, laddove Occidente significa innanzitutto Stati Uniti.
Il prossimo passo, peraltro dichiarato con la solita faccia di tolla, è il completamento di quell’operazione di fagocitazione delle nostre imprese di punta riuscito solo parzialmente nell’epoca delle grandi dismissioni e degli stravolgimenti giudiziari, agli inizi degli anni ’90. Il governo Letta resterà in carica fino a che non si sarà concretata questa svendita e non avrà sistemato ai vertici delle partecipate del Tesoro personale compiacente alla liquidazione. L’esecutivo delle ex larghe intese regge unicamente per questa ragione. Renzi e Napolitano giocano dunque allo stesso tavolo di trucchi e bluff. Come scriveva ieri il sito Dagospia: …Sono le nomine nelle grandi società partecipate dallo Stato ad essere l’oggetto del desiderio di Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha ben chiaro che presidenti e amministratori delegati di società come Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste valgono ben più di un ministro, per la loro capacità di orientare le scelte di politica industriale, per il serbatoio di assunzioni che ancora garantiscono pur in un momento di crisi e per la massa di investimenti (quasi 50 miliardi l’anno) che hanno capacità di trasferire al sistema delle imprese dei fornitori.” Il nuovo corso dell’Italia puzza di stravecchio. Ecco un lampante esempio di discorso pubblico di rinnovamento le cui premesse incantatorie fanno il paio con i futuri risvolti ingannatori. L’Italia non è ad un bivio, tra Renzi ed i suoi finti avversari di centro-destra, essa è completamente al buio.

di Gianni Petrosillo
da "conflitti e strategie".

L' Europa e il nemico dell' ovest






 
Chissà perché l’ineffabile Matteo Renzi si sia dato, a suo tempo, tanto daffare per garantire all’Italia la “poltrona” europea della politica estera. Una politica estera europea, infatti, non esiste. Come, d’altro canto, non esiste l’Europa come entità politica, ma soltanto una “Unione” con funzioni meramente economiche (o, forse, antieconomiche).
Sia come sia, facc
iamo finta – per un momento – che, al posto di questa invertebrata Unione Europea, ci sia una Europa vera, e cerchiamo di disegnare una sua politica diplomatica. Una politica diplomatica “nostra” – beninteso – cioè fatta nell’interesse dell’Europa, e non in quello degli Stati Uniti d’America. Esattamente come una politica economica “nostra” dovrebbe tutelare gli interessi europei e non quelli americani.
Ipotizziamo, dunque, l’esistenza di una Unione genuinamente, egoisticamente europea, con la sua politica economica europea, con la sua politica diplomatica europea, con la sua politica di difesa europea. Una Unione, in altri termini, che sia l’esatto opposto dell’odierna cosiddetta Unione Europea.
Orbene, cosa avrebbe dovuto fare – questa Unione europea – di fronte al cambiamento epocale che, vent’anni fa, vide la fine dell’Unione Sovietica e la nascita di una Federazione Russa che non voleva più “esportare” il comunismo ad ovest? Semplice: avrebbe dovuto stringere un’alleanza di ferro con questa nuova Russia, avrebbe dovuto raccordare la sua economia con quella russa, avrebbe dovuto armonizzare la sua difesa con quella russa, soprattutto in previsione delle nuove minacce che iniziavano a profilarsi a sud: a sud dell’Europa e, simultaneamente, a sud della Russia, nella Ciscaucasia musulmana. D’altro canto, oltre ad essere l’alleata naturale dell’Europa, la Russia era ed è il partner economico naturale dell’Europa. Anzi, le due economie sono complementari, si integrano a vicenda e – insieme – costituiscono un unicum che le renderebbe autosufficienti, potenzialmente autarchiche – mi si passi il termine – e tali da poter restare immuni dal ricatto della globalizzazione economica (e finanziaria) con cui gli Stati Uniti d’America vogliono imporre la loro supremazia al mondo intero.
La Russia non è un paese come altri, è un gigante che abbraccia la parte più orientale dell’Europa e tutta l’Asia settentrionale, fino al Mar del Giappone. Un gigante che è, tra l’altro, il primo produttore mondiale dell’unica materia prima che manca all’Europa, il petrolio. Ecco perché una grande alleanza euroasiatica (e non euroafricana, come auspicano gli arabi) sarebbe senza dubbio la prima entità politica ed economica (e in un futuro forse anche militare) del globo.
Ma… c’è un “ma”. Gli Stati Uniti hanno il preciso interesse che ciò non si realizzi. Hanno affrontato due guerre mondiali ed una terza lunghissima guerra “fredda” al solo scopo di poter liberamente scorrazzare sui mercati europei e poi su quello russo; e adesso – dopo aver costretto alla resa anche la superpotenza sovietica – non sono certo disponibili ad assistere inerti al rafforzamento, anche soltanto economico, di quelle nazioni destinate a diventare delle semplici praterie di un nuovo Far-West planetario.
Ecco che si sono inventati una canagliesca campagna di accerchiamento della Russia; una Russia – si badi – non più ostile al cosiddetto “Occidente”, che non minaccia nessuno e che, anzi, garantisce che il fondamentalismo islamista non valichi il Caucaso e non aggredisca l’Europa anche da est. Contro Mosca è stato tentato di tutto: il sostegno ai fondamentalisti caucasici attraverso i generosi finanziamenti dei pii musulmani produttori di petrolio, la sanguinosa provocazione di una Georgia che minacciava la pulizia etnica contro la minoranza russa presente entro i suoi confini, il linciaggio mediatico internazionale per il divieto alla propaganda omosessualista, e persino la ridicola crociata in favore delle Pussy Riot (volgare ma letterale traduzione: fiche in rivolta) che la stampa occidentale, evidentemente, avrebbe voluto libere di sculettare seminude sugli altari delle Chiese.
Ultima tragica invenzione dei servizi segreti americani (e di certe “organizzazioni non governative” che svolgono una funzione parallela) è stato il colpo-di-Stato antidemocratico in Ukraina. Un colpo-di-Stato – si badi bene – organizzato contro un Presidente eletto democraticamente (dopo aver sconfitto nelle urne il candidato filoamericano) e che veniva poi abbattuto da una brutale sollevazione armata. Una sollevazione che i media “occidentali” hanno gabellato come la spontanea rivolta di un popolo che anelava ad entrare nell’Unione Europea; ma che invece, molto più prosaicamente, sarebbe stata organizzata e finanziata dagli americani, con una cifra da capogiro – secondo le rivelazioni dell’ex agente della CIA Scott Rickard – pari a 5 miliardi di dollari.
Ma, fin qui, nulla di particolarmente strano. È comprensibile che gli USA abbiano fatto carte false per difendere i loro interessi. È invece del tutto incomprensibile, addirittura inconcepibile che i paesi europei si siano disciplinatamente, supinamente, bovinamente accodati agli americani, fingendo di credere alla ricostruzione ufficiale dei fatti ukraini ed associandosi a delle sanzioni che per l’economia europea (ed italiana in particolare) sono una vera e propria autoflagellazione masochistica. E siamo ancora a niente, perché ci sono ambienti americani che spingono per andare oltre le sanzioni, fino alla guerra. E noi, ancora una volta, a belare obbedienti. Nessuno tra i capi di governo europei ha avuto il coraggio di dire un’acca, di opporsi a quelle incredibili sanzioni, e neppure – men che meno – di raccomandare al pacifista Obama di non andare troppo oltre con le provocazioni, di evitare i passi più azzardati che potrebbero sfociare – Dio non voglia – in un conflitto dagli sviluppi imprevedibili.
La verità è che l’Europa – nella strategia globalista americana – dovrebbe rinunziare alle comode forniture di petrolio e gas russi, per acquistare il nuovo petrolio sintetico prodotto dagli Usa – lo “scisto” – da far giungere nei nostri oleodotti attraverso i costosissimi trasporti marittimi che ne farebbero lievitare a dismisura il prezzo.
E noi – cornuti e contenti – giù a battere le mani, ad osannare la “fermezza” di Obama, ad ospitare sui nostri media la propaganda di guerra del regime collaborazionista ukraino, e naturalmente a subire anche gli “effetti collaterali” di questa incredibile politica sanzionistica contro Mosca. Effetti collaterali che hanno riguardato, in particolare, l’interscambio italiano con la Russia (che nel 2013 sfiorava i 27 miliardi di euro), penalizzando fortemente alcuni settori economici, dall’agricoltura al turismo.
A fronte di questo incredibile bellicismo contro la Russia, la diplomazia americana (con la fotocopia europea) si mostra estremamente comprensiva verso chi minaccia concretamente l’Europa: il fondamentalismo islamico. Hanno iniziato una ventina d’anni fa, subito dopo la creazione dell’Unione Europea: “Qualcuno” ha indirizzato verso l’Europa flussi sempre crescenti di immigrati musulmani, imponendo all’Unione e agli Stati-membri di accoglierli stabilmente, pena l’accusa di razzismo, nazismo e tutto il resto dei fantasmi della “memoria”. Poi “Qualcuno” ha cominciato ad organizzare e a finanziare “primavere arabe” e “rivoluzioni colorate” contro i governi arabi laici (e amici dell’Europa): contro la Tunisia di Ben Alì, contro la Libia di Gheddafi, contro l’Egitto di Mubarak, contro la Siria di Assad. “Qualcuno” al di là dell’Atlantico, naturalmente; e “Qualcuno” nei paesi arabi più reazionari e antidemocratici (ma fedeli alleati e soci in affari dei petrolieri texani), là dove le donne non possono neanche guidare la macchina e gli omosessuali rischiano la decapitazione.
I frutti avvelenati di questa crociata “democratica” sono sotto gli occhi di tutti: si va dall’anarchia istituzionalizzata in Libia fino alla proclamazione di uno Stato terrorista – l’ISIS – su parte del territorio di due Stati sovrani: la Siria e l’Iraq. Uno “Stato” fantasma che potrebbe essere raso al suolo in quattro e quattr’otto, ma che gli americani vogliono conservare, in ossequio ai desiderata dei loro alleati regionali: Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar e tutti gli altri sostenitori della sporca guerra contro la Siria. Il Presidente a stelle e strisce lo ha praticamente ammesso, quando ha dichiarato che «la mia priorità è assicurarmi che le posizioni guadagnate dall’ISIS in Iraq siano riportate alla situazione precedente». Avete capito? Non distruggere l’ISIS, ma «riportarlo alla situazione precedente», contenerlo entro un certo confine, evidentemente stabilito da “Qualcuno” che ha deciso l’amputazione di due Stati sovrani e la creazione di una terza entità statale assolutamente illegittima.
Intanto, mentre un altro pezzo di Iraq – il Kurdistan – sta andandosene per i fatti propri, Israele scalda i motori (e spara) nel sud del Libano. Il Libano è il prossimo Stato di cui è stata decretata la frantumazione (vedrete cosa succederà nei prossimi mesi) per creare due o tre staterelli, più o meno coincidenti con le sue componenti etnico-religiose. È – si dice – un vecchio disegno di Israele e della sua aggressiva politica diplomatica: cancellare le grandi nazioni mediorientali (Arabia Saudita esclusa) e, al loro posto, dar luogo ad una minuzzaglia rissosa, divisa da rivalità etniche e contrapposizioni religiose. L’America di Obama sembra completamente succube di questo disegno, vocata soltanto a ratificare i desiderata di israeliani, sauditi, qatarini e soci minori.
L’Europa, a sua volta, è completamente appiattita sulla politica americana: manda i suoi aerei a bombardare i propri amici (come è successo in Libia) e spedisce le sue “organizzazioni non governative” a sostenere i nemici di Assad. I frutti di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Di noi italiani in particolare: abbiamo visto in diretta tv il linciaggio di Gheddafi, consegnato ai mercenari qatarini; abbiamo visto il via libera agli scafisti per riprendere in grande stile l’invasione migratoria verso la Sicilia; e vediamo, proprio in questi giorni, la proclamazione di un Califfato da qualche parte in Libia, a poche braccia di mare dalle nostre coste.
Nessun leader europeo – però – si arrischia, non dico a protestare, ma anche soltanto ad eccepire qualcosa. Neanche Angela Merkel, che evidentemente è capace di fare la voce grossa soltanto con la piccola Grecia. Sono tutti allineati e coperti, in adorazione della Grande Alleata, pronti a fare la guerra al cattivone Putin e a dare una pacca sulle spalle a quei mattacchioni del Califfato.
Anche per la politica estera, dunque, questa pseudo-Europa è una semplice colonia degli Stati Uniti d’America. Esattamente come per la politica economica, con i risultati che tutti conosciamo.
                   
                                                                                                                                        di Michele Rallo





La democrazia sostitutiva


Il potere dello Stato, oggi, è in gran parte diventato un potere accessorio o subordinato. Coloro che detengono il potere reale appartengono a un cenacolo al di fuori dello Stato e anche al di fuori del territorio. Questi cenacoli contano molti nominati o cooptati che eletti. E sono loro che decidono. E’ una delle cause della crisi della democrazia rappresentativa, che sarebbe meglio chiamare altrimenti democrazia sostitutiva, poiché sostituisce alla sovranità popolare l’unico potere dei suoi presunti rappresentanti”.
Alain De Benoist

A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà,cancellando lo spirito settario, nel nome dell'Italia

 
AURORA DI SPIRITI RIDESTI. In questa ora solenne, il nuovo giuramento rievocante quello di Pontida, unisca tutti i cuori in una sola volontà. Dalla piazza di Trento, Dante Alighieri chiama a se' il figlio che morì per non morire: Cesare Battisti, l'annunziatore infallibile. Dalla piazza di Trieste, Giuseppe Verdi ispira la melodia trionfale che solleva laggiù, a Pola, dalla Fossa degli Impiccati, il cuore eroico di Nazario Sauro. O fede tenuta nell'ombra, ribattezzata nel sangue, custodita nella sventura come l'intatta spada nella guaina, rifulsa come l'alta lampada del faro tra nembi e marosi. Le sante milizie che i Comuni della Lega strinsero intorno al Carroccio, in una volontà di Vittoria, in un voto di morte, rivissero popolando di Eroi le desolate nudità del Carso, le contrastate rive del Piave, le aspre giogaie trentine. Sul giuramento di Pontida, la Patria riconiò il nuovo patto di fede. A Legnano i comuni d'Italia cominciarono a sentire la prima solidarietà, affinché, nelle officine e nei campi e fra il popolo si imparasse a mortificare e a cancellare lo spirito settario, nel nome d'Italia. Legnano fu grande, perché assai grande era l'Idea di Roma, sede del pensiero universale, erede del passato di gloria, tempio della preghiera, di quella che da diritto agli uomini di elevarsi fino a Dio. PASSEREMO!


La scomparsa di Pickles McCarty

Museo Nazionale del Risorgimento Fiamma degli Arditi.                                                            
di Ernest Hemingway


Questa storia di «Pickles», un pugile italo-americano che rientra clandestinamente in patria per arruolarsi tra gli Arditi, è stata scritta da Hemingway durante le sue vacanze estive in Michigan nel 1919. Ernest aveva cercato di vendere il racconto con l'aiuto di Edwin Balmer, un giornalista del «Chicago Tribune» ch'egli aveva incontrato a una conferenza. Balmer gli diede la lista di alcuni editori che potevano essere interessati: George Horace Lorimer del «Saturday Evening Post», Virginia Roderick di «Everybody's», Charks Agnew MacLean del «Popular Magazine», Karl Harriman di «Red Book and Blue Book», ma la cosa non approdò a nulla. Una copia del racconto finì anche a un suo amico, Waring Jones, che nel 1966 ne fece dono al prof. Carlos Baker di Princeton N.J.. Un'altra copia è stata ritrovata nel 1977 da C.E. Clark jr., un bibliofilo dei dintorni di Detroit, il quale non ha spiegato com'egli sia venuto in possesso di quel manoscritto di 4.000 parole. Da una terza copia dattiloscritta, ora alla Kennedy Library di Boston, appare che Hemingway (verso il 1921) intendesse usare questo stesso racconto come parte di un progettato romanzo su Gabriele D'Annunzio e l'impresa di Fiume. Stranamente, questa storia di «Pickles» è rimasta sconosciuta al pubblico fino al gennaio 1976, quando una traduzione italiana è apparsa ne «Il Racconto», diretto da Giovanni Arpino. Sebbene strettamente «letterario», cioè inventato, «Pickles» si è rivelato così pieno d'informazioni da dar origine a un intero libro (Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra, 1980). Tra i fatti storici in esso riconoscibili: la conquista di Monte Comodi Vallarsa (13 maggio 1918), un contrattacco di Arditi a Fossalta di Piave (tardo pomeriggio del 17 giugno 1918), un bombardamento austriaco a Col Campeggia e lo sfondamento degli austriaci sulla Strada Cadorna a Ponte San Lorenzo e all'Osteria alla Cibara (mattino del 15 giugno 1918), un combattimento a Col Spiazzoli a nord-est di Ponte San Lorenzo (primo pomeriggio del 15 giugno), l'epico scontro degli Arditi quando sfondarono sull'Asolone e con una puntata fulminea si spinsero sino a Col della Berretta e a Col Bonato (mattino del 25 ottobre), ecc. Alcuni degli episodi sono riferiti anche nel Report di W. Houston Kenyon. «Io, a Hemingway, non ho detto nulla», ha precisato Kenyon. C'è il fatto che Hemingway può aver letto il suo articolo nel numero di marzo 1919 dell'«Harvard Graduates Magazine»; oppure sia venuto a conoscenza degli avvenimenti da altri autisti della Sezione Uno ARC di Bassano, suoi compagni all'ospedale milanese. Ma è più probabile che Ernest sia stato messo al corrente di quei combattimenti dagli stessi protagonisti, dato che tra il 20-27 ottobre fu anche lui a Bassano (e a Pove e a Cittadella) e si mescolò con gli Arditi del IX Reparto d'Assalto del magg. Giovanni Messe (nel 1941 comanderà il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, e nel 1943, l'Armata che si arrese agli alleati in Tunisia): un'unità combattente e uomini sicuramente riconoscibili nel racconto. «La scomparsa di Pickles McCarty» ha un sottotitolo: «The Woppian Way»; un gioco di parole che si può tradurre: «All'italiana» (da wop, ironico, scherzoso per «italiano») e «La via Appia» (con riferimento alla nota strada romana, ma anche ai miracoli d'ingegneria militare che era la Strada Cadorna, lungo il cui percorso avvengono i principali fatti del racconto).   
Ai tempi in cui mangiavamo il frutto dell'albero dell’attesa guardinga, quando ancora la gente si preoccupava del come finivano i «Giants», prima ancora che la ventata della coscrizione si formasse nella caverna di Eolo, oh, ai bei tempi quando George Creel pensava solo a sfamarsi e a non contar frottole, c'era un pugile di nome Pickles McCarty. E al nome di Pickles bisogna aggiungere qualcosa. Pickles era uno dai pasti ridotti a uova e prosciutto, a spezzatino di maiale e fagioli, era un pugile di rincalzo e in prova; per dirla in breve, uno di quei miserabili lottatori che si guadagnavano da vivere come comparse. Egli era uno di quei giovani, pieni di buona volontà, che puoi vedere se vai a una serata di pugilato troppo presto per l'incontro di prestigio, e che con copioso sangue e rotear di braccia si ammazzano di botte rincorrendosi sul quadrato, per un ridicolo minimo garantito. Pickles, come lottatore (quasi stavo per scrivere pugile), ci aveva rimediato un naso un po' appiattito un risentimento contro gli omaccioni rubizzi in abito da sera che strepitavano per vedere sangue, e il nome di McCarty. Poiché un cantante d'opera deve essere un europeo continentale, una società per azioni un corpo senza anima, e per forza un menapugni è un irlandese. Quando Pickles protestò con O'Leary, che doveva guidare i suoi destini pugilistici, che il nome di Neroni gli era stato a pennello per venti anni, lo Snake (serpente) gli rispose: «Senti, italianaccio! Pensi tu che il pubblico voglia vedere un tizio con quel nome di terrone a fare a pezzi Murphy, un bravo ragazzo irlandese, che magari prima si chiamava Goldstein? Non lo vuole. Ciò che vogliono sono due ragazzi irlandesi che si sfidano, e allora si che è un combattimento leale. E con l'aiuto della s
tampa e del Padreterno ne potremmo fare uno scontro memorabile. I tifosi si divertono a vedere sangue e smorfie e, come nei film, sono sempre dalla parte di Nick. Capita come con quegli zotici del Maine e dell'Illinois, che si scatenano tutti non appena sentono suonare Dixie (notissima canzone americana di Daniel D. Emmet, 1859, ndr.). Piccolo Neroni, ora hai un altro nome. Sei Pickles McCarty. E ti auguro di avere miglior fortuna del povero Luther». E così fu battezzato Pickles, e spuntò sulla Costa californiana come McCarty, e cominciò gradualmente a brillare. Nell'incontro di semifinale con Young Sullivan gli fu facile superarlo e divampò di luce propria, giungendo al centro incandescente della pubblicità nazionale... e poi disparve. E possa la sparizione e apparizione di Pickles McCarty togliere un po' di macchia che c'è ancora sul ring per il modo con cui la Montagna del Kansas e l'Ebreo di Gotham e altri loro compari hanno cullato i pacifisti in questi ultimi tre anni... Sulla Costa la carriera di Pickles fu folgorante. Non era all'inizio che un ragazzotto aspirante pugile, le cui sole risorse risiedevano in un corpo vellutato e forte come l'acciaio e in un cuore combattivo; era un vero genio nell'incassare, e nel ring incassare significa un'abilità sillabata di parolacce, di continuare a batterti anche quando uno più forte di te ti rompe il naso, ti chiude gli occhi, t'inchioda la bocca e te la demolisce, ti maciulla i connotati, e nel frattempo continua a martellarti allo stomaco e alle reni. Ma sotto la guida di Snake egli era diventato il secondo campione dei mediomassimi del mondo. Snake era stato l'allenatore di Ruby Robert, ai tempi della grande carriera de Lo Screziato. Egli insegnò a Pickles come far scrivolare via, con uno scatto della testa, i colpi che prima incassava. Trasformò il sinistro di Pickles, da un lento stantuffo aggirante, in una stoccata che saettava nella faccia dell'avversario con il guizzo di una mitraglia. E mentre il sinistro pugnalava e faceva l'uomo a pezzi, il destro, quel destro che Snake sognava («...dieci centimetri dalla mascella, e potrebbe benissimo essere una bomba di profondità»), stava sempre lì come un cannoncino camuffato. Era un pugno mai più visto dai tempi del Campione della Cornovaglia. Metti quelle due mani su una struttura a forma di squadra a T, mettici un 72 chili di concentrato di colpi di prima qualità, sormontato da una faccia sorridente d'italiano sotto un ciuffo di capelli neri, e in più lo scatto di un Corbett (1) e il cuore di un Diavolo della Tasmania e avrai Pickles McCarty, nato Neroni, nell'anno di grazia della nostra Neutralità 1915. Sorridendo come se niente fosse, egli, con quel suo poderoso pistone sinistro, aveva ridimensionato mediomassimi, pure sorridendo li aveva mandati al tappeto a un cenno di Snake dall'angolo. Ora c'era solo il Campione del mondo da battere... Il Campione, un po' appesantito, e lui solo sapeva quanto fuori forma, come tutti i campioni fece sapere a Pickles di darsi ancora da fare, per farsi un nome. Pickles, che il nome se l'era fatto più del Campione, gli fece sapere, attraverso Snake e la stampa; che se non accettava la sfida egli avrebbe reclamato il titolo. Le pagine sportive dei giornali ne furono piene. I press agents servono apposta per questo. E sul più bello Pickles sparì. Navigati commentatori sportivi considerarono dapprima con sospetto quella sparizione. Ma Snake li convinse. Snake era disperato. «Non è una balla giornalistica. la cruda realtà. Ma che stupido! Maledetto italiano stupido! Il mio avvenire economico. L'unico vero lottatore che ti trovo, e ora mi molla. Un altro piccolo sforzo da niente e avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi, e lui invece molla tutto. Certo che so dov'è. Non ne sono proprio sicuro, non ci credereste. La direste una balla giornalistica. Basta, non parliamone più. Quel vile d'un lavativo». Così, per alcuni giorni, il pubblico sportivo rimase con il fiato sospeso a chiedersi cos'era successo a Pickles McCarty, poi si adagiò a contemplare un sindacato che cercava di combinare un incontro tra la Montagna del Kansas e un altro sfidante, meticolosamente scelto e pompato dalla stampa.         A Bassano noi eravamo acquartierati in una vecchia villa sul Brenta, sulla sponda orientale, un po' più in su del ponte coperto. Era grande e tutta di marmo con cipressi lungo il viale e statue ai lati, e le solite altre cose. Noi eravamo il solito gruppo di avventurieri, dai piedi piatti e con gli occhi strabici, che non potevamo arruolarci nell'esercito e avevamo ripiegato sul Servizio Ambulanze. Quando il Corpo di Spedizione Americano arrivò in Francia, fummo cacciati via di li. Alcuni della squadra erano finiti in Mesopotamia, gli altri si sparpagliarono per i Posti o Sezioni lungo il fronte italiano. Certo, avrei potuto tornarmene a Washington, con Spurs, addetto alla propaganda. Ma hai tu mai visto il sole sorgere, almeno una volta, dal Monte Grappa, o sentito nel sangue dentro di te il crepuscolo di giugno sulle Dolomiti? (le Piccole Dolomiti, vicino al Pian delle Fugazze, sopra Schio, ndr.). 0 gustato il liquore Strega a Cittadella? 0 camminato per le vie di Vicenza, di notte, mentre la luna ti bombardava? Sai, in guerra, oltre al combattere, ci sono mille altre cose. E ogni volta che al chiaro di luna scendevamo alla piccola trattoria e io respiravo il profumo di quei grandi fiori color porpora che coprivano i muri bianchi e inondavano la notte del loro olezzo, e ci sedevamo nel giardino con un autentico boccale di birra buona davanti, e le coppie di innamorati ci camminavano vicino nella penombra lunare, e magari su per la strada una chitarra si lamentava nostalgicamente suonando Torna a Surriento, Washington era terribilmente lontana e mi auguravo di non aver mai toccato una macchina da scrivere. Bene, eravamo acquartierati in questa vecchia villa di Bassano. Era una notte calma. In città non succedeva niente e io dormivo. Improvvisamente mi svegliai di soprassalto. Dal cortile di sotto della finestra provenivano le più empie urla e strida e grida di dolore, accompagnate da colpi e da un sacco di parolacce in italiano. E non c'è nessuno al mondo che in fatto di impressionanti e pittoresche imprecazioni e parolacce superi gl'italiani. Misi fuori la testa dalla finestra e vidi un Ardito, di un battaglione attendato lì vicino, legato al muro per le mani, e un altro Ardito che gliele suonava. Gli Arditi erano volontari, provenienti in parte da criminali che dovevano scontare piccoli errori, come omicidi o stupro. Sono truppe d'assalto, hanno tasche piene di bombe, una pistola automatica appesa con una funicella al collo e un pugnale lungo 25 centimetri a lama larga di foggia romana tra i denti. Per la maggior parte balzano all'attacco a petto nudo. Dubito fortemente che in altri eserciti esistano migliori truppe d'urto. Dimentico dell'italiano gridai in inglese: «Piantatela! Vogliamo dormire! Rimandate il macello a domani mattina!». L'Ardito legato guardò verso di me al chiaro di luna, mi sorrise con una smorfia e con la testa piegata di lato, come uno spagnolo alla garrota. «Va bene, Scribe» (scribacchino), disse in perfetto inglese californiano. «Urlo solo perché questo sergente si sbrighi. Non ha neppure la forza di forare biglietti. Ma devo far finta che faccio penitenza. Ancora sette colpi e ho finito». Mi sorrise con un'altra smorfia, mi strizzò l'occhio e incominciò di nuovo a urlare. Era Pickles, non mi sbagliavo. Quella era la sua smorfia. Feci appena in tempo a vestirmi e scendere le scale che il sergente se ne era andato e Pickles era li che mi aspettava. Sputò un po' di sangue per terra e mi strinse la mano. «Vecchio Frog Eyes» (occhi di rana), mi sorrise. «Che ci sei venuto a fare tu in questa sporca guerra? Non è la tua, mi pare». «E da quando in qua è la tua?». «Oh, da molto. Che ne dici della divisa?», e si guardava la giubba grigia di Ardito con il colletto aperto, le due grandi fiamme nere pendenti ai lati del colletto, i pantaloni grigi a sporta e le fasce nere arrotolate alle gambe; indossava anche il fez nero, con il: Ciocco che finiva dietro la testa ricciuta. «Posso salire in camera da te? Ti posso mollare un po' di "roba". Sai, mi sono fermato a sotto-soldato, nell'esercito è la carta che viene subito dopo il due». «Dopo i tuoi tre anni?». Prima di incominciare a fare il pugile Pickles aveva fatto tre anni all’Università di Stanford. «Non poteva andare diversamente», rispose Pickles salendo le scale. Ci sedemmo sulla mia brandina e mi accinsi a versare del cognac. Picks lo allontanò con la mano. «Acquetta! Sai cosa ci danno quando andiamo all'attacco? Rhum ed etere. Dopo quello ci vorrebbe solo l'oppio. E grappa! L'hai mai assaggiata? Ti colpisce come una mazzata. Un bicchierotto di quella e hai la forza di un plotone. Una sorsata e incominci a domandarti perché gli austriaci non abbiano una truppa d'assalto un po' migliore con cui valga la pena battersi. Con la grappa potresti incitare a dovere anche un brocco». «Ma quella gentaglia, Picks», dissi. «Come fai a sopportarli?». «E’ la migliore banda del mondo. Tu credi che siano tutti criminali. Si pensava che lo fossero all'inizio. Ora ce ne sono delle migliori famiglie d'Italia. Sono volontari e se superano l'addestramento vengono arruolati. Ti faccio notare, Frog Eyes, è tutto una questione di addestramento. Sai di quelle bombe a mano che chiamiamo "signorine"? Esplodono quattro secondi dopo che hai strappato la sicura. Nell'addestramento strappi la sicura, le butti per terra davanti a te, le raccogli e le lanci via. Sì, Frog Eyes, è tutta questione di addestramento. E Snake, come va?». «Benissimo. Aspetta che tu torni, Avresti potuto diventare il campione del mondo. Perché non gli hai detto dove andavi, quando sei partito?». «Gliel'ho detto. Partendo gli ho scritto una lettera. Mi detestava perché c'era sempre qualcosa che non andava, e non aveva fiducia nel mio futuro. Un'altra bravata in addestramento, Frog Eyes, è caricare per duecento metri sotto uno sbarramento di fuoco di mitraglia che ti arriva al petto. Abbiamo anche disciplina. Mi hai visto legato stanotte». «Sì, e ti ho sentito anche», dissi, «Era perché non avevo salutato un ufficiale. E a dir la verità non l'avevo proprio visto. Ah, Frog Eyes, siamo una bella squadra. Sai cosa ti becchi se arrivi in ritardo da una licenza? La morte. E niente plotone di esecuzione. Ti spara in testa con la pistola automatica il tuo comandante di plotone. Lo sai? Sono stato sul Carso. Il Carso era un inferno. Non quello alla Sherman, con le marce forzate. Un inferno del 1915. Tutto rocce, pallottole di mitraglia, granate, e ancora rocce, e niente acqua, e pareti ripide, con mortai da trincea, e trincee fredde ogni quindici metri. E che freddo. Parecchio sotto zero. Sono anche salito sul Monte San Gabriele. E c'era la vecchiaccia con la falce e il teschio e la camicia da notte che spazzava la montagna, allo stesso modo che a San Francisco innaffiano le strade con l'idrante. Ma siamo saliti. E il Monte Corno!». «L'ho visto», dissi. «Tu hai visto la Rocca di Gibilterra, Frog Eyes. Potremmo prendere anche quella, come abbiamo preso il Monte Corno. E l'abbiamo preso. Non so come. Mi ricordo, ho visto un austriaco strappar la sicura a una di quelle bombe schiacciapatate e la tirò addosso a cinque di noi. Ci fu lo scoppio e sono rimasto solo. lo ero sotto, più in basso, e lui rideva e strappò la sicura a un'altra e me la tirò. Mi cadde davanti, oscillò un secondo che a me parve un'ora, poi rimbalzò fuori del bordo e scoppiò per aria più in basso. Io a quel tale ho sparato con la pistola. Mi cadde addosso giù dalla roccia e per poco non mi fece precipitare dal bordo. Un salto di trecento metri. Sono rimasto sotto di lui un poco. Era caldo e appiccicoso. Finché ho inarcato la schiena e l'ho fatto scivolar giù. Ho sentito il tonfo, come quando butti via una zucca (2). Il Corno, sì, Frog Eyes, è stato uno spettacolo!». «Eri al Piave in giugno?», chiesi. «Se c'ero? Vennero in duecentomila dal bel mezzo dei campi, c'era fumo e gas, e il bombardamento era spaventoso. Tutto scuro, e la fanteria che in qualche punto aveva ceduto. Gli ufficiali tutti morti. I nostri venivano giù per la strada come una marea e con gli occhi fuori dalle orbite. C'eri anche tu?». «Fossalta, Pralongo, Monastier, Case Levi, Fornaci ... ». «Ah, c'eri» ridacchiò Picks. «Noi spuntammo per primi da dietro la curva di Case Levi. La fanteria stava ripiegando in massa. Quelli di dietro si ritiravano combattendo. Chi era ferito leggero aiutava gli altri feriti. Noi arrivammo lì con i camion. In fondo alla strada si sentiva il crepitare delle loro mitraglie. Noi li attaccammo e h 8 attraverso i campi. Si fecero ancora sotto e noi scattammo al contrattacco. Contrattacco, contrattacco! Se l'hai visto, sai cosa significa. Il coltello, sempre il coltello. Con quello non potevano resisterci. Io, sul mio, segnavo il numero con una tacchetta sul manico, Bene, basta con lo spettacolo di giugno. Sai anche tu com'è finito. Senti, Frog Eyes, se vuoi vedere uno spettacolo, se proprio ci tieni a vedere uno spettacolo... domani prendiamo l'Asolone. Come il solito nessuno dovrebbe sapere niente. Come al solito ci han dato a tutti la droga. Partiamo con i camion per la strada del Grappa domani mattina alle due e trenta. L'attacco è alle cinque. Se lo vuoi vedere e rischiare. Dai, rischia! Vieni anche tu, Frog Eyes. Non vorrai mica vivere per sempre, no?». Stetti un po' indeciso. Certo che non volevo vivere per sempre, ma ci tenevo a vivere un po' più a lungo. Ma avevo anche visto Pickles in azione sul ring, e vederlo ora qui sul serio in azione era una tentazione troppo grossa. «Nel caso che venga... a che ora si parte?». «Va bene alle due e trenta, quando arrivano i camion dall'autoparco. Tu puoi fermarti al Posto di Osservazione e ti puoi godere lo spettacolo da li. Forse salterai in aria anche tu. Sei grasso, e dopo tutto non ti resta molto da vivere. Sei vecchio, Frog Eyes! Scommetto che hai quarantacinque anni». «Quarantadue per l'esattezza. E lo sarai anche tu, in meno di vent’anni, italiano della malora! Ci sarò, alle due e trenta». «Frog, io non invecchio mai finché c'è la guerra», mi ribatté Pickles, voltandosi mentre scendeva le scale. Guardai l'orologio, erano le undici e trenta. Alle due e trenta non mancava poi molto. Sicuro, i rischi li affrontavamo tutti i giorni, quando salivamo con le autoambulanze ai posti di medicazione. Ma quello era un rischio calcolato, ed eravamo protetti dal mito-leggenda della propaganda secondo cui niente può mai colpire un'autoambulanza; se poi qualcuna veniva colpita, c'era sempre chi ci teneva a far notare l'eccezione che confermava la regola. Magari non avessi rivisto Pickles. Ma il pensiero dello spettacolo che di li a sei ore mi sarei potuto gustare fini per prevalere. Alle due e trenta m'incamminai giù per il viale verso la lunga fila di camion parcheggiati al buio, vicino all'incrocio della strada. Il battaglione stava salendo e prendendo posto. Trovai Pickles e riuscii a sedermi vicino. Il primo camion ingranò la marcia e la lunga colonna sfilò per la città dirigendosi verso la strada camuffata del Monte Grappa. Pickles, con una borsa di micidiali piccole «signorine» a tracolla (le «signorine» sono grandi come scatolette di minestra e sono avvolte da un nastro) (3), canterellava: «Com'è bello - alzarsi presto - a la mattina...». L'Ardito che gli sedeva accanto stava affilando il suo coltello con una piccola cote oleata. Mi parlò in italiano. «Il Pickles dice che tu, sebbene sei un grasso americano, vuoi vedere l'attacco. Il Pickles dice che in America lui ti conosceva bene. Verrò anch'io un giorno in America, dopo la guerra. Senti, hai sentito parlare della Mano Nera?». «E’ come la Mafia e la Camorra. In qualche città sono molto forti», risposi. «Dopo la guerra andrò a Chicago. Forse là ci incontreremo», sorrise, e provò se il coltello tagliava, strofinando il filo della lama contro la guancia. «E’ uno dei veterani», mi disse Pickles in inglese a bassa voce, «Sarebbe per lui troppa fortuna andare a Chicago. Lo manderanno in Libia». Faceva freddo, e mentre salivamo per la montagna il vento, come se provenisse da altri mondi, scendeva dai passi alpini e ci tagliava la faccia. Il serpente della colonna dei camion si snodava lentamente per i tornanti. Pickles, ora con la borsa delle bombe in grembo, spiegò come doveva svolgersi l'attacco. Doveva essere un assalto di sorpresa, senza preparazione di artiglieria. Gli Arditi avrebbero attaccato in due ondate. Poi sarebbe subentrata la fanteria, per consolidare il vantaggio ottenuto. Eravamo a circa cinque chilometri dal posto in cui dovevamo saltar giù quando incominciò uno spaventoso bombardamento, seguito subito dopo dalla nostra artiglieria che tambureggiava da tutte le parti attorno a noi. Si vedevano bombe cadere sulla strada davanti. Un camion fu centrato in pieno. L'orrore di un camion pieno di uomini così centrato non è descritto neppure da Dante nel suo Inferno. Piombò giù un'altra bomba, con un lungo fruscio nell'aria, e scoppiò a lato della colonna e ci fece cadere addosso una pioggia di schegge di roccia. «Questo non era in programma! Tu sei un altro Giona, Frog Eyes!», mi gridò Pickles al di sopra del rombo dei cannoni. In lontananza, dalla colonna al buio, qualcuno incominciò a cantare con una voce di tenore chiara e potente. A lui si unirono tutti gli uomini dei camion:   «Il generale Cadorna Ha scritta al' Regina. Il generale Cadorna Ha scritta al' Regina. Si vuol' vider' Trieste, Demanda Cartilina Bom, Bom, Bom, Rumor di Canoni! ... ».   Tutti del battaglione urlavano quella canzone dal ritmo dinamico, con un terrificante crescendo di volume sui «Bom! Bom! Bom!». Pickles mi gridò nell'orecchio: «Ti becchi tre mesi di galera se canti questa canzone in qualche altra parte d'Italia. Ma qui lascian correre. Hai capito le parole? Il generale Cadorna scrive alla Regina. Se vuoi vedere Trieste fatti dare una cartolina illustrata. E poi rumori di cannonate». Un'altra bomba venne a scoppiare sulla colonna che s'era fermata. Un urlo acutissimo superò il volume della canzone, ma il battaglione passò alla seconda strofa: «Noi siamo gli Arditi Et vogliamo la riscossa, Noi siamo gli Arditi Et vogliamo la riscossa! Vogliamo le Monte Corno Et tre bicchieri di birra Bombi a mano      Et tre culpi de punialo! ... ».   «Hai capito?», gridò Pickles al di sopra del fragore del coro. «Noi siamo gli Arditi. Vogliamo andare alla riscossa. Vogliamo il Monte Corno e tre bicchieri di birra. Bombe a mano e tre colpi con il pugnale... Ehi, Frog! Guarda chi arriva!». In fondo alla strada, alla luce degli scoppi delle bombe, si vedeva una calca di feriti sanguinanti. Stavano aprendosi un passaggio barcollando contro gli schermi che riparavano e camuffavano la strada. Avevano la paura della morte negli occhi. Quello sguardo di truppe terrorizzate che è la cosa più orribile che puoi vede re in guerra. Avevano gli occhi come di pecore al macello e a ogni scoppio di bomba si buttavano a terra venivano calpestati dagli altri che premevano violenti alle spalle. «Di che brigata siete?», gridò un Ardito alla marea. Un ufficiale li in vestì con la luce di una torcia elettrica. Al bagliore guardarono in su con quei terribili occhi spauriti e pro seguirono strappandosi di dosso zaini e moschetti. «Ehi, Frog! Direi che hanno il morale a terra!», mi urlò Pickles all'orecchio. «Ho già visto questo un'altra volta». Si sporse dal camion, ne acciuffò uno e gli diede uno scossone afferrandolo per la gola. «Figlio d'un cane bastardo. Figlio di tuo zio», ringhiò, sbattendogli la testa contro I sponda del camion. «Perché scappate?». Il soldato lo guardò muto, poi disse asciutto:«Gli austriaci. Hanno sfondato in montagna. Han rotto le linee sull'Asolone e stanno scendendo sulla strada. Ci ammazzeranno tutti». «Dovresti essere ammazzato tu», disse Pickles in inglese e lo scaraventò con un ceffone nella fiumana. «Questo accorcia il percorso!», gridò agli uomini del camion. «Arditi, oggi si mangia carne!». Gli uomini della fila del camion stavano calandosi giù con l'ordine di schierarsi sulla strada. La strada qui era intagliata nella roccia e non c'era spazio per manovrare. Una valle veniva a finire in strada duecento metri più avanti di una curva, e lì gli austriaci erano penetrati e avevano tagliato la strada principale della montagna. Stavano penetrando a cuneo sulla strada anche in un'altra parte. Tà tà tà tà!... Le mitragliatrici martellavano la curva in cui gli austriaci sciamavano giù per la valle e sulla scarpata di fianco alla strada. «E’ molto semplice», disse il maggiore al battaglione, con voce chiara e un po' blesa. «Dobbiamo cacciarli indietro. Su per la valle e oltre la cresta. E’ molto semplice, bisogna cacciarli indietro. Siamo gli Arditi». E la sua voce si alzò a tono di comando: «Battaglione Savoia!». E il battaglione avanzò. Non dietro uno sbarramento, non in ordine regolare, non a passo cadenzato, ma urlando, bestemmiando, correndo, urtandosi, spingendosi per essere primi all'urto. Un battaglione contro un esercito. Quando la prima mitraglia li investì, come un manicotto d'acqua su una fila di formiche di una stradetta laterale, non si scomposero. Fu colpito il maggiore, cadde, si rialzò, fu abbattuto ancora, ma continuò a trascinarsi carponi e ad aggrapparsi con le mani su per il pendio, muovendosi a piccoli scatti come un bambino. E allora gli austriaci vennero giù dalla montagna come un'onda verde e grigia e il maggiore sparì travolto da una marea di piedi, e lui da sotto tagliava e scarnificava gambe. E allora vidi Pickles. Puntò dritto nel più folto di essi. Con un coltello per mano. Ammassate e scioccate dal contrattacco, le truppe si erano come inceppate. Vidi Pickles dare uno strattone alla cordicella al collo e usare la pesante pistola automatica come una fionda, mentre con la sinistra giocava come un fulmine d'estate facendo guizzare il pugnale. Gli Arditi attaccavano a testa bassa, balzavano, pugnalavano, lanciavano «signorine», dovunque c'era spazio, nella massa grigia dei nemici. Pickles si apri un varco verso il maggiore caduto, gli fece spazio attorno. Fu allora che gli austriaci, compatti, incominciarono a ritirarsi su per la vallata. Gli Arditi non li distinguevi più. Si vedevano solo vortici di austriaci e potevi esser certo che là in mezzo c'era un Ardito. Ma furono bloccati, e allora dalla strada si riversò la fanteria, e in ordine sparso e alla baionetta li caricò su per la vallata. I mitraglieri di un battaglione misero su i treppiedi e sgranarono nastri dopo nastri contro gli austriaci in ritirata e incalzati dalla fanteria su per le pendici. Dopo che i nemici erano spariti oltre la cresta, trovai Pickles seduto accanto al maggiore. Tutto intorno c'erano elmetti col chiodo, bombe a mano col manico, involucri vari e altri resti, più macabri, della battaglia. «Sei ferito grave, Picks?», gli chiesi preoccupato, piegandomi su di lui. «Solo qualche graffio, Frog Eyes». Si guardò intorno. «Questa è la valle della morte. Andiamocene via. La loro artiglieria può aprire il fuoco da un momento all'altro. Sarebbe stato ben altro spettacolo se non ci avessero giocati e non avessero attaccato loro per primi. A finire il lavoro adesso basta la baionetta. Frog Eyes, come sarebbe stato bello l'esserci avvicinati noi a loro, fino a sentirne il puzzo del fiato. Cosa credi? Io sputo in faccia all'ufficiale prima di farlo fuori. Ah, il vecchio bravo coltello. Dai, Frog Eyes, andiamocene di qua. Dammi una mano, per piacere». Si alzò barcollando, perdendo sangue da una dozzina di ferite, e scendemmo dalla scarpata scavalcando e oltrepassando gruppi di austriaci morti, con sempre in mezzo il corpo di un Ardito. «Quando entriamo in azione noi», Pickles mi fece notare, «ci dobbiamo anche fare il monumento. Che combattimento, eh?, Frog!». Ai piedi della scarpata quelli del battaglione che erano rimasti vivi, una cinquantina d'uomini, giacevano esausti a terra, con il fiato grosso e come mezzo ubriachi, come giocatori di calcio in un intervallo. «Eccoli là, Frog Eyes», disse Pickles esaltandosi. «Guardali bene, gli Arditi. Non ne sono rimasti molti. Fissali bene in faccia, Frog». E si lasciò letteralmente cadere per terra e si distese. «E dopo questo, vogliono che io ritorni e salga su un piccolo miserabile ring, che non è neppure un ring, con un pavimento di tela incerata, e mi metta a colpire, con guanti di cuoio, un uomo più volte di quanto non riesca lui a colpire me con guanti di cuoio. E fermarmi ogni tre minuti, mentre giù nelle poltrone di prima fila un branco di pancioni rubicondi ti urlano "Ammazzalo! Ammazzalo! ". Hai una maledetta cicca? No, Frog Eyes, non può essere». «Potresti diventare il campione del mondo, lo sai», dissi. «Campione del mondo di cosa? A colpire uomini con stupidi guanti di cuoio, mentre giù nella prima fila tizi rubicondi e pelati e con gli occhi fuori delle orbite sbraitano per veder sangue». Si tirò su a sedere con un po’ di difficoltà, accese la sigaretta e pulì con molta cura il pugnale con il fiocco del fez. Poi rimise la lunga lama dentro la guaina di cuoio e sorrise con una smorfia. «Dillo a Snake. Digli pure che mi sono ritirato».    NOTE   (1)  Fu memorabile l'incontro disputato a New Orleans d 7 settembre 1892, in cui Jim Corbett batté John (qui nel racconto «Young») Sullivan e divenne Campione mondiale dei pesi massimi (v. anche il film Gentleman Jim - nella versione italiana Il sentiero della gloria - di Raoul Walsh del 1943, con Errol Flynn, N.d.R.). (2)  Episodio finito anche in Addio alle armi (1929), cap. 19. (3)  . Hemingway sbaglia, confondendo «signorine» o «ballerine» (con un manico di legno e una specie di gonnellino) con petardi Thevenot che avevano un nastro che nel lancio si disfaceva.   (Courtesy of the Hemingway Estate, New York, and prof. Carlos Baker, Princeton N.J.).

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