C’è stato, in fondo, ed è inutile negarlo, un solo momento della storia unitaria nel quale gli italiani si sono sentiti veramente italiani ed orgogliosi di esserlo e fu durante il ventennio fascista. La nazionalizzazione delle masse, in quegli anni, funzionò per davvero, benché in un’ottica di dinamica politica autoritaria. E se è vero che la nazionalizzazione fascista si poneva in continuità con quella inutilmente tentata, soprattutto attraverso la scuola e l’esercito di leva, dai governi liberali post-unitari, la differenza tra le precedenti esperienze sabaude e quella fascista stava in due cose: l’integrazione, secondo una politica di nazionalismo sociale, delle classi popolari le quali in precedenza, nel regime liberal-borghese risorgimentale, erano escluse da qualunque partecipazione politica e, soprattutto, la Conciliazione con la Chiesa cattolica che consentì agli italiani di superare il divario, imposto da Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi, tra fede e appartenenza nazionale.il Nord, che oggi vive di pulsioni autonomiste ed indipendentiste, ha goduto per primo ed in misura superiore al meridione dei vantaggi della politica interventista e dirigista, eredità del fascismo, praticata nell’Italia del decollo industriale ed economico negli anni ’50, ’60 e ’70, le cui basi erano già state poste nel decennio che precedette il secondo conflitto mondiale. L’Eni di Enrico Mattei fu lo sviluppo dell’Agip fascista, l’IRI era stato istituito negli anni ’30 da Alberto Beneduce con il pieno appoggio di Mussolini dando così inizio all’economia delle partecipazioni statali che modernizzò il nostro Paese, la legislazione bancaria del 1936 aveva posto sotto controllo il credito onde finalizzarlo all’investimento sociale e non alla speculazione ed aveva assegnato alla Banca centrale il ruolo di Istituto finanziatore a basso o nullo interesse del fabbisogno statale (il nostro attuale debito pubblico è schizzato alle stelle a partire del 1981 con l’indipendenza dell’Istituto di Emissione che ha costretto lo Stato a finanziarsi presso i mercati a tassi elevatissimi o a comprimere la spesa pubblica), la politica di collaborazione capitale-lavoro, consacrati in articoli semi-attuati della Costituzione quali il 46 e il 49, continuava, nonostante tutto, in clima democratico l’esperienza corporativista del fascismo.Senza lo Stato nazionale il Nord non avrebbe avuto le infrastrutture necessarie alla sua sviluppata economia. Senza lo Stato nazionale il conflitto di classe, molto forte nelle zone industrializzate , non avrebbe trovato quelle soluzioni interclassiste, anche queste sulla scia già tracciata dal fascismo, che hanno consentito all’industria di prosperare con evidenti vantaggi – almeno fino a quando il neoliberismo globalizzatore non ha spiazzato l’idea stessa di Stato nazionale e sociale – anche per i ceti operai e piccolo borghesi.Nel 1992 sul Britannia si programmò la svendita del nostro patrimonio pubblico mettendo fine all’esperienza dell’IRI.. Si passò, così, a smantellare il Welfare ed a precarizzare il lavoro ossia a praticare politiche economiche dal solo lato dell’offerta, che significa politiche vantaggiose solo al capitale ed in particolare al capitale finanziario, favorendo le liberalizzazioni e la mobilità transnazionale dei capitali.Le rivendicazioni di autonomia o di indipendenza dallo Stato nazionale giocano oggettivamente tutte a favore dei processi economici globalizzanti perché la frammentazione fa venir meno i protezionismi, o quel che di essi rimane, anche il protezionismo sociale, e incentiva il liberismo di mercato e senza la sovranità militare, ossia dipendendo da un esercito “di occupazione” inserito nella Nato, non c’è affatto sovranità.
Le menzogne di partito: i secessionisti della Catalogna
I partiti secessionisti catalani, come quelli italiani inventano la storia.
La prima menzogna
I secessionisti dicono che la guerra del 1714 fu una guerra di secessione, sostengono che la guerra di successione spagnola che fu combattuta all’inizio del Diciottesimo secolo fu in realtà una guerra di secessione della Catalogna dalla Spagna. Secondo questa interpretazione, la sconfitta dell’esercito catalano segnò la fine delle istituzioni autonome della Catalogna sperimentate durante l’Impero Carolingio e l’inizio di un periodo di sottomissione al potere spagnolo.
Le cose però non andarono così:
Nel 1700, alla morte di Carlo II, che era senza un diretto discendente, iniziò una guerra per la corona di Spagna: si scontrarono Filippo V di Borbone (nipote del re Luigi XIV di Francia) e l’arciduca Carlo VI d’Asburgo. Fu una guerra europea che divenne anche una guerra civile: il regno di Castiglia appoggiava i Borbone, mentre il principato di Catalogna stava dalla parte degli Asburgo. Vinsero i Borbone e la Coronela, l’esercito catalano, fu sconfitto. Non fu una guerra di una nazione contro l’altra, né d’indipendenza, né di secessione, né patriottica. Fu una guerra tra due case regnanti per ottenere il potere e basta.
La prima menzogna
I secessionisti dicono che la guerra del 1714 fu una guerra di secessione, sostengono che la guerra di successione spagnola che fu combattuta all’inizio del Diciottesimo secolo fu in realtà una guerra di secessione della Catalogna dalla Spagna. Secondo questa interpretazione, la sconfitta dell’esercito catalano segnò la fine delle istituzioni autonome della Catalogna sperimentate durante l’Impero Carolingio e l’inizio di un periodo di sottomissione al potere spagnolo.
Le cose però non andarono così:
Nel 1700, alla morte di Carlo II, che era senza un diretto discendente, iniziò una guerra per la corona di Spagna: si scontrarono Filippo V di Borbone (nipote del re Luigi XIV di Francia) e l’arciduca Carlo VI d’Asburgo. Fu una guerra europea che divenne anche una guerra civile: il regno di Castiglia appoggiava i Borbone, mentre il principato di Catalogna stava dalla parte degli Asburgo. Vinsero i Borbone e la Coronela, l’esercito catalano, fu sconfitto. Non fu una guerra di una nazione contro l’altra, né d’indipendenza, né di secessione, né patriottica. Fu una guerra tra due case regnanti per ottenere il potere e basta.
Seconda menzogna :La Costituzione del 1978 è ostile ai catalani
Gli indipendentisti catalani sostengono che sia necessario superare la Costituzione del 1978, ovvero la Costituzione adottata in Spagna dopo che Francisco Franco ha rimesso il potere aĺla Monarchia costituzionale, perché sarebbe a loro ostile; inoltre vorrebbero cambiarla tramite una decisione appoggiata dal Parlamento catalano, ci sono diverse cose sbagliate e false riguardo a questo punto. Anzitutto c'e' un problema di rappresentatività nel modo tramite il quale gli indipendentisti vorrebbero modificare la Costituzione: gli indipendentisti nell’attuale Parlamento catalano sono stati votati da 1,9 milioni di persone, pari al 47,7 per cento del totale dei votanti; la Costituzione del 1978 fu appoggiata da 2,7 milioni di catalani, pari al 91,09 per cento dei votanti. La Catalogna fu, insieme all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia la Costituzione, alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Il testo votato non si può considerare in nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato profondamente decentralizzato.
Gli indipendentisti catalani sostengono che sia necessario superare la Costituzione del 1978, ovvero la Costituzione adottata in Spagna dopo che Francisco Franco ha rimesso il potere aĺla Monarchia costituzionale, perché sarebbe a loro ostile; inoltre vorrebbero cambiarla tramite una decisione appoggiata dal Parlamento catalano, ci sono diverse cose sbagliate e false riguardo a questo punto. Anzitutto c'e' un problema di rappresentatività nel modo tramite il quale gli indipendentisti vorrebbero modificare la Costituzione: gli indipendentisti nell’attuale Parlamento catalano sono stati votati da 1,9 milioni di persone, pari al 47,7 per cento del totale dei votanti; la Costituzione del 1978 fu appoggiata da 2,7 milioni di catalani, pari al 91,09 per cento dei votanti. La Catalogna fu, insieme all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia la Costituzione, alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Il testo votato non si può considerare in nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato profondamente decentralizzato.
La terza menzogna: la Autonomia ha fallito
Gli indipendentisti catalani sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata con la Costituzione del 1978 – siano stati un fallimento; dicono che oggigiorno sarebbe in corso un nuovo processo di centralizzazione del potere, e che quindi l’autonomia debba essere trasformata in indipendenza. Non e' corretto parlare di fallimento. Nel 1979, un anno dopo l’adozione della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna che tra le altre cose stabilì un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma. Nel 2006 fu approvato un nuovo Statuto di Autonomia, che dava ulteriori poteri alla Catalogna, anche se alcune sue parti furono dichiarate incostituzionali dal Tribunale costituzionale spagnolo. Il grande livello di autogoverno delle comunità autonome spagnole e' una cosa ormai consolidata ed innegabile e se comparato con altri stati del mondo il piu' avanzato.
Gli indipendentisti catalani sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata con la Costituzione del 1978 – siano stati un fallimento; dicono che oggigiorno sarebbe in corso un nuovo processo di centralizzazione del potere, e che quindi l’autonomia debba essere trasformata in indipendenza. Non e' corretto parlare di fallimento. Nel 1979, un anno dopo l’adozione della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna che tra le altre cose stabilì un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma. Nel 2006 fu approvato un nuovo Statuto di Autonomia, che dava ulteriori poteri alla Catalogna, anche se alcune sue parti furono dichiarate incostituzionali dal Tribunale costituzionale spagnolo. Il grande livello di autogoverno delle comunità autonome spagnole e' una cosa ormai consolidata ed innegabile e se comparato con altri stati del mondo il piu' avanzato.
Quarta menzogna; La Spagna è uno stato autoritario
Gli indipendentisti hanno accusato in diverse occasioni il governo spagnolo di comportarsi in modo autoritario: l’ultima volta è successo meno di una settimana fa, dopo le perquisizioni e gli arresti effettuati dalla Guardia civile spagnola negli edifici del governo catalano a Barcellona, accusato di continuare a organizzare il referendum sull’indipendenza nonostante fosse stato definito illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. L’account Twitter del governo catalano aveva scritto cose tipo: «I cittadini sono convocati per l’1 ottobre per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio»; oppure: «Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separava dai regimi autoritari e repressivi».non c’è ragione di pensare che la Spagna non sia uno stato democratico. In Spagna esistono lo stato di diritto e la separazione dei poteri; il paese fa parte di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani e le libertà politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; Freedom House ha dato un punteggio di 95/100 al rispetto dei diritti civili e politici in Spagna, lo stesso dato attribuito alla Germania. Né il governo catalano né uno dei gruppi indipendentisti della regione hanno mai fatto ricorso a tribunali internazionali per denunciare delle violazioni dei diritti, né tantomeno lo stato spagnolo è mai stato condannato per questo tipo di violazioni.
Gli indipendentisti hanno accusato in diverse occasioni il governo spagnolo di comportarsi in modo autoritario: l’ultima volta è successo meno di una settimana fa, dopo le perquisizioni e gli arresti effettuati dalla Guardia civile spagnola negli edifici del governo catalano a Barcellona, accusato di continuare a organizzare il referendum sull’indipendenza nonostante fosse stato definito illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. L’account Twitter del governo catalano aveva scritto cose tipo: «I cittadini sono convocati per l’1 ottobre per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio»; oppure: «Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separava dai regimi autoritari e repressivi».non c’è ragione di pensare che la Spagna non sia uno stato democratico. In Spagna esistono lo stato di diritto e la separazione dei poteri; il paese fa parte di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani e le libertà politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; Freedom House ha dato un punteggio di 95/100 al rispetto dei diritti civili e politici in Spagna, lo stesso dato attribuito alla Germania. Né il governo catalano né uno dei gruppi indipendentisti della regione hanno mai fatto ricorso a tribunali internazionali per denunciare delle violazioni dei diritti, né tantomeno lo stato spagnolo è mai stato condannato per questo tipo di violazioni.
Quinta menzogna;La Spagna ci ruba i soldi
(Qui vale ricordare anche certe castronerie nostrane)
L’idea che la Spagna “ruba” i soldi della Catalogna, sostanzialmente ridando indietro molti meno soldi di quelli che riceve, risale al 2012, quando fu diffusa dal governo dell’indipendentista Artur Mas. Allora si disse che la Catalogna contribuiva con 16,4 miliardi di euro al bilancio della Spagna, cioè l’8,4 per cento del PIL catalano: troppo, sostenevano gli indipendentisti.
In realtà i numeri diffusi dal governo catalano, si sono poi dimostrati più bassi, soprattutto dopo la crisi economica: non così lontani dalle percentuali trasferite in media da altri territori prosperi verso i governi centrali a capo dei loro stati federali, e nemmeno così lontano dalle stesse proposte catalane. In alcuni periodi storici il contributo della Catalogna al PIL spagnolo è stato anche più basso di quello di altre regioni della Spagna: per esempio, secondo i dati ufficiali diffusi dal governo spagnolo, nel 2014 la Catalogna è stata la seconda comunità autonoma contribuente netta (con il 5 per cento del suo PIL) dietro a Madrid (9,8 per cento). C’è anche da tenere conto che calcolare con precisione quanto torni indietro indirettamente a una regione che ha versato un contributo allo Stato è molto difficile: questo perché per esempio le tasse catalane finanziano il governo centrale, i ministeri e il Parlamento che legiferano anche per la Catalogna, oltre che l’esercito che protegge l’intero paese. Quantificare questa somma di denaro non è per niente facile.
(Qui vale ricordare anche certe castronerie nostrane)
L’idea che la Spagna “ruba” i soldi della Catalogna, sostanzialmente ridando indietro molti meno soldi di quelli che riceve, risale al 2012, quando fu diffusa dal governo dell’indipendentista Artur Mas. Allora si disse che la Catalogna contribuiva con 16,4 miliardi di euro al bilancio della Spagna, cioè l’8,4 per cento del PIL catalano: troppo, sostenevano gli indipendentisti.
In realtà i numeri diffusi dal governo catalano, si sono poi dimostrati più bassi, soprattutto dopo la crisi economica: non così lontani dalle percentuali trasferite in media da altri territori prosperi verso i governi centrali a capo dei loro stati federali, e nemmeno così lontano dalle stesse proposte catalane. In alcuni periodi storici il contributo della Catalogna al PIL spagnolo è stato anche più basso di quello di altre regioni della Spagna: per esempio, secondo i dati ufficiali diffusi dal governo spagnolo, nel 2014 la Catalogna è stata la seconda comunità autonoma contribuente netta (con il 5 per cento del suo PIL) dietro a Madrid (9,8 per cento). C’è anche da tenere conto che calcolare con precisione quanto torni indietro indirettamente a una regione che ha versato un contributo allo Stato è molto difficile: questo perché per esempio le tasse catalane finanziano il governo centrale, i ministeri e il Parlamento che legiferano anche per la Catalogna, oltre che l’esercito che protegge l’intero paese. Quantificare questa somma di denaro non è per niente facile.
Sesta menzogna: Da soli saremo più ricchi
Gli indipendentisti catalani sostengono che da soli, quindi staccati dalla Spagna, sarebbero più ricchi. Già oggi la Catalogna è una delle comunità autonome più ricche del paese, insieme a Madrid, Paesi Baschi e Baleari, e ha un PIL pro-capite simile a quello di alcune tra le regioni più avanzate d’Europa. Una Catalogna indipendente aumenterebbe il suo PIL e migliorerebbe i suoi servizi pensionistici e sociali, sostengono gli indipendentisti.
Il problema, è che questa interpretazione minimizza i costi che deriverebbero dall’indipendenza: .la perdita delle sinergie economiche e degli stimoli intellettuali ottenuti dal fatto di appartenere all’ampio spazio economico europeo, sono difficilmente quantificabili, ma dovrebbero essere presi in considerazione. Il ministero dell’Economia spagnolo ha stimato che l’eventuale secessione ridurrebbe il PIL catalano di una cifra compresa tra il 25 e il 30 per cento rispetto a quello attuale; uno studio del ministero degli Esteri, meno catastrofico, parla di un calo del 19 per cento del PIL. Non è comunque possibile dire cose certe su questo tema.
Gli indipendentisti catalani sostengono che da soli, quindi staccati dalla Spagna, sarebbero più ricchi. Già oggi la Catalogna è una delle comunità autonome più ricche del paese, insieme a Madrid, Paesi Baschi e Baleari, e ha un PIL pro-capite simile a quello di alcune tra le regioni più avanzate d’Europa. Una Catalogna indipendente aumenterebbe il suo PIL e migliorerebbe i suoi servizi pensionistici e sociali, sostengono gli indipendentisti.
Il problema, è che questa interpretazione minimizza i costi che deriverebbero dall’indipendenza: .la perdita delle sinergie economiche e degli stimoli intellettuali ottenuti dal fatto di appartenere all’ampio spazio economico europeo, sono difficilmente quantificabili, ma dovrebbero essere presi in considerazione. Il ministero dell’Economia spagnolo ha stimato che l’eventuale secessione ridurrebbe il PIL catalano di una cifra compresa tra il 25 e il 30 per cento rispetto a quello attuale; uno studio del ministero degli Esteri, meno catastrofico, parla di un calo del 19 per cento del PIL. Non è comunque possibile dire cose certe su questo tema.
Settima menzogna: Abbiamo diritto a separarci
Nella “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, cioè la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano che regola il referendum, c’è scritto che la Catalogna ha il «diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione», in senso «favorevole all’indipendenza». Non è proprio così.
È vero che il diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli, ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello stato, sulle esigenze di autodeterminazione.
La Costituzione spagnola non prevede il diritto alla secessione e un cambiamento dello status quo richiederebbe una riforma costituzionale con procedimento aggravato, quindi con una maggioranza rafforzata, proprio come in Italia. Ci sarebbe anche la possibilità di organizzare direttamente un referendum, ma il voto dovrebbe essere organizzato dal governo spagnolo e il risultato non sarebbe comunque vincolante (si parlerebbe di un referendum consultivo).
Nella “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, cioè la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano che regola il referendum, c’è scritto che la Catalogna ha il «diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione», in senso «favorevole all’indipendenza». Non è proprio così.
È vero che il diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli, ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello stato, sulle esigenze di autodeterminazione.
La Costituzione spagnola non prevede il diritto alla secessione e un cambiamento dello status quo richiederebbe una riforma costituzionale con procedimento aggravato, quindi con una maggioranza rafforzata, proprio come in Italia. Ci sarebbe anche la possibilità di organizzare direttamente un referendum, ma il voto dovrebbe essere organizzato dal governo spagnolo e il risultato non sarebbe comunque vincolante (si parlerebbe di un referendum consultivo).
Ottava menzogna:Non usciremo dall’Unione Europea
Gli indipendentisti sostengono che la Catalogna sicuramente non uscirà dall’Unione Europea, una volta raggiunta l’indipendenza, ma non è una cosa certa o automatica.
Dal 2004 a oggi tutti i presidenti della Commissione europea hanno sostenuto il contrario: se un territorio di uno stato membro smette di esserne parte, perché diventa indipendente, i trattati dell’Unione Europea non potranno continuare ad essere applicati automaticamente a questa parte di territorio. Se vorrà diventare membro dell’Unione Europea, il nuovo stato dovrà fare formale richiesta, secondo quanto prevede l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea: significa che la sua candidatura dovrà essere accettata da tutti gli attuali stati membri, quindi anche dalla Spagna, che però potrebbe non essere d’accordo in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna.
C’è poi un’altra questione. Per come è fatto oggi il sistema internazionale, uno stato per essere tale deve avere un ampio riconoscimento internazionale (un’entità può definirsi stato in maniera unilaterale, ma se non viene riconosciuto dagli altri non può avviare relazioni diplomatiche, non può entrare a far parte di grandi trattati internazionali, e così via). Come disse lo scorso 25 marzo Artur Mas, ex presidente catalano, «se non ti riconosce nessuno, le indipendenze sono un disastro». Un passaggio fondamentale per ottenere questo riconoscimento è l’ONU. Per ammettere un nuovo stato nell’ONU, questo deve essere raccomandato dal Consiglio di Sicurezza, dove ci sono cinque stati con poteri di veto tra cui la Francia, che non sembra troppo incline a favorire spinte separatiste in un altro paese europeo. La candidatura deve poi essere approvata dai due terzi dell’Assemblea generale, organo che rappresenta tutti gli stati membri dell’ONU. È difficile dire come potrebbe finire tutto questo, visto che ci sono altri stati europei che sono soggetti a spinte indipendentiste e che probabilmente si opporrebbero a un riconoscimento della Catalogna indipendente, per non alimentare gli autonomismi o indipendentismi locali.
Gli indipendentisti sostengono che la Catalogna sicuramente non uscirà dall’Unione Europea, una volta raggiunta l’indipendenza, ma non è una cosa certa o automatica.
Dal 2004 a oggi tutti i presidenti della Commissione europea hanno sostenuto il contrario: se un territorio di uno stato membro smette di esserne parte, perché diventa indipendente, i trattati dell’Unione Europea non potranno continuare ad essere applicati automaticamente a questa parte di territorio. Se vorrà diventare membro dell’Unione Europea, il nuovo stato dovrà fare formale richiesta, secondo quanto prevede l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea: significa che la sua candidatura dovrà essere accettata da tutti gli attuali stati membri, quindi anche dalla Spagna, che però potrebbe non essere d’accordo in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna.
C’è poi un’altra questione. Per come è fatto oggi il sistema internazionale, uno stato per essere tale deve avere un ampio riconoscimento internazionale (un’entità può definirsi stato in maniera unilaterale, ma se non viene riconosciuto dagli altri non può avviare relazioni diplomatiche, non può entrare a far parte di grandi trattati internazionali, e così via). Come disse lo scorso 25 marzo Artur Mas, ex presidente catalano, «se non ti riconosce nessuno, le indipendenze sono un disastro». Un passaggio fondamentale per ottenere questo riconoscimento è l’ONU. Per ammettere un nuovo stato nell’ONU, questo deve essere raccomandato dal Consiglio di Sicurezza, dove ci sono cinque stati con poteri di veto tra cui la Francia, che non sembra troppo incline a favorire spinte separatiste in un altro paese europeo. La candidatura deve poi essere approvata dai due terzi dell’Assemblea generale, organo che rappresenta tutti gli stati membri dell’ONU. È difficile dire come potrebbe finire tutto questo, visto che ci sono altri stati europei che sono soggetti a spinte indipendentiste e che probabilmente si opporrebbero a un riconoscimento della Catalogna indipendente, per non alimentare gli autonomismi o indipendentismi locali.
Nona menzogna Il referendum dell’1 ottobre è legale
Il governo catalano sostiene che il referendum dell’1 ottobre sia legale e il vicepresidente catalano Oriol Junqueras ha aggiunto che non è contrario al Codice penale. Ma non è vero. La Costituzione affida la competenza esclusiva di indire un referendum di particolare importanza al Parlamento e al governo spagnoli, mentre il referendum dell’1 ottobre è stato convocato unilateralmente dal governo catalano.
Le due leggi approvate dal Parlamento catalano per realizzare il referendum – quella del 6 settembre e un’altra dell’8 settembre – siano illegali, anzitutto per questioni procedurali: sono state votate dal Parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza avere ottenuto il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il tribunale costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma. La Ley del referéndum sarebbe illegale anche per il suo contenuto: una legge ordinaria non può infatti autoproclamare che «prevale gerarchicamente» sullo Statuto di Autonomia e sulla Costituzione, e non può stabilire un’autorità elettorale con la sola maggioranza assoluta.
Decima menzogna:Votare è sempre democraticoUno degli slogan usati nella campagna degli indipendentisti è: «Referendum è democrazia», ma non esiste alcun automatismo che leghi questi due concetti.Il referendum è stato ampiamente usato in passato dai regimi autoritari, tra cui quello di Franco in Spagna, che nel dicembre 1966 ne fece ricorso per approvare l’allora nuova Costituzione. Inoltre nel programma elettorale di Junts pel Sí, la coalizione al governo in Catalogna, non si parlava di referendum per l’indipendenza: non ci sarebbe nemmeno un mandato elettorale su cui fare leva. Affinché un referendum sia democratico, , deve tenersi in un paese democratico rispettando le norme costituzionali di quello stato: una cosa che non sta avvenendo con il referendum sull’indipendenza catalana.
Della morte dignitosa
Un milione di Europei formano un'armata popolare per arginare l'invasione migratoria
Alcuni gruppi di miliziani hanno cominciato a formarsi nelle città di confine dei paesi dell'Europa centro orientale.
Più di un milione di persone già agiscono contro i tentativi da parte dei clandestini di entrare illegalmente nell'Unione europea. Tali associazioni esistono nella Repubblica Ceca, Spagna, Germania e Slovacchia. In Bulgaria, i gruppi paramilitari riuniscono più di 50 000 persone. Questa informazione è stata confermata dai politici in diversi paesi dell'Europa centro orientale in base alle notizie della agenzia Izvestia. Nel frattempo, la politica UE favorisce in tutti i modi la sostituzione etnica dei cittadini europei, stati come l'Italia, dove si è costituita una grande alleanza tra ONG e organizzazioni criminali, ha addirittura messo a disposizione la Marina Militare, è in Italia dove si riscontra la situazione peggiore, dove si registra l'85% di entrate di clandestini su tutto il territorio della UE.
La politica migratoria dell'UE, e le insensate politiche di guerra degli Stati Uniti nel Medio Oriente hanno peggiorato la situazione dei paesi "buffer" dell'Unione. Così l'Ungheria, la Bulgaria e altri paesi dell'Europa centro orientale sentono crescere maggiormente la pressione della immigrazione clandestina. La gente di questi paesi in questione, è costretta a contrastare questo fenomeno devastante, che vede collusi grandi gruppi finanziari, organizzazioni criminale, e il governo UE, CON le proprie forze formando milizie volontarie popolari. In alcuni paesi, come la Bulgaria, questa pratica ha già raggiunto il livello statale: pattuglie volontarie hanno armi non letali (gas lacrimogeni, sfollagente).
La Bulgaria è al crocevia di importanti vie della sostituzione etnica, questo sta creando tensioni sociali tra i suoi cittadini. Gli attivisti hanno creato un'organizzazione Shipka il cui obiettivo dichiarato di garantire la sicurezza del Paese contro il flusso di immigrati clandestini. L'organizzazione in questione ha annunciato l'esistenza di una rete di organizzazioni europee simili finalizzata alla cooperazione..
La causa della comparsa di milizie popolari è l'incapacità dei paesi dell'UE di rispondere adeguatamente alla crisi migratoria e controllare l'ondata di clandestini., anzi al contrario, di adottare misure che la finaziano e la incoraggiano. Per due anni i politici europei non riescono a trovare una soluzione per la fase acuta della crisi migrazione nella UE. La linea adottata dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, che promuove la massima apertura delle frontiere ai profughi da paesi europei, è un fiasco. Sempre più politici europei accusano Bruxelles la politica miope vis-a-vis per il Medio Oriente - che è appunto il nocciolo del problema dei migranti secondo loro. L'assenza di una politica comune nel settore spinge i popoli dell'Europa centro orientale a lottare per se stessi nell'affrontare questo grave problema.
Amelia (Tr) 1944: la strage di bambine compiuta dagli anglo americani
La strage di Amelia, in provincia di Terni, dove furono uccise, il 25 gennaio 1944, nella distruzione della scuola elementare delle Maestre Pie Venerini, tredici bambine, tre suore insegnanti, un operaio e la direttrice Iole Orsini. Responsabili: bombardieri alleati Royal Air Force - United States Air Force.
Il corpo di una ragazza di Polino (Tr) sequestrata dai partigiani, ritrovato in una fossa comune
Nella foto il Comune di Polino (Tr) dove fu rapita la ragazza poi sparita nel nulla
Il 26 agosto 2004, una missione archeologica guidata dal Prof. Mario Polia, nella zona di Fuscello di Leonessa (Rieti), ritrovò quella che sembrò essere una fossa comune. A poca distanza da alcune rovine medioevali vennero rinvenuti frammenti ossei di indiscutibile appartenenza umana. Dopo aver smosso delle zolle di terra, fu riporta alla luce la parte inferiore di uno scheletro umano. Un’approssimativa datazione fece risalire i resti al periodo della seconda guerra mondiale. Il ritrovamento di più ossa fece pensare che in quella fossa fossero presenti i resti di almeno due persone. Infine, il rinvenimento di un proiettile all’interno di un muro crivellato da colpi sembrò dipingere una classica scena di esecuzione sommaria. Vennero allertati i Carabinieri e il tutto fu affidato alla Magistratura. Nessuno si sbilanciò nell’identificare il corpo - o i corpi - anche se, in quel vallone, nei primi mesi del 1944, avvennero episodi mai chiariti come la scomparsa del Comandante partigiano Mario Lupo, secondo alcuni ucciso dai comunisti a causa del suo moderatismo; la scomparsa di una ragazza sequestrata dai partigiani a Polino (Terni) e mai più ritrovata; l’uccisione di due combattenti della RSI i cui corpi scomparvero nel nulla.
Gli stupri dei soldati americani in Francia
Nel libro “ What Soldiers Do “ (ciò che i soldati fanno), la Prof.ssa Mary Louise Roberts dell’Università del Wisconsin ci dice che i soldati americani commisero stupri migliaia di volte durante la guerra. E, ciò che è ancora più sorprendente, è che molte delle loro vittime erano francesi.
In totale si stima che circa 14.000 donne furono stuprate dai soldati americani nell’Europa Occidentale dal 1942 al 1945. In Francia 152 soldati americani furono processati e di questi, 29 furono impiccati.
Ma le statistiche non rivelano tutta la storia. Ci furono senza dubbio migliaia di stupri in Francia, molte dei quali non vennero denunciati dalle vittime le quali non erano disposte a vivere le ingiuste e tremende stigmatizzazioni che tali violenze portavano con sé il quei giorni.
Ma perché gli americani violentavano i loro alleati? Per il soldato medio, la Francia era tanto un “avventura erotica” quanto una spedizione militare e la guerra fu, in parte, “venduta” ai soldati di leva come un’opportunità per conoscere donne francesi attraenti.
Molti dei padri di quei soldati erano stati in Francia durante la Prima Guerra Mondiale ed erano ritornati con scandalosi racconti sulla presunta licenziosità delle donne francesi. I loro figli, di nuovo laggiù a combattere, consideravano la Francia come un gigantesco bordello, con migliaia di ragazze nubili francesi disposte a essere possedute da virili soldati.
Come giustamente osserva la Prof.ssa Roberts, il soldato medio non aveva alcun attaccamento emotivo al popolo francese o alla causa della sua libertà.La Roberts scrive: “ Le donne della Normandia denunciarono un’ondata di accuse di violenze carnali contro i soldati americani, minacciando di distruggere la fantasia erotica nel cuore dell’operazione. Lo spettro dello stupro trasformò il soldato americano da guerriero-salvatore a intruso violento “.
Fu particolarmente intaccato negativamente il porto di Le Havre. Un cittadino scrisse al sindaco della città, Pierre Voisin, lamentandosi per i “crimini di ogni tipo commessi giorno e notte”. Disse che i soldati americani “attaccavano, rubavano sia nelle strade che nelle nostre case e che era in sostanza un regime di terrore imposto da banditi in divisa”.
Ma il problema più grave era il sesso. I soldati americani copulavano con qualsiasi donna francese potevano avere per le mani, consenziente o meno e ciò che era peggio è che lo facevano in pubblico.
“ Queste cose succedono alla luce del sole, davanti a bambini e ad altre persone che si trovano sul posto “, disse un civile.
Urinano contro i muri e nei corridoi “ notò con disgusto un testimone, “ e saltano addosso ad ogni donna che vive da quelle parti “.
Ciò che era peggio per i francesi era il fatto che gli americani erano le stesse truppe che avevano devastato le loro città con bombardamenti aerei e bombardamenti di sbarramento di artiglieria.
Molti francesi sentivano, e a ragione, che le loro città erano state distrutte senza alcun bisogno, in una dimostrazione di forza machista americana.
Si stima che nella battaglia di Normandia siano stati uccisi 20.000 civili e nella sola Le Havre 3.000 avevano perso la vita. Funzionari arrabbiati fecero rilevare che mentre venivano estratti dalla macerie migliaia di francesi, di tedeschi morti non sene trovava più di una decina.
Con gli stupri ed i bombardamenti era perciò comprensibile perché molti francesi si chiedevano se dopo tutto fossero stati effettivamente “liberati”.
Gli americani, ricordava un combattente della resistenza, “ macchiarono la loro reputazione comportandosi come se fossero in un paese conquistato “. Alcuni consideravano questa seconda occupazione peggiore della prima.
“La Francia per gli americani, come per i tedeschi, non è altro che Parigi e le donne”, osservò un altro francese, facendo notare che c’era poca differenza fra il soldato americano medio e quello tedesco.
Le donne francesi che lavoravano come prostitute ricordavano persino i loro clienti tedeschi con un quasi sentimento di affetto. I soldati americani volevano di più del solo sesso. “Con quei bastardi dovevi tenere d’occhio il portafoglio” ricordava una signora. “ E’ triste dirlo ma mi mancavano i miei tedeschi che con le donne erano più gentili. Io non sono l’unica a dirlo. Tutte le altre donne la pensano come me, solo che non sempre lo dicono “.
Alcune prostitute furono persine ammazzate dai soldati americani. Oltre a Elisabeth, a Parigi, un’altra fu accoltellata 29 volte all’addome, mentre una donna chiamata Marie fu uccisa perché si rifiutava di farsi sodomizzare.
Abbondavano i racconti con storie particolarmente orribili, inclusa quella di una ragazza fatta a pezzi e il cui corpo fu poi stuprato.
Agli occhi di molti americani le donne francesi non erano altro che sigarette, qualcosa che ricevi nelle tue razioni e che puoi condividere in giro. Non c’era da stupirsi che le malattie veneree imperversavano, ma le alte sfere americane erano più preoccupate della salute dei “loro ragazzi” per il rischio di infettare le loro fidanzate in patria, che non della salute delle donne francesi.
Gli ospedali erano pieni di donne con malattie veneree e molte di loro venivano mandate da un ospedale all’altro perché non c’era posto per loro.
La Prof.ssa Roberts scrive: “ Una popolazione senza tetto, indesiderata di donne malate scarrozzate di città in città. Queste prostitute compromettono l’eredità dell’occupazione americana in Normandia “.
Ma la peggiore eredità era, ovviamente, lo stupro e ciò che più stupisce è che le autorità americane fecero molto poco.Sebbene venissero distribuiti dei manifesti a titolo educativo dal titolo “ Diamo un’occhiata allo stupro “, esse non fecero niente per attenuare il desiderio dei soldati di aggredire sessualmente coloro che si supponeva avrebbero dovuto liberare dall’oppressione.
Comunque era necessario fare un po’ di giustizia ma anche questa iniziativa lasciò il tempo che trovò. Dei 152 uomini processati per stupro, 139 erano “negri”.
Pare che l’esercito americano tendesse a trattare i soldati neri come capro espiatorio e a bollarli come “ipersessuali” e quindi più propensi allo stupro.
Le corti marziali erano spesso dei tribunali illegali, con uomini mandati al patibolo condannati con prove fragilissime e processati da ufficiali con poca o niente esperienza legale.
Alle vittime francesi veniva chiesto di identificare i loro assalitori in mezzo ad interi battaglioni di soldati neri, sebbene gli stupri avvenivano spesso in stanze poco o per niente illuminate.
Inoltre, un’altra sgradevole verità, è che molte donne francesi erano razziste tanto quanto gli ufficiali americani. In tutte le parti si disseminava la paura che una specie di “terrore nero” si sarebbe scatenato sulle donne in Normandia ed era fin troppo facile addebitare un crimine ad un soldato nero piuttosto che ad un bianco.
Inoltre, alcune donne francesi sostenevano di essere state violentate piuttosto di ammettere di aver fatto sesso consenzienti ed alcune prostitute minacciavano un accusa di stupro in modo da estorcere più denaro ad un soldato americano.
La liberazione del loro paese fu quindi un affare dolce-amaro per i francesi. I crimini perpetrati dagli americani sulle donne intaccarono profondamente gli uomini francesi che si sentivano evirati dagli americani. Questi erano più grossi, più forti, più ricchi e più sani e non avevano trascorso anni ad essere sottomessi e obbligati a servire sotto il tallone dello stivale tedesco.
Come dimostra la Prof.ssa Roberts, sebbene a noi piaccia considerare gli uomini che liberarono l’Europa come membri della “più grande generazione” e che gli Alleati combatterono una “buona guerra”, la vera storia è molto più complicata e scomoda.
Ancora oggi ci saranno donne anziane sedute sull’altra sponda della Manica che chiudono i loro occhi quando sentono la parola “liberazione”.
What Soldiers Do: Sex and the American GI in World War II in France (Ciò che I soldati fanno: il sesso e I soldati americani nella Seconda Guerra Mondiale in Francia) di Mary Louise Roberts, pubblicato dalla University of Chicago Press, al prezzo di 21 Sterline.
In totale si stima che circa 14.000 donne furono stuprate dai soldati americani nell’Europa Occidentale dal 1942 al 1945. In Francia 152 soldati americani furono processati e di questi, 29 furono impiccati.
Ma le statistiche non rivelano tutta la storia. Ci furono senza dubbio migliaia di stupri in Francia, molte dei quali non vennero denunciati dalle vittime le quali non erano disposte a vivere le ingiuste e tremende stigmatizzazioni che tali violenze portavano con sé il quei giorni.
Ma perché gli americani violentavano i loro alleati? Per il soldato medio, la Francia era tanto un “avventura erotica” quanto una spedizione militare e la guerra fu, in parte, “venduta” ai soldati di leva come un’opportunità per conoscere donne francesi attraenti.
Molti dei padri di quei soldati erano stati in Francia durante la Prima Guerra Mondiale ed erano ritornati con scandalosi racconti sulla presunta licenziosità delle donne francesi. I loro figli, di nuovo laggiù a combattere, consideravano la Francia come un gigantesco bordello, con migliaia di ragazze nubili francesi disposte a essere possedute da virili soldati.
Come giustamente osserva la Prof.ssa Roberts, il soldato medio non aveva alcun attaccamento emotivo al popolo francese o alla causa della sua libertà.La Roberts scrive: “ Le donne della Normandia denunciarono un’ondata di accuse di violenze carnali contro i soldati americani, minacciando di distruggere la fantasia erotica nel cuore dell’operazione. Lo spettro dello stupro trasformò il soldato americano da guerriero-salvatore a intruso violento “.
Fu particolarmente intaccato negativamente il porto di Le Havre. Un cittadino scrisse al sindaco della città, Pierre Voisin, lamentandosi per i “crimini di ogni tipo commessi giorno e notte”. Disse che i soldati americani “attaccavano, rubavano sia nelle strade che nelle nostre case e che era in sostanza un regime di terrore imposto da banditi in divisa”.
Ma il problema più grave era il sesso. I soldati americani copulavano con qualsiasi donna francese potevano avere per le mani, consenziente o meno e ciò che era peggio è che lo facevano in pubblico.
“ Queste cose succedono alla luce del sole, davanti a bambini e ad altre persone che si trovano sul posto “, disse un civile.
Urinano contro i muri e nei corridoi “ notò con disgusto un testimone, “ e saltano addosso ad ogni donna che vive da quelle parti “.
Ciò che era peggio per i francesi era il fatto che gli americani erano le stesse truppe che avevano devastato le loro città con bombardamenti aerei e bombardamenti di sbarramento di artiglieria.
Molti francesi sentivano, e a ragione, che le loro città erano state distrutte senza alcun bisogno, in una dimostrazione di forza machista americana.
Si stima che nella battaglia di Normandia siano stati uccisi 20.000 civili e nella sola Le Havre 3.000 avevano perso la vita. Funzionari arrabbiati fecero rilevare che mentre venivano estratti dalla macerie migliaia di francesi, di tedeschi morti non sene trovava più di una decina.
Con gli stupri ed i bombardamenti era perciò comprensibile perché molti francesi si chiedevano se dopo tutto fossero stati effettivamente “liberati”.
Gli americani, ricordava un combattente della resistenza, “ macchiarono la loro reputazione comportandosi come se fossero in un paese conquistato “. Alcuni consideravano questa seconda occupazione peggiore della prima.
“La Francia per gli americani, come per i tedeschi, non è altro che Parigi e le donne”, osservò un altro francese, facendo notare che c’era poca differenza fra il soldato americano medio e quello tedesco.
Le donne francesi che lavoravano come prostitute ricordavano persino i loro clienti tedeschi con un quasi sentimento di affetto. I soldati americani volevano di più del solo sesso. “Con quei bastardi dovevi tenere d’occhio il portafoglio” ricordava una signora. “ E’ triste dirlo ma mi mancavano i miei tedeschi che con le donne erano più gentili. Io non sono l’unica a dirlo. Tutte le altre donne la pensano come me, solo che non sempre lo dicono “.
Alcune prostitute furono persine ammazzate dai soldati americani. Oltre a Elisabeth, a Parigi, un’altra fu accoltellata 29 volte all’addome, mentre una donna chiamata Marie fu uccisa perché si rifiutava di farsi sodomizzare.
Abbondavano i racconti con storie particolarmente orribili, inclusa quella di una ragazza fatta a pezzi e il cui corpo fu poi stuprato.
Agli occhi di molti americani le donne francesi non erano altro che sigarette, qualcosa che ricevi nelle tue razioni e che puoi condividere in giro. Non c’era da stupirsi che le malattie veneree imperversavano, ma le alte sfere americane erano più preoccupate della salute dei “loro ragazzi” per il rischio di infettare le loro fidanzate in patria, che non della salute delle donne francesi.
Gli ospedali erano pieni di donne con malattie veneree e molte di loro venivano mandate da un ospedale all’altro perché non c’era posto per loro.
La Prof.ssa Roberts scrive: “ Una popolazione senza tetto, indesiderata di donne malate scarrozzate di città in città. Queste prostitute compromettono l’eredità dell’occupazione americana in Normandia “.
Ma la peggiore eredità era, ovviamente, lo stupro e ciò che più stupisce è che le autorità americane fecero molto poco.Sebbene venissero distribuiti dei manifesti a titolo educativo dal titolo “ Diamo un’occhiata allo stupro “, esse non fecero niente per attenuare il desiderio dei soldati di aggredire sessualmente coloro che si supponeva avrebbero dovuto liberare dall’oppressione.
Comunque era necessario fare un po’ di giustizia ma anche questa iniziativa lasciò il tempo che trovò. Dei 152 uomini processati per stupro, 139 erano “negri”.
Pare che l’esercito americano tendesse a trattare i soldati neri come capro espiatorio e a bollarli come “ipersessuali” e quindi più propensi allo stupro.
Le corti marziali erano spesso dei tribunali illegali, con uomini mandati al patibolo condannati con prove fragilissime e processati da ufficiali con poca o niente esperienza legale.
Alle vittime francesi veniva chiesto di identificare i loro assalitori in mezzo ad interi battaglioni di soldati neri, sebbene gli stupri avvenivano spesso in stanze poco o per niente illuminate.
Inoltre, un’altra sgradevole verità, è che molte donne francesi erano razziste tanto quanto gli ufficiali americani. In tutte le parti si disseminava la paura che una specie di “terrore nero” si sarebbe scatenato sulle donne in Normandia ed era fin troppo facile addebitare un crimine ad un soldato nero piuttosto che ad un bianco.
Inoltre, alcune donne francesi sostenevano di essere state violentate piuttosto di ammettere di aver fatto sesso consenzienti ed alcune prostitute minacciavano un accusa di stupro in modo da estorcere più denaro ad un soldato americano.
La liberazione del loro paese fu quindi un affare dolce-amaro per i francesi. I crimini perpetrati dagli americani sulle donne intaccarono profondamente gli uomini francesi che si sentivano evirati dagli americani. Questi erano più grossi, più forti, più ricchi e più sani e non avevano trascorso anni ad essere sottomessi e obbligati a servire sotto il tallone dello stivale tedesco.
Come dimostra la Prof.ssa Roberts, sebbene a noi piaccia considerare gli uomini che liberarono l’Europa come membri della “più grande generazione” e che gli Alleati combatterono una “buona guerra”, la vera storia è molto più complicata e scomoda.
Ancora oggi ci saranno donne anziane sedute sull’altra sponda della Manica che chiudono i loro occhi quando sentono la parola “liberazione”.
What Soldiers Do: Sex and the American GI in World War II in France (Ciò che I soldati fanno: il sesso e I soldati americani nella Seconda Guerra Mondiale in Francia) di Mary Louise Roberts, pubblicato dalla University of Chicago Press, al prezzo di 21 Sterline.
Il famigerato campo di concentramento alleato "R. Civilian Internee Camp" di Collescipoli (Terni)
La struttura si suddivideva in tre campi di concentramentp per prigionieri. Il principale organizzato nello stabilimento SAIGA mentre i due satelliti furono ricavati uno dallo stabilimento SPEA e l'altro da un campo militare. Nel campo principale fu detenuta dal 2 maggio 1945 Donna Rachele Guidi moglie di Benito Mussolini con i figli Anna Maria e Romano Mussolini.
Nicoletta de Terlizzi, prigioneria nel "R. Civilian Internee Camp" di Collescipoli (Terni), venne uccisa il 29 agosto 1944, sotto gli occhi delle sue compagne allibite soltanto perché si era sdegnosamente rifiutata di andare a ballare con un soldato inglese. Un campo di concentramento dove accadevano spesso episodi di violenza contro i prigionieri, organizzato in una area industriale dismessa. "Per punizione un colonnello polacco amico degli inglesi che si era costruito un campo ostacoli per cavalcare, si divertiva con una lunga frusta da maneggio a far correre ai ragazzi italiani gli stessi ostacoli dei suoi cavalli" (Dalla lettera che la principessa Pignatelli scrisse verso la fine del 1949 a David Rousset).
Ritratto di Gasparri tra i sayanim
Un lettore segnala che il programma di RAI3 Report ha reso noto quanto segue: Maurizio Gasparri, l'ex ministro delle telecomunicazioni, risulta direttore di una società israeliana di telecomunicazioni, la Telit. Che dire? Pare proprio vero.Uno sguardo al management della Telit: nonostante la sede a Trieste, è integralmente israeliana.
Il presidente si chiama Avigdor Kelner, un colonnello dell'armata israeliana che è stato ai vertici della Azorim Investment, una immobiliare sionista, ed è nel board della Ben Gurion University. Oozi Cats è il direttore esecutivo, Avi Israel il direttore finanziario, Inbal Barak-Etzion la sub-direttrice finanziaria; poi ci sono una sequela di direttori non-esecutivi.
E lì, tra un David Denholm (ex banca Warburg) e un Andrea Giorgio Mandel-Martello (altro Warburg), fra un Davidi Piamenta (che viene dalla Israeli Air Force), un Yossi Moskovitz e una Ali Ronnen, compare effettivamente la faccetta di Maurizio Gasparri.
Quasi unico goy fra tanti eletti. Come direttore, ma attenzione, «non esecutivo».
E' importante: infatti la didascalia che accompagna la foto non fa che prendere le distanze da se stessa.Si sforza di dire: sono qui, ma non ci sono.«Mister Gasparri non è attualmente direttore o partner, né è stato direttore o partner negli ultimi cinque anni di alcuna azienda o compartecipazione». Ma allora perché sta lì, con foto, tra i direttori Telit?A fare che?Apparentemente non fa niente, anzi nemmeno c'è fra quei colonnelli e aviatori di Tsahal.Ma si vede che a qualcosa serve pure un Gasparri.A che cosa? Il nome della Telit è saltato fuori nelle deposizioni di Marco Bernardini, agente del SISDE e principale testimone nell'inchiesta sulle intercettazioni Telecom.Bernardini ha detto che la notizia delle indagini della Kroll su Tronchetti Provera originava, attraverso una trafila di confidenti, da tale «Frascà, ex funzionario Telecom passato alla Telit, un'azienda rilevata dall'IMI, Industria Militare Israeliana».Che gli israeliani siano all'ascolto di telefoni e telefonini italiani risulta molto chiaro dalle deposizioni sullo scandalo Telecom.Fabio Ghioni, esperto informatico della sicurezza Telecom, racconta che Guglielmo Sasinini, ex giornalista di Famiglia Cristiana era diventato consulente-spia per Telecom. Sasinini, dice Ghioni, vantava «contatti diretti coi servizi segreti israeliani, di cui parlava come se fossero i suoi capi occulti» (interrogatorio del 13 marzo 2007).Sasinini e Tavaroli andavano spesso in Israele.
E a questo proposito Ghioni pronuncia il nome della Converse Technologies, azienda israeliana che offriva a Telecom apparati per intercettazione.«Svolsi una ricerca su tale azienda e scoprii che era stata creata dal Mossad».
Non basta: come ha scritto Il Corriere, «La Converse Technologies torna in scena anche in un altro episodio raccontato da Ghioni, la discussa uccisione di un giovane brasiliano da parte della polizia londinese, subito dopo gli attentati dell´11 luglio. 'Scoprii anche che (la Converse Technologies ndr) era stata coinvolta in alcuni scandali negli Stati Uniti che riguardavano le intercettazioni e che dopo queste vicende si è ripresentata sul mercato con
il nome Verint. In tale veste aveva fornito le telecamere all'azienda che gestisce la sorveglianza della rete delle metropolitane a Londra. Rammento che in occasione della morte di un cittadino brasiliano ucciso dalla polizia di Londra perché ritenuto un terrorista, le videocamere fornite da quell'azienda hanno fatto registrare un black out per asserita manutenzione proprio nei minuti in cui il brasiliano veniva soppresso'».Dunque la Comverse, oggi Verint, gestisce le telecamere di sorveglianza nella metropolitana di Londra: guarda guarda. E dopo l'attentato del luglio 2005, è la Converse che ha fornito le immagini
dei quattro «terroristi» (poveracci ignari, probabilmente convinti di essere parte di una esercitazione) mentre entrano nel metrò con lo zaino in spalla.Così è stato chiaro che erano loro, quei musulmani malvagi.Invece, il giorno in cui i commandos di Scotland Yard ammazzano a bruciapelo un innocente brasiliano, la Converse ha un black-out delle sue telecamere.Insomma, la Converse ha le mani in pasta in parecchi attentati sporchissimi,
false flag.Soprattutto, il nome dell'azienda israeliana è stato fatto insieme ad un'altra (Amdocs, pure israeliana) durante le prime indagini seguite all'11 settembre.In USA.
La Fox News (2) disse allora che la Converse, emanazione dei ministeri israeliani, forniva gli apparati di intercettazione automatica alla polizia giudiziaria americana, per le indagini su sospetti. E che l'FBI aveva denunciato la Converse come la possibile fonte di «fughe» di informazioni raccolte al telefono da ignari agenti di polizia; fughe che avevano fatto naufragare diverse azioni di controspionaggio e non solo, ma anche operazioni contro la criminalità comune, specie gli spacciatori di droga della mafia ebraica.
Proprio in seguito a queste denunce, la Converse ha cambiato nome in Verint.Quanto alla Amdocs, ha in USA appalti colossali: provvede alla tariffazione e alle bollette delle maggiori compagnie telefoniche americane, che servono nel complesso il 90% delle utenze.Il bello è che il computer centrale della Amdocs per le tariffazioni si trova fisicamente in Israele.E per sua natura consente di fare a qualche servizio segreto che ne ha l'accesso ciò che gli spioni chiamano «analisi del traffico», l'identikit di qualunque persona in base alle telefonate che fa e riceve.Indovinate il nome del servizio segreto in questione.E la Telit c'entra qualcosa con tutto questo?A no, questo no.La Telit, diretta dal colonnello Kelner, è pulitissima.Nel suo sito, vanta di essere la pioniera della tecnologia «m2m», «machine to machine».
Una tecnologia che «consente comunicazione automatica tra una macchina e una centrale, o tra macchine distanti», consentendo «sorveglianza e controllo in tempo reale e senza controllo umano», e il tutto «wireless», senza fili, coi cellulari.
Il sito della Telit fa qualche esempio: auto fornite della tecnica «m2m» mandano un messaggio silenzioso a una centrale di pezzi di ricambio, per dire quale pezzo hanno bisogno di sostituire. Oppure: macchine di bibite a moneta avvisano da sé la centrale che è finita la Coca Cola.Tutto a distanza, senza intervento umano, anzi senza che nessuno lo sappia.Non è difficile immaginare altre e più mirabolanti applicazioni della «m2m».Un telefonino Telit può dire dove siete e con chi parlate, a vostra insaputa, avvertendo la «centrale».Un telefonino Telit, se l'avete in tasca, dice tutto di voi alla centrale.Un telefonino Telit può persino guidare un missile intelligente sull'auto corazzata di un dirigente di Hamas, di cui «la centrale» sa in tempo reale l'ubicazione perché nell'auto c'è nascosto un chip «m2m».
Magari, anche Calipari aveva un «2m2» nascosto da qualche parte nella macchina.Mica per niente si chiamano «smartphones», telefoni furbi.
Personalmente, inclinerei a non comprare mai un cellulare Telit, o una scheda Telit, o un aggeggio che si chiami «smartphone» e che vanti una tecnologia «m2m».E inviterei i lettori a fare altrettanto.Sì, tutti i telefonini che abbiamo in tasca ci tradiscono: al bisogno, la
polizia sa dai tabulati dove ci trovavamo (in quale «cellula») quella tal ora e con chi parlavamo.Ogni alibi falso diventa insostenibile.Ma dove si trova la «centrale» a cui i cellulari Telit, stanno parlando di noi a nostra insaputa?
Ad Haifa?Tel Aviv?
Va a sapere.
Anche Maurizio Gasparri, il nostro servizievole ex-ministro, dovrebbe guardare meglio dentro il telefonino che ha avuto sicuramente in omaggio.Perché sicuramente ha avuto un omaggio; l'unico, perché certo non viene pagato dalla Telit.
Come pagare un direttore non-esecutivo, che per di più, nella didascalia che lo indica come direttore, dice di non essere direttore?Come si fa a pagare uno che è lì solo per figura o copertura?Lui stesso, Gasparri, il non-esecutivo, non vorrebbe compensi per non-eseguire alcunchè.
E ciò gli fa onore.Anche se questa gratuità lo mette nel novero dei «sayanim».La parola ebraica che, nel gergo del Mossad, significa «aiutanti», designa tutti quei normali cittadini italiani, francesi, spagnoli, inglesi o tedeschi che - in quanto ebrei - sono pronti ad aiutare il Mossad nelle sue operazioni all'estero.Un medico che cura l'agente professionale ferito.
Un albergatore che lo ricovera senza registrarlo.Un funzionari che fornisce documenti.
Un banchiere o bancario che procura contanti anche in piena notte.Un altro che ricovera in case «sicure» i kidon (le squadre di assassinio) che stanno preparando un colpo all'estero.
Per questo il Mossad funziona benissimo con pochissimo personale professionale; ha decine di migliaia di agenti dilettanti, avventizi e volontari che coprono, aiutano e non fanno domande.Né chiedono un solo shekel di paga: tutto gratis, per amore di Giuda, con la
soddisfazione di fregare quei cretini di goym.
I sayanim, appunto. Gasparri è uno dei sayanim?Quando si è Gasparri, si può esserlo senza nemmeno saperlo. Può succedere anche questo, nella nostra Italia. La nostra cara Cretinopoli.
Maurizio Blondet
1) Si veda il sito: http://www.telit.com/content. asp?pageId=188.
2) Fu il giornalista Carl Camerson a rivelare i fatti. La sua inchiesta è
stata cancellata subito dopo dal sito della Fox. Il senatore Bob Graham,
della Commissione Intelligence, dopo aver potuto vedere documenti segreti
sull'11 settembre, disse: «C'è la prova molto convincente che almeno alcuni
dei terroristi [di Al Qaeda] sono stati aiutati, non solo con denaro, da un
governo straniero. ciò diverrà di dominio pubblico in futuro quando saranno
aperti gli archivi, ma solo tra 20 o 30 anni». «I think there is very
compelling evidence that at least some of the terrorists were assisted not
just in financing - although that was part of it - by a sovereign foreign
government... It will become public at some point when it's turned over to
the archives, but that's 20 or 30 years from now». Questo governo straniero
non può essere un regime islamico, altrimenti la sua complicità non sarebbe
stata sepolta negli archivi per 30 anni; sarebbe stata gridata sulle piazze
globali da tutti i media.
2) Fu il giornalista Carl Camerson a rivelare i fatti. La sua inchiesta è
stata cancellata subito dopo dal sito della Fox. Il senatore Bob Graham,
della Commissione Intelligence, dopo aver potuto vedere documenti segreti
sull'11 settembre, disse: «C'è la prova molto convincente che almeno alcuni
dei terroristi [di Al Qaeda] sono stati aiutati, non solo con denaro, da un
governo straniero. ciò diverrà di dominio pubblico in futuro quando saranno
aperti gli archivi, ma solo tra 20 o 30 anni». «I think there is very
compelling evidence that at least some of the terrorists were assisted not
just in financing - although that was part of it - by a sovereign foreign
government... It will become public at some point when it's turned over to
the archives, but that's 20 or 30 years from now». Questo governo straniero
non può essere un regime islamico, altrimenti la sua complicità non sarebbe
stata sepolta negli archivi per 30 anni; sarebbe stata gridata sulle piazze
globali da tutti i media.
Contro il sostituzionismo
Qual è il contrario della Grande Sostituzione? Qual è la buona ragione, in fin dei conti, affinché sia un popolo e non un altro a dover vivere in un dato territorio? Non è forse vero, come ci ripetono le élite immigrazioniste, che nessuno di noi è originario o autoctono, che le radici possono essere “decostruite”, che l’identità è un’illusione?
Il sostituzionismo è come un Dio terribile per cui tutti gli uomini sono uguali e intercambiabili, dato che gli sono indifferenti. Il contrario del sostituzionismo è non solamente l’identità, ma il carattere “insostituibile” degli individui e dei popoli. L’esilio ha una sua nobiltà tragica e metafisica, certo, ma non c’è esilio che a partire da un fondo di appartenenza. È la propaganda cosificante che pretende di decostruire l’essere. Amo più la morale de I nutrimenti terrestri, di Gide: “Non legarti in te se non a ciò che senti non essere altrove che in te stesso, e crea di te, impazientemente o pazientemente, ah! il più insostituibile degli esseri”.
La Patria ? "Dio creandola sorrise"
di Giuseppe Mazzini
La patria è la fede nella patria. Dio che creandola sorrise sovr'essa, le assegnò per confine le due più sublimi cose ch'ei ponesse in Europa, simboli dell'eterna forza e dell'eterno moto, l'Alpi e il mare. Dalla cerchia immensa dell'Alpi, simile alla colonna di vertebre che costituisce l'unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaie che si stende sin dove il mare la bagna e più oltre nella divelta Sicilia. E il mare la ricinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque l'Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d'anime parlan d'Italia.
Le divise eleganti e futuriste di Hugo Boss
Hugo Boss è nato In
una calda estate del 1885 a Metzingen, una piccola cittadina
a sud di Stoccarda, nella provincia del Baden-Württemberg.
Al raggiungimento dell’età
scolare, i genitori, piccoli commercianti proprietari di un negozio
di tessuti, lo iscrissero alla scuola del popolo
(Volksschule) e dopo al ginnasio. Il giovane Boss affinò il
mestiere, dedicandosi per tre anni allo studio degli affari
commerciali. Il suo primo lavoro lo portò in una fabbrica tessile a
Metzingen. Dopo il servizio militare tornò a lavorare al telaio, ma stavolta a Costanza. Dopo la
morte dei genitori nel 1908, Hugo ereditò il laboratorio di famiglia e
lo stesso anno sposò Anna Katharina Freisinger, che non molto tempo
dopo gli diede una bambina. Erano gli anni della Prima guerra
mondiale e Hugo vi partecipò con il grado di caporalmaggiore. Nel
1923 coronò finalmente il sogno di aprire una propria fabbrica di
abbigliamento sportivo nella sua città natale.
Lo stilista Hugo Boss |
Erano gli anni in cui la Germania era stata ridotta alla fame dalle dure misure, contenute nel disastroso Trattato di Versailles, volute soprattutto dagli Inglesi, che minarono profondamente, insieme alla iper inflazione e agli effetti della Grande Depressione la stabilità dell’economia tedesca, bruciando i risparmi personali della classe media e provocando una massiccia disoccupazione. L’azienda di Hugo Boss seguì la sorte della maggior parte delle imprese tedesche e finì sull’orlo del fallimento fino
al 1931, quando Hugo, con sole sei macchine da cucire, si trovò costretto a
ricominciare gli da zero.
Con le restrizioni imposte alla nazione sulla produzione di abbigliamento, Boss stabilì il suo commercio nella produzione di uniformi e divise da lavoro, gli unici prodotti che le restrizioni risparmiavano, assicurando che la produzione potesse proseguire.
Adolf Hitler divenne Cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933. “La miseria del nostro popolo è terribile da contemplare!”, disse Hitler nel suo discorso inaugurale.Alla fine del 1935 la disoccupazione in Germania non esisteva più. Nel 1936 gli alti profitti facevano già salire i prezzi o rendevano possibile alzarli. Alla fine degli anni ’30, la Germania era un paese a piena occupazione e con prezzi stabili. Si trattò, nel mondo industrializzato, di un risultato assolutamente unico. In soli tre anni Adolf Hitler aveva risollevato l'economia tedesca, questo convinse Hugo Boss ad
abbracciare le idee del partito nazional socialista, si iscrisse al Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi con la tessera no. 508889. Hugo Boss iniziò a creare le uniformi per le SA (Sturmabteilung,
Squadre d’assalto), le SS (Schutz Staffeln, Squadre di protezione)
e la Gioventù hitleriana (Hitler-Jugend). Il suo stile e i suoi soavi disegni durante questo periodo diventarono leggendari. La produzione crebbe a tal punto che Boss
dovette assumere altri cento operai nella sua fabbrica. Con la
dichiarazione della Seconda guerra mondiale, ricevette poi l’ordine
dalla Wermacht di disegnare le uniformi militari.
Pubblicità della Hugo Boss |
Hugo
Boss ricevette il compito di creare i modelli per le SS Totenkopf, la
3° Divisione corazzata delle SS. È
curioso notare come fino dalla prima guerra mondiale le divise fossero conformi ai
teatri di guerra, mentre l’estro di Boss le volle nere, mentre le uniformi delle
unità di combattimento delle SS-Verfügungstruppe (S-VT) e, più
tardi, delle Waffen-SS, furono invece soggette alle sfumature del
grigio e del verde, il camouflage tuttora adottato dalle mimetiche tedesche. Oltre alle cuciture perfette, il taglio complesso, una
linea elegante e di stile, Boss pose particolare attenzione ai
dettagli e agli accessori: stivali, pugnali, copricapi, baschi,
intarsi ed emblemi come la foglia di quercia e le aquile.
Tuttavia, per evitare il riconoscimento del rango militare, la
scrupolosa cura dei particolari scomparve dalle divise nere dei
tedeschi inviati sul Fronte orientale. Anche le mimetiche usate nel Sud Europa e nel
Nord Africa erano creazioni di Hugo Boss. Profondamente ispirate allo
stile italiano e con l’aggiunta di applicazioni tessutali per i
feriti in guerra, la camicia aveva le maniche corte e spesso al posto
del basco veniva indossato l’elmetto. Per il freddo, invece,
abbigliamento mimetico prevedeva calde fodere e interessanti
soluzioni per il fissaggio delle giacche a vento. A volte a cena non
era richiesto di indossare l’uniforme. Veniva allora sostituita dal
frac ma sprovvisto di “coda” (l’odierno tight), un papillon
bianco o nero e un gilet. I risvolti erano rigorosamente in seta
pregiata, mentre l’appartenenza al rispettivo grado militare si
esprimeva nei tipici nastri d’argento cuciti sul colletto. E' quindi al genio di Hugo Boss che si deve la straordinaria modernità delle divise dell'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, stile e accorgimenti poi copiati da numerosi eserciti contemporanei, a partire da quello americano.
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