Meglio una dittatura sovrana che una democrazia serva


Il discorso su democrazia e dittatura, lungi dalla solita e perenne retorica dei testi universitari o dei dialoghi televisivi sulla partecipazione pubblica alla vita dello Stato (ridotta ad un gesto banale come quello di fare una croce su un prodotto elettorale), è essenziale per emanare giudizi meno superficiali sui nostri tempi. Che non sono più quelli in cui Churchill poteva affermare, con una battuta, che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. La democrazia è, a questo punto occorre dirlo, una forma di governo modellata sulla prepotenza di un Paese e dei suoi vassalli, che si impone a suon di mazzate e con sempre meno infingimenti su chi non ne accetta il dominio. La democrazia ha gettato la maschera da qualche decennio, diciamo da quando le sfide internazionali hanno alzato la posta in palio, modificando lentamente i rapporti di forza geopolitici, redistribuendo gli equilibri, per ora a livello regionale ma con una tendenza allo scontro crescente tra attori politicamente e militarmente sempre più aggressivi su tutto il planisfero. La pantomima democratica non funziona più nemmeno nei paesi che la sperimentano da lungo tempo, tanto che i gruppi dirigenti, sedicenti democratici, devono ricorrere ad astuzie aggiuntive per riportare le loro pubbliche opinioni alla “ragione” della libertà. Basta vedere il tradimento del responso referendario sulla Brexit. Epitomando: il popolo non è sovrano per niente, in democrazia o in qualsiasi altro sistema politico. Il popolo deve pensare con le idee che altri in alto elaborano mettendogliele in testa e non ha mai coscienza, se non labile, dei veri obiettivi di chi ne condiziona i convincimenti. In altra sede, La Grassa ha scritto che le parti in lotta, anche se sono passate dal voto, in realtà non si fanno eleggere per servire la popolazione, in quanto
“sono strutturate e hanno precisi vertici di comando, tesi a dati (ma non dichiarati) obiettivi di conquista dei posti chiave nelle sfere degli apparati politici, economici e ideologico-culturali. La loro lotta deve ovviamente nascondere gli effettivi intenti di mera conquista del potere (del tutto, o quasi, per quei tot anni) dietro la menzogna degli interessi generali della popolazione, con magari una particolare predisposizione per questo o quel raggruppamento sociale, i cui voti siano preferibilmente “inseguiti” da questo o quel vertice delle parti in lotta, che si ritiene particolarmente organizzato a tale scopo (si pensi, ad es., ai “sindacati dei lavoratori”, organismi fortemente centralizzati, che appoggiano dati partiti). Bando dunque, per favore, alle pantomime sulla “democrazia” come governo del popolo, questo concetto del tutto astratto e il più fortemente ideologico di ogni altro, nel preciso senso di ideologia come falsa coscienza: quella indotta nei cittadini, non quella dei vertici di potere, che se ne servono con notevole consapevolezza dell’inganno da loro perpetrato. Inoltre, e questo è per me decisivo nel deprezzare ogni presunta democrazia elettorale, i cittadini vengono invitati a eleggere questo o quello senza alcun particolare impegno e rischio che non sia l’andare al voto, magari perfino rinunciandoci talvolta se il tempo è particolarmente brutto o invece specialmente bello per andarsene in vacanza, ecc. In altri assai meno miserabili contesti, i cittadini, e facendo magari specificatamente appello alla loro appartenenza a dati gruppi sociali, vengono chiamati alla vera lotta mediante ben altre ideologizzazioni, che sollecitano a volte la loro ira e sempre la speranza di un futuro migliore, perfino l’intelligenza di una decisa fuoriuscita da condizioni di oppressione e di miseria (non solo materiale), ecc”. In casi come questi, gli sciocchi (o qualcosa di peggio a volte) liberali affermano che si va verso la “dittatura”; perché la lotta può farsi cruenta e portare un dato gruppo al vertice della società, per di più rappresentato da un “capo”. In questi casi, però, masse imponenti di esseri umani (senza che si possa calcolare se rappresentano il 50% + 1 della popolazione, per di più quella al di sopra di una data età) si muovono anche a rischio della loro vita, danno il meglio di se stessi, non vanno a bighellonare nei seggi elettorali. Affermo con decisione che questa situazione è mille volte più “democratica” dell’altra. E la “dittatura” è solo nella testa di chi ci rimette, in casi come questi, l’intero suo potere di spremere quella gran massa popolare per i suoi bassi interessi, senza bisogno della benché minima ideologia di supporto: ideologia non come falsa coscienza, bensì come forte credenza che qualcosa di meglio possa essere conquistato. Senza dubbio, in casi del genere viene in evidenza la crudezza dei moti “di massa” e spesso tante altre miserie, perché in simili contingenze s’insinua nel movimento un po’ di tutto; tuttavia, ripeto che chi si muove in tale contesto rischia qualcosa di suo (fino appunto alla pelle). Tale situazione è mille volte migliore della falsa, miserabile, spenta, “democrazia” elettorale dei sedicenti liberali”.
Il democratificio è una fabbrica del potere che produce un certo tipo di funzioni, autolegittimandosi ex-post tramite una volontà generale, chiamata ad esprimersi periodicamente su dei candidati, alla quale si dà la sensazione di entrare nel processo decisionale mentre è già tutto prestabilito da una superiore visione, invisibile agli occhi. On n'échappe pas de la machine. Rancière scriveva: “Le elezioni sono libere. Servono essenzialmente ad assicurare la riproduzione del medesimo personale dominante sotto etichette intercambiabili, ma le urne non sono in genere strapiene ed è possibile rendersene conto senza rischiare la vita. L’amministrazione non è corrotta, tranne in quegli affari di mercato pubblico dove finisce per confondersi con gli interessi dei partiti dominanti. Le libertà individuali sono rispettate, a prezzo di considerevoli eccezioni per tutto quello che riguarda la difesa delle frontiere e la sicurezza del territorio. La stampa è libera: chi voglia fondare, senza l’aiuto di potenze finanziarie, un giornale o una rete televisiva capace di raggiungere l’insieme della popolazione incontrerà serie difficoltà, ma non finirà in galera. I diritti di associazione, di riunione e di manifestazione permettono l’organizzazione di una vita democratica, cioè di una vita politica indipendente dalla sfera statale. Permettere è evidente mente una parola ambigua”. 
Gianfranco La Grassa, nel suo intervento, aggiunge un altro tassello alla questione democrazia vs dittatura. Quest’ultima non è una degenerazione della prima ma il risultato di un differente decisionismo nascente in contesti storici particolari in cui cincischiare con le “apparenze” democratiche può mettere a repentaglio certe prerogative sovrane a causa dell’infiltrazione di modelli culturali e politici non corrispondenti alle esigenze di recupero della potenza o di rafforzamento complessivo del Paese, in un clima di multipolarismo e policentrismo. In alcuni frangenti è possibile “parlamentare” data la stabilità epocale o in virtù di relazioni mondiali consolidate, in altri si deve agire tempestivamente badando al sodo. In ogni caso, il popolo non governa mai e mai governerà perché la politica è soprattutto serie di mosse strategiche, dunque coperte, segrete, per assumere la preminenza. Ora si lamentino pure i liberali che ululano contro i totalitarismi. La loro è solo una cultura del piagnisteo, per di più ipocrita perché la democrazia è altrettanto assassina, subdola, manipolante e intrigante (se cosi non fosse non esisterebbero i servizi segreti), che non commuove chi come noi, si spera, è avvezzo ad andare oltre le esteriorità ideologiche dei loro discorsi del piffero. Ebbene sì, meglio una dittatura che punta alla grandezza dello Stato che una democrazia asservita ad interessi stranieri.



Democrazia e dittatura, solo differente decisionismo.

Bella Ciao









                               
                               #patrioti Italiani contro l'americanizzazione dell'Occidente

SERVIZIO DI DIFESA NAZIONALE


                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
La creazione di un Servizio di Difesa Nazionale (SDN) della durata di alcuni mesi, a inquadramento militare, per tutti i cittadini italiani a partire dai 16 anni che risultino idonei sotto il profilo psico-fisico.

Il SDN dovrebbe assorbire il “Servizio Civile Nazionale”, istituito con L. 64/2001 su base volontaria, ed essere rivolto esclusivamente ad attività di pubblica utilità (assistenza, tutela ambientaleambiente, educazione e promozione culturalepatrimonio artistico e culturale, ecc.) ed a interventi di protezione civile a favore della popolazione in caso di calamità naturali o disastri provocati dall’uomo.
Lo scopo del servizio sarebbe quello di rafforzare il senso di appartenenza al Paese, ma anche di imparare il  rispetto delle regole della società e della vita di gruppo, e contribuire cosi alla formazione civica, sociale e   culturale dei giovani.
Tutto questo consentirebbe di riportare a galla importanti valori per le giovani generazioni, primo fra tutti quello di porsi al servizio di una società della quale sono parte integrante. I giovani d’oggi sono bravi ragazzi: curiosi, aperti agli insegnamenti e agli esempi positivi. Hanno bisogno di una guida onesta e sincera e di persone che sappiano trasmettere loro i giusti valori, soprattutto con la forza dell’esempio morale, intellettuale e pratico.
Secondo il “30° Rapporto Italia”, pubblicato a gennaio 2018 dall’Istituto Eurispes, il 67,8% degli Italiani (quasi 7 su 10!) è favorevole al ritorno dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole.

Lo stesso sondaggio evidenzia che nella graduatoria della fiducia degli Italiani verso le istituzioni svettano le Forze Armate, con un consenso che si attesta sul 70%, a testimonianza della fiducia che i cittadini ripongono verso i Militari e i loro valori fondanti, come modello cui ispirarsi.
Ovviamente, è imprescindibile la piena condivisione del progetto a livello interministeriale (Difesa, Interno, Economia, Lavoro, Educazione, Sport, Sanità, ecc.).
Tale condivisione interministeriale consentirebbe d’individuare le risorse finanziarie necessarie, di usufruire del Servizio Sanitario Nazionale (visite mediche) e di avvalersi delle strutture didattiche pubbliche per le attività propedeutiche.
L’eventuale SDN non potrebbe essere assolutamente assimilato al precedente servizio militare obbligatorio: deve piuttosto essere visto (e conseguentemente veicolato) come un’occasione di avviamento professionale che, attraverso specifici incentivi e agevolazioni, favorisca l’inserimento nel mondo del lavoro, pubblico e privato, e in tutto il vasto settore della difesa e della sicurezza, mediante l’attribuzione di un titolo di preferenza (es. un punteggio incrementale in un concorso pubblico).
Il Servizio nazionale non dovrebbe, inoltre, essere posto in contrapposizione/sostituzione alle Forze Armate basate su personale professionista, che continuerà ad assolvere i compiti istituzionali attualmente previsti:  i nostri soldati volontari sono, infatti, la risorsa più importante!
I militari professionisti potranno invece essere sostituti nelle attività in Patria meno professionali e specialistiche, come quelle di concorso in occasione di eventi naturali (rimozione macerie, riempimento sacchetti a terra, ecc.) o problemi urbani (rimozione immondizie, vigilanza nella “terra dei fuochi”, ecc.), e dedicarsi esclusivamente ai compiti tipici di una qualsiasi Forza Armata: prepararsi per difendere il proprio Paese e per tutelare gli interessi nazionali con le armi!
L’addestramento dovrebbe essere svolto in ambito regionale/provinciale, sotto direzione militare, con il concorso delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, articolato su tre momenti: un primo periodo di 15 giorni, senza vincoli di alloggio in strutture specifiche, per l’indottrinamento iniziale; un secondo di 15 giorni, con l’obbligo di alloggio, per favorire la coesione dei ragazzi; un terzo periodo, di alcuni mesi, per l’impiego a seconda delle esigenze.

I primi due periodi dovrebbero essere previsti al termine del 3° e 4° anno di scuola media superiore all’inizio delle vacanze estive, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro (200 ore), obbligatoria per tutti gli studenti e le studentesse degli ultimi tre anni delle superiori (legge n. 107 del 2015), mentre l’impiego vero e proprio dovrebbe avvenire dopo il 5° anno.
La formazione, inoltre, potrebbe essere implementata attraverso richiami brevi e scaglionati nel tempo (anche nei fine settimana) per non incidere sulla vita dei giovani.
L’addestramento dovrebbe essere concentrato prioritariamente su funzioni di soccorso, protezione civile, procedure di sicurezza e uso basilare delle armi, garantendo comunque la preparazione di base nel caso (assai improbabile ma teoricamente non impossibile) di una mobilitazione generale causata da una grave crisi internazionale che imponga il ripristino del servizio di leva.
Per soddisfare le varie esigenze, e tener conto dello spirito antimilitarista di una parte dell’opinione pubblica, i giovani potrebbero essere indirizzati, dopo i due periodi iniziali comuni, al servizio civile o militare, a seconda delle proprie aspirazioni e condizioni psico-fisiche (e per evitare sospetti di eccessiva militarizzazione della società).

Posto in questi termini, il Servizio di Difesa Nazionale assumerebbe i contorni di un servizio ausiliario allo stesso tempo moderno e in continuità con le tradizioni. Un provvedimento in grado di rispondere a una necessità educativa ben avvertita dalla società, avvicinare i giovani alle istituzioni e fornire loro quelle capacità basilari per la gestione delle emergenze e degli interventi di pubblica utilità,.con la creazione di un bacino di riservisti (da non confondere con la riserva selezionata) prontamente disponibile.
Da non dimenticare, infine, la possibilità di effettuare lo screening sanitario della popolazione giovanile, come avveniva in passato, che fornirebbe un quadro medico generale utile ai fini della prevenzione, diagnosi precoce e cura di varie malattie, perseguendo gli obiettivi di miglioramento delle condizioni di vita e creazione di risparmi per la sanità pubblica negli anni a venire.
Rimane da definire prioritariamente lo status giuridico di questi ragazzi e individuare le infrastrutture per il loro alloggiamento.

Per approfondire www.analisidifesa.it

I GERMANOFOBI SONO ANTI-ITALIANI


L'odio antitedesco, che possiamo anche chiamare germanofobia, non è diverso da quello antirusso o russofobo da noi rimproverato ai filo-americani, decisamente sovrabbondanti in casa nostra. Stranamente, si fa per dire, l'odio antitedesco ha qualcosa in comune con quello antirusso. Entrambi mettono in secondo piano lo strapotere statunitense in Europa, per scagliarsi contro i suoi effetti secondari o accidentali. Addirittura, qualcuno ha affermato che occorre approfittare della guerra commerciale di Trump all'Europa per liberarsi dal giogo crucco. Sciocchezze inenarrabili che solo teste povere e limitate potevano esitare. Dietro queste castronerie c'è però qualcosa di più sostanziale, attinente all'approccio teorico con cui si vorrebbe interpretare l'epoca storica: l'assurda convinzione che (uso il linguaggio con cui si esprimono tali decerebrati) il “turbocapitalismo, ormai finanziarizzato” sia l'ultimo stadio di un sistema globale “apolide e sradicante”. Simili definizioni generiche descrivono esclusivamente la pochezza del loro contenuto e sono profferite per impressionare più che per spiegare. Quando si accetta l'assunto che sia la finanza, con la sua volatilità, a dettare i tempi del mondo la dura realtà dei rapporti di forza evapora in una nebulosa indistinta nella quale non è più possibile raccapezzarsi, al fine di individuare i veri centri del potere (i quali sono fisici, armati, egemonici). Bisogna tornare con i piedi per terra, l'unico luogo dove è possibile praticare la teoria che non sta in cielo, come qualcuno crede, ma saldamente ancorata al terreno sociale. La sottosfera finanziaria, in quanto ambito appartenente alla sfera economica-mercantile è il luogo in cui i rapporti sociali si manifestano come rapporti tra cose. Quest'ultimi sono la proiezione di relazioni (conflittuali e cooperative) tra gruppi umani, agenti in una specifica organizzazione sociale. E' strano che chi sostiene di voler rimettere l'uomo al centro dell'analisi lo faccia capovolgendo le cose, ponendo la fantasmagoria dei mercati prima della produzione di società. Semmai essa sta davanti, a mascheramento del resto da cui promana. Non è però casuale che le teoresi antifinanziaristiche inducano a siffatti errori di valutazione storica e siano alimentati proprio da quei poteri centrali dominanti che hanno tutto l'interesse a obnubilare la loro azione imperiale. Come ha più volte chiarito La Grassa la finanza è sempre in primo piano, non però come causa “profonda” della crisi bensì quale sua iniziale manifestazione particolarmente eclatante, in grado di provocare comunque effetti pesantemente risentiti dalla grande maggioranza della popolazione da essa investita...tale aspetto della crisi va assimilato ai terremoti (di superficie), i cui risultati sono disastrosi per i soggetti implicati; tali terremoti trovano però la loro origine in scontri e frizioni tra falde o placche di terreno roccioso situate a varie profondità[la lotta tra formazioni o aree di paesi per la preminenza], reale “motore” del catastrofico fenomeno superficiale. 

Allora, diventa essenziale stabilire come si articola la dominazione mondiale e non “seguire il denaro” come si dice superficialmente, per ritrovare la propria sovranità, esercizio sempre più complicato nella fasi in cui il campo egemonico in cui si è inseriti (per noi quello occidentale a supremazia americana) viene sfidato da nuovi concorrenti. Se fino a qualche decennio fa potevamo vederci concessa una sovranità limitata, in virtù di un equilibrio mondiale bipolare, ora che si affaccia il multipolarismo ci viene imposta una cieca obbedienza ad ogni costo, funzionale soltanto alla riconfigurazione strategica di chi ha il controllo del nostro Paese e si sta confrontando con i potenziali concorrenti a livello mondiale. In tale clima, non sono ammesse “iniziative” nazionali autonome ed ogni smottamento dalla linea può comportare pesanti conseguenze. Questo è il tema principale, non le diatribe minori tra sottoposti alla stessa area d'influenza (come lo sono Germania, Francia e Italia nell'ambito europeo) seppur con diversi margini di “libertà” e “convenienza”. E' vero che i nostri partner europei intendono scaricare sul Belpaese le maggiori difficoltà discendenti da questo scenario, ma non si può scagionare il martello e al contempo prendersela con l'incudine che sta ferma mentre quello batte. Pertanto, chi punta sul bersaglio tedesco (i francesi sono meglio?), oltre a sbagliare mira politica fornisce all'arciere che tiene sotto tiro l’intero continente la freccia col quale proseguire nella minaccia. Toglietevi, dunque, dalla testa di poter avvantaggiarvi delle presunte contraddizioni tra Washington e Berlino per guadagnare in indipendenza. Guadagnerete in servilismo e non è nemmeno detto che sarete ricompensati. Non è questa la strada per riportare l'Italia a livelli decenti di importanza regionale e benessere sociale.                          

da Conflitti e strategie

Un governo di deboli (non dei più deboli)


Parte il Governo M5s-Lega. Dopo una serie di peripezie, dettate da ingenuità quirinalizia e furbizia leghista, vede la luce un bambino deforme che non avrà vita facile né lunga. Salvini e Di Maio spezzeranno le reni all’Europa? Restituiranno all’Italia la sovranità perduta (e mai pienamente avuta) combattendo contro chi ce l’ha strappata e conculcata? Dubitiamo che tutto ciò avvenga. Il can can battagliero grillino-leghista è solo una triste prospettiva economicistica che ha ben poco di politico. Manca la visione d’epoca storica mentre abbondano i giochetti di partito e di palazzo. Secondo la ristretta prospettiva del sodalizio giallo-verde sarebbe Berlino ad averci ridotto con le pezze al culo. Però, in ogni caso, dall’Ue e dall’euro non si esce, come hanno dichiarato, e ciò rappresenta una palese contraddizione della loro stessa teoresi sballata. Contemporaneamente, viene affermato di voler restare nella Nato e saldamente ancorati a quell’occidente americanocentrico che rappresenta il vero vulnus dal quale deriva la nostra sudditanza nazionale. Di più, si sente dire che appoggiandosi al nuovo corso americano di Trump sarà possibile liberarsi dal giogo crucco che ci ha retrocesso a provincia povera del Continente. Un po’ di logica per favore. L’Ue è una costruzione americana, come pure la sua moneta unica. Quest’ultima fu imposta ai tedeschi (via Parigi) come prezzo da pagare per la riunificazione, in quanto con il marco il potere condizionante dei tedeschi sarebbe stato anche più forte di quanto non lo sia ora con l’euro. Germania e Francia sono le due grandi potenze europee che sin qui hanno gestito il mandato americano, che va mutando per riconfigurazione strategica statunitense. I gruppi europei che lo hanno maneggiato nell’epoca unipolare non soddisfano i nuovi requisiti richiesti dall’egemonia statunitense in una fase multicentrica. Quindi qualcosa deve cambiare in Europa e cambierà. In sostanza ce la si può pur prendere quanto si vuole con il gregario tedesco per vederlo sostituito col francese o con una via di mezzo Franco-tedesca. Che vantaggio avremmo? Bisogna invece auspicare che i poteri tedeschi finora dominanti siano sostituiti da drappelli autenticamente autonomisti ed in grado di corrodere la predominanza yankee sul suolo comune. In ciò occorre incoraggiare la Germania, non puntare ad indebolirla, perché se il Paese meglio posizionato d’Europa avvia il necessario trapasso ci spiana la strada. Quindi nessun risparmio di critiche a chi ci narra di IV Reich per nascondere alla vista le mosse del superimpero d’oltreoceano mirante ad un riassetto delle sue sfere d’influenza per non lasciare lo scettro. Nessuno in Europa spezzerà mai le catene americane danneggiando il suo vicino. Il nemico è uno e non è a Berlino. I tedeschi, come gli italiani e i francesi devono sbarazzarsi dei loro dirigenti asserviti (senza sostituirli con altri cangianti ma ugualmente filo zio Sam), non puntarsi il dito a vicenda. Se accade è effetto del divide et impera a stelle strisce che ci rende tutti perdenti anche se non nella stessa maniera o con i medesimi svantaggi. C’è il servo che sta in casa e quello che lavora i campi, la condizione è la stessa anche se esistono differenziali di benessere(che contano, per carità, ma che non portano alla sovranità).
da https://www.facebook.com/conflitti.estrategie/

L'Europa non è Lampedusa è la nostra Civiltà



L'Europa non è Lampedusa, è la nostra civiltà.
L'Europa non è l'organizzazione di Bruxelles, né una valuta o una banca centrale.
L'Europa non è uno spazio globalizzato senza frontiere.
L'Europa non è il mondo africano, né è una terra dell'Islam.
L'Europa non è né bruttura né non arte.
L'Europa è il continente degli europei.
L'Europa ha millenni di storia, 700 milioni di europei.
L'Europa è un'identità: la civiltà europea e cristiana.
L'Europa è costituita da templi greci, acquedotti e teatri romani, cappelle romaniche, cattedrali gotiche, palazzi rinascimentali, grandi piazze, beghinaggio, chiese barocche, castelli classici e palazzi in stile liberty.
L'Europa è rive selvagge, montagne maestose, fiumi tranquilli. L'Europa è il sentimento della natura. L'Europa è un paesaggio creato dall'uomo: boschetti per polder, prati e coltivazioni terrazzate. L'Europa è la terra  di mele e ulivi, viti e luppolo.
L'Europa non è il mondo del cibo industriale, è la gastronomia di olio e burro, vino e birra, pane e formaggio, salsiccia e prosciutto.
L'Europa non è il mondo dell'astrazione, è l'arte della rappresentazione, da Prassitele a Rodin, dagli affreschi di Pompei alla Secessione di Vienna. L'Europa è l'immaginazione celtica e il mistero cristiano. L'Europa è una civiltà che trasforma la pietra in pizzo.
L'Europa è il rifiuto dello smarrimento, è la cultura che ha inventato il canto polifonico e l'orchestra sinfonica.
L'Europa non è il mondo di Belphégor, è la civiltà che onora le donne: dea, madre o guerriero. L'Europa è la cultura della cavalleria e dell'amore cortese.
L'Europa non è il mondo della sorveglianza, è la patria della libertà: la cittadinanza greca, il foro romano, la grande carta inglese del 1215, le città e le università libere del Medioevo, il risveglio dei popoli nel diciannovesimo secolo.
L'Europa è un'eredità letteraria e mitologica: Omero, Virgilio, Esiodo, Edda, il canto dei Nibelunghi e il ciclo arturiano. È anche Shakespeare, Perrault e Grimm.
L'Europa è lo spirito di invenzione e conquista: è Leonardo da Vinci e Gutenberg; Queste sono le caravelle, i palloncini, gli inizi dell'aviazione e Ariane, questi sono i mazzi gettati sui mari.
L'Europa, sono gli eroi che l'hanno difesa nel corso dei secoli: sono Leonida ei suoi 300 spartani a salvare la Grecia dall'Asia; è Scipione l'africana che conserva Roma di Cartagine, è Carlo Martello che respinge l'invasione araba, è Godefroy de Bouillon che consegna i luoghi santi e fonda il regno franco di Gerusalemme, è Ferdinando d'Aragona e Isabella il cattolico liberando Granada, è Ivan il Terribile che allontana i mongoli dalla santa Russia, è don Giovanni d'Austria vittorioso dei Turchi a Lepanto.
Europa, questi sono posti alti: è il Partenone, Piazza San Marco, San Pietro di Roma, la Torre di Belém, Santiago de Compostela, il Mont Saint-Michel, la Torre di Londra, il Porta di Brandeburgo, le torri del Cremlino.
Questa è la nostra storia di civiltà!
Oggi l'Europa è l'uomo malato del mondo. È colpevole di colpevolezza, colonizzata, indebolita. Non è né fatale né sostenibile. Stop al pentimento! Scopriamo il filo della lunga memoria. Ascoltiamo il messaggio di speranza di Dominique Venner:

"Credo nelle qualità specifiche degli europei che sono temporaneamente dormienti. Credo nella loro individualità attiva, nella loro inventiva e nel risveglio della loro energia. Il risveglio verrà. Quando? Non lo so, ma di questa sveglia non ne dubito. "


Salvini: l'Italia è una porcheria


Questi sono i mostri che il centrodestra ha portato al governo della Nazione e non solo per l’inabilità del personaggio Berlusconi, perché Berlusconi ragionava, e ragiona, da imprenditore e non da statista e quindi non ha capito nulla di quanto stava accadendo in termini di smantellamento globale dell’Italia, ma anche per responsabilità di una destra italiana che ha sempre preferito il salotto alla trincea, le prebende individuali, alla fatica di costruire un futuro alla Nazione, e tra le rincorse alle poltrone ha visto non solo evaporare l'Italia ma anche se stessa. 



L'Italia è una porcheria

Impossibile su Booking ed Edreams, per Italiani ed Europei prenotare un alloggio a Cuba




Secondo la normativa americana, non è consentito recarsi a Cuba per motivi di turismo partendo dagli Stati Uniti. La normativa si applica a tutti i cittadini stranieri che volessero raggiungere l'isola caraibica dagli USA, vi sono alcune  categorie esenti, come ad esempio viaggi per motivi familiari, di culto, attività umanitarie, missioni ufficiali, etc. Chiaro è che questa normativa riguarda gli Stati Uniti, ed è stata introdotta dall'amministrazione Trump, una restrizione alla precedente decisione che aveva abolito l'embargo deciso dagli USA, che tante sofferenze ha prodotto al popolo cubano. 
Su booking e su Edream, per prenotare una qualsiasi alloggio a Cuba, dai grandi alberghi internazionali ad una casa particular, occorre riempire una casella obbligatoria al fine di completare l'operazione, in cui la parola turismo non appare, appare solo l'elenco delle categorie esenti secondo la legislazione americana ai divieti di Trump, quindi se sei un cittadino italiano, o dell'Unione Europea, paesi in cui è libera la possibilità di visitare l'Isola per motivi turistici, almeno di dichiarare il falso,  sui due siti in questione non è possibile prenotare un alloggio. Booking risponde: "A causa di restrizioni commerciali, sul nostro sito non è possibile effettuare prenotazioni per Cuba a scopo turistico." - e continua- "Si tratta di una restrizione europea strettamente commerciale, che non ha niente a che vedere con l'amministrazione Trump". Ma basta andare sul sito www.viaggiaresicuri.it, della Farnesina, sulla pagina dedicata a Cuba ,per non trovare alcuna traccia di queste presunte restrizioni commerciali, se non il riferimento a quelle dell'ordinamento americano

.http://www.viaggiaresicuri.it/paesi/dettaglio/cuba.html?no_cache=1

Centri sociali

«I centri sociali sono la guardia gratuita del ceto intellettuale di sinistra. La loro cultura è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta (SPC), che li può sempre usare come potenziale guardia plebea.
Privi di qualsiasi ragion d'essere storica, costoro, composti di semianalfabeti, intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume e dallo spinellamento di gruppo, hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore.
Anche l'interesse per i migranti è un pretesto, perché essi li vivono come un raddoppiamento mimetico della loro marginalità».

Costanzo Preve

2 giugno 1948: interrogazione degli onorevoli Almirante, Mieville, Michelini, Roberti, Russo Perez, al Ministro degli affari esteri, per conoscere quali misure siano state prese per la tutela degli italiani dell’Istria e della Dalmazia

In questa foto Giorgio Almirante con Sandro Pertini
 Cerimonia del Ventaglio 26 luglio 1968

PRESIDENTE. Passiamo allo svolgimento dell’interrogazione degli onorevoli *Almirante, Mieville, Michelini, Roberti, Russo Perez, al Ministro degli affari esteri, ((per conoscere quali misure e quali provvidenze siano state prese o predisposte al fine di tutelare i diritti e gli interessi degli italiani dell’Istria e della Dalmazia, i quali, avendo optato in questi giorni per l’Italia, sono ostacolati in tutti i modi dalle autorità jugoslave, sino al punto di essere spogliati anche dei loro effetti personali 1). L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere. .BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. È noto che il Trattato di pace, all’articolo 19, paragrafo 29, attribuisce al Governo jugoslavo la facoltà di adottare misure legislative appropriate per l’esercizio del diritto di opzione di tutte le persone di lingua italiana domiciliate al 10 giugno 1940 nelle zone cedute. ’I1 Governo jugoslavo emanò infatti, nei limiti di tempo indicati dal Trattato, norme di legge che regolano minutamente le modalità relative. Per quanto il Trattato stesso non facesse esplicita menzione della facoltà per l’Italia di intervenire nella materia, pure il Governo italiano non esitò a prendere posizione, nell’interesse di migliaia e migliaia di italiani, nel momento in cui si decideva il loro destino. Ancor prima che fossero conosciute le disposizioni jugoslave, si provvide con circolare 6 novembre 1947 ad illustrare le disposizioni a tutti i nostri uffici consolari e diplomatici, mettendoli in gràdo di continuare la protezione e l’assistenza agli istriani, giuliani e dalmati all’estero, cercando di evitare inutili attriti con le autorila jugoslave. In data 6 febbraio ultimo SCÒ~SO, essendo venuto .a conoscenza - ancora non, in via ufficiale - delle disposizioni jugoslave, il Ministero per gli affari esteri si affrettò a chiedere precisazioni alla Legazione jugoslava in Roma sulle modalità della presentazione delle domande di opzione, sui documenti da allegare, sulla lingua in cui le di- . chiarazioni dovevano essere redatte, sulle spese inerenti ecc., ponendo nel dovuto rilievo che molti erano coloro che si erano già trasferiti sul territorio nazionale, e la necessità, quindi, di adeguare le modalità per l’esercizio del diritto. di opzione alla loro posizione di profughi dispersi per tutta 1’11alia. In tale occasione il Ministero .degli affari esteri, richiamandosi a nome stabili te nei trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale, credette di dover avanzare una formale riserva nei riguardi della disposizione jugoslava secondo, cui l’attestato della lingua d’uso all’optante deve essere rilasciato dai comitati popol,ari jugoslavi. Su questa disposizione del Governo jugoslavo richiamo l’attenzione della Camera affinché, attraverso questo dibattito e l’azione dei deputati, essa sia chiaramente spiegata agli interessati; nel senso che il Governo italiano non può per nulla intervenire, e che l’accertamento della lingua d’uso viene fatto esclusivamente dai comitati popolari jugoslavi, i quali agiscono con le facoltà e le possibilità di organi di siffatta natura. I trattati che chiusero l’altra guerra, con spirito di ben maggiore equanimità, ammettevano che gli optanti potessero pro, vare con ogni mezzo, compreso l’att,o notorio, quale fosse in effetti la lingua da loro usata: È chiaro infatti che l’accertamento della lingua d’uso può risentire delle diverse vaIutazioni adottate, e quindi mal si presta ad essere rimessa all’autorità locale in zone mistilingue, come sono quasi tutte le zone di frontiera. La riserva che noi poniamo si risolverebbe in sostanza nella offerta della nostra collaborazione per dirimere punti controversi, per evitare equivoci, e partiva dal presupposto che fosse interesse comune jugoslavo e italiano procedere all’accertamento della lingua d’uso in condizioni tali da non lasciare dubbi o sospetti di parzialità. Ma il Governo jugoslavo, che pure aderì a quasi tutti i punti da noi prospettati concedendo facilitazioni a favore degli optanti stabiliti in Italia, insistette nel sostenere che l’accertamento della lingua d’uso da esso, adottato è conforme al Trattato di Pace. Con ciÒ ci fu definitivamente preclusa ogni p-ossibilità di intervenire in una materia tanto delicata e l’accertamento che la lingua d’uso degli optanti è quella italiana rimase affidato agli uffici jugoslavi. Poiché gli onorevoli interroganti sembrano riferirsi particolarmente alla situazione di coloro che si trovano tuttora in Jugoslavia, chiedendo di conoscere le misure e le provvidenze adottate dal Governo per la tutela . dei loro diritti ed interessi, ritengo doveroso ricordare che, secondo la tesi jugoslava, per il paragrafo 10 dell’articolo 19 del Trattato di Pace, le persone domiciliate alla data del i0 giugno i940 nei territori ceduti sono diventate, anche se con riserva dell’opzione, cittadini dello Stato jugoslavo. L’optante è perciò considerato cittadino jugoslavo fino al momento in cui un decreto del Ministero dell’interno croato o sloveno non avrà riconosciuto l’opzione da lui esercitata per la cittadinanza italiana. Ciò. significa che la difesa dell’optante da parte dei Consolati e delle Delegazioni italiane in Jugoslavia si urta contro limiti^ precisi, quali sono definiti dalla prassi del diritto internazionale, sino a quando questi cittadini rimangono nei confini dello Stato .che li considera suoi propri, cittadini. Va riconosciuto che la Jugoslavia, in sede di emanazione di queste norme, si i! strettamente attenuta ai termini letterali del Trattato. Aggiungo che, sia pure con ritardo, le autorità jugoslave hanno accolto i passi esperiti da noi per una più equa applicazione delle norme stesse da parte delle autorità locali. Ma purtroppo gli inconvenienti non poterono essere rimossi. Va detto chiaramente che la vita è dura, molto dura per chi ha esercitato il diritto di opzione’ ed è in attesa della decisione jugoslava che gli riconosca la cittadinanza italiana. Per 1’au’- torità locale egli è ancora ‘jugoslavo, peggio, uno jugoslavo che ha dichiarato di non volerlo più essere: privato del lavoro e delle carte annonarie l’optante deve vivere di ripieghi, vendendo il vendibile in attesa del decreto che gli riconosca la qualità di straniero nonché del visto di uscita che gli consenta di iniziare il viaggio di trasferimento per l’Italia. È appena il caso di aggiungere che le difficoltà fatte da qualche autorittt locale finiscono per creare, anche forse contra la volontà di coloro stessi che usano tali mezzi, uno stato di costrizione che non pu+ non riflettersi sulle decisioni di chi può optare. Posso comunque assicurare che la Legazione di Belgrado e il Consolato generale di Zagabria si adoperano come possono per cercare di far migliorare le condizioni di vita degli optanti. Con la notifica del decreto del competente Ministero dell’interno jugoslavo, l’optante viene riconosciuto quale italiano e come tale ha i doveri e i’diritti di tutti gli stranieri e quindi può finalmente valersi dell’assistenza consolare italiana. Nell’intento di dare una assistenza, in quanto possibile, pronta e larga, ai nostri connazionali ed offrire alla vicina repubblica una concreta collabora-, zione per l’operazione di opzione, noi chiedemmo di potere aprire Uffici consolari nelle città dove presumibilmente si sarebbe accentrata la massa degli optanti. In particolare insistemmo e continuiamo ad insistere per l’apertura di un Consolato a Fiume, essendo ,umanamente impossibile che a Zagabria, centro di circoscrizione che comprende le intere Repubbliche di Croazia e Slovenia si possa seguire da vicino la posizione dei singoli italiani in circostanze tanto eccezionali. Nell’attuale momento i nostri connazionali devono fare capo a Zagabria per avere un passaporto provvisorio, un documento, un timbro qualsiasi. Per riparare; in quanto possibile, gli inconvenienti lamentati il Consolato di Zagabria ha ricevuto istruzioni dal Ministero di intensificare le visite personali a Fiume e ad altri centri. Gli onorevoli interroganti fanno cenno di difficoltà frapposte dalle autorità jugoslave contro coloro che hanno optato per l’Italia. Bisogna dire che il visto di uscita dalla Jugoslavia si fa talvolta troppo abtendere. .Si aggiunga che i visti di uscita jugoslavi hanna validità di 15 giorni e le disposizioni che regolano la vita dello straniero in Jugoslavia risentono tuttora delle restrizioni del periodo bellico. E così effettivamente si è verificato qualche caso di nostri connazionali i quali, dopo’avere lungamente atteso, dovettero poi partire precipitosamente senza potere aspettare il mezzo che consentisse loro di farsi accompagnare dalle masserizie. Quanto al trasporto dei connazionali e alle’ pratiche doganali e di frontiera, le Amministrazioni italiane hanno già preso le opportune disposizioni di loro spettanza. Comunicammo al Governo jugoslavo che eravamo pronti ad offrire la disponibilità di 10 vagoni al giorno che, facendo capo a Fume, potevano risolvere il probleqia dei trasporti giuliani. Da parte jugoslava ci fu invece risposto di avere già la quantità di vagoni occorrenti ai rimpatrianti. Sono tuttora in coi’s0 pratiche per l’invio a Zara di un piroscafo capace di circa 300 persone, ma secondo le più recenti comunicazioni sembra che il Governo jugoslavo si proponga, come per i mezzi terrestri, di provvedere con i suoi propri niezzi marittimi. Per quanto concerne l’esportazione dalla Jugoslavia dei beni mobili, il trasferimento dei fondi e valuta, la vendita e la custodia dei beni immobili e in genere ogni questione relativa ai beni degli optanti, va ricordato che l’Allegato 14 del Trattato di pace ne rimette la definizione delle condizioni e delle modalità ad accordi fra i due Governi. Sono lieto di annunziare che una nostra delegazione, è in viaggio per Belgrado ove si incontrertt con quella jugoslava. Da parte del Governo di Belgrado si sostiene che la questione dei beni degli optanti è connessa’ con altre di carattere economico e finanziario, pure comprese nel citato paragrafo 14. Noi non rifiutiamo di discutere il complesso di questioni che ci viene proposto, ma dobbiamo insistere, per delle ragioni sopratutto umane, che nell’ordine dei. lavori della conferenza si dia la precedenza assoluta alla trattazione di quelli relativi ai beni degli optanti ed in questo senso sono state date categoriche istruzioni alla nostra delegazione. * Desidero, infine, informare la Camera che su conformi istruzioni impartite, il Ministro d’Italia in Belgrado, ha intrattenuto il 9 corrente il Viceministro degli affari esteri jugoslavo Bebler su tutto l’andamento delle opzioni e sugli inconvenienti e sulle diEcoltà, talvolta gravi, che incontrano quanti optano per la cittadinanza italiana. I1 Ministro Martino, venuto in- questi giorni a Roma, ha riferito di aver ricevuto ampie assicurazioni che le questioni per le quali vi è in questa Camera tanta giustiiicata apprensione, saranno oggetto del più attento esame da parte del Governo jugoslavo. I1 Ministero degli esteri, con queste chiare, precise e dettagliate comunicazioni ha voluto rispondere agli interroganti, cui va il merito di aver sollevato questa importante questione in un momento di ansia come l’attuale, e dimostrare al Paese tutta la sua preoccupazione per risolvere al più presto i problemi di questi nostri connazionali, i quali stanno per diventare italiani superando difficoltà e sopportando dei sacrifici pei’ i quali da questa Camera deve partire oggi un benvenuto cordiale e affettuoso, che dia loro la sensazione che, dopo aver tanto patito e sofferto, entreranno in Italia in una grande famiglia ! (Vivissimi applausi a sinistra, al centro e a destra). PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto. ALMIRANTE. Onorevole Sottosegretario, le sue dichiarazioni, di cui la ringrazio - e oso ringraziarla non solo a nome mio e dei miei colleghi, ma di tutta l’Assemblea ... (Rumori alt’estrema sinistra) o per lo meno, degli italiani che in questa Assemblea si trovano, esclusi coloro che rifiutano la qualifica di italiano ... (Applausi al centro e a destra - Proteste all’estrema sinistra) e di ciò noi siamo loro riconoscenti - le sue dichiarazioni hanno squarciato il velo di una tragedia. L’onorevole Mazza diceva poco fa che qui C’è un’aria di famiglia. Noi stiamo occupandoci però purtroppo di gente, di italiani, che non hanno più la famiglia, non hanno più una casa. Bisogna che questi italiani sentano di avere almenouna Patria. Mi riferirò dunque soltanto alle sue ultime parole. Quando ella ha detto che a questi. italiani, così duramente perseguitati da una sorte che dayvero non hanno meritato, bisogna che l’Italia apra il suo cuore, questo e sentimento, è lodevole, alto sentimento e sono lieto di constatare che una volta tanto .qui dentro si è parlato veramente da italiani ... SCOCA. Non una volta tanto ! Sempre ! ALMIRANTE. Ma il sentimento non basta. Occorre, che questi profughi tornan.do in Italia, ricevano qualche ‘cosa di più .di una assistenza sporadica e generica; sen-tano in maniera concreta il cuore della patria palpitare accanto al loro. . È stato emanato recentemente un decreto legislativo che concerne l’assistenza .ai profughi, ivi compresi gli optanti. Ella ricorderà certamente, onorevole So ttosegretario, le disposizioni’ di quel decreto. Io la prego, e prego la Camera, di mettere a paragone quelle disposizioni con le sue parole. Ella ha parlato di tragedia. Jn quel decreto non si sente la tragedia e non si sente neppure il palpito del cuore della Patria. Quelle disposizioni, che io qui non ripeto, perche non voglio turbare quell’atniosfera di solidarietà che tanto ci ha commosso, ,quelle disposizioni, sono veramente insufficienti. Ai profughi che rientrano nelle eon.dizioni da lei illustrate, si concede una volta tanto un sussidio di 12 mila lire, e si concedono 45 lire al giorno ai membri di famiglia e 100 ai capi famiglia. Siccome giustamente ella ha fatto rilevare che dal punto di vista internazionale l’aiuto ‘del nostro Governo ai profughi si può concretare soltanto in pressioni diplomatiche, le quali sciaguratamente non trovano ascolto, o per lo meno non hanno trovato fino ad ora ascolto, il problema non diventa’ pii1 di carattere internazionale ma interno. C’è una nostra precisa responsabiljtà- di fronte a questi italiani, anche se lo straniero li tratta come li tratta, passando sopra non solo allo spirito ma alla lettera di quello stesso iniquo trattato, ma addirittura allo spirito di umanità e al diritto delle genti. .Se, lo straniero li tratta così, noi dobbiamo trattarli ben altrimenti. Quindi, dicendomi soddisfatto e ringraziandola per quanto Ella ha avuto la cortesia .di dire, in tono veramente umano, a proposito, .di quanto il Gov.erno sta facendo per tutelare in sede internazionale i diritti e gli interessi. di questi profughi, io invito il Governo a prendere in esame il problema interno e le responsabilità interne nei confronti di questi profughi: vale a dire, a predisporre immediatamente precise e adeguate misure nei loro riguardi; misure che tanto più debbono essere generose e pronte, quanto 3 più ingiusto ed iniquo e lo straniero nei confronti di questi. fratelli italiani. (Applausi al centro e a destra).

Boia chi Molla: espressione nata sulle barricate della Repubblica Partenopea

Il 29 luglio 1917 nasce il primo reparto d'Assalto al comando del colonnello Giuseppe Alberto Bassi, il reparto assume come motto "Boia chi molla", espressione nata sulle barricate della Repubblica Partenopea del 1799 e poi ripresa nelle 5 giornate di Milano del 1848, e più recentemente divenuto slogan simbolico della rivolta di Reggio Calabria svoltasi  dal luglio del 1970 al febbraio del 1971.


Storia del Reggimento Giovani Fascisti Regio Esercito Italiano 1940-1943

Sacrario Museo Reggimentale 

Il 10 Giugno 1940 l'Italia, con la dichiarazione di guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna, entra nel secondo conflitto mondiale.
Animati da sincero entusiasmo e desiderosi di partecipazione, 25.000 giovani di tutte le estrazioni sociali e provenienti dalle fila della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), chiedono di essere arruolati volontari per raggiungere il fronte di combattimento. Il P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) grazie al Segretario Ettore Muti stabilisce con il Ministero della Guerra, che approva a malincuore, la costituzione di 24 Battaglioni G.I.L. che, militarmente istruiti nella zona della Liguria, sono poi impegnati in una marcia dimostrativa di 450 km, denominata "Marcia della Giovinezza".
Questa si conclude il 10 Ottobre 1940 come termine del periodo di addestramento a Padova, dove sono convenuti il Capo del Governo Benito Mussolini e le autorità militari per passare in rassegna i giovani volontari. Dopo la rivista, cui partecipano rappresentanze delle organizzazioni giovanili europee, i giovani apprendono con profonda delusione che i loro Battaglioni sono smobilitati, su richiesta dei comandi militari ed inviati a rientrare nelle loro case per continuare a studiare e lavorare.
Si mortificano così 25.000 ragazzi che chiedono solo di combattere. Il malcontento è tale che il V° Gruppo, accampato alla Fiera Campionaria di Padova, arriva ad ammutinarsi incendiando un padiglione per non eseguire l'ordine. Vista la violenta reazione di 2.000 volontari che non vogliono rientrare alle loro case, per intercessione di Ettore Muti sono costituiti tre Battaglioni Speciali G.I.L. e inviati a spese del Comando Generale della G.I.L. a Formia, Gaeta e Scauri per completare l'addestramento militare.
I volontari sono stufi di promesse, di esercitazioni e visite di Gerarchi. In seguito a diverse sollecitazioni il Ministero della Guerra invia l'Ispettore della Fanteria Generale Taddeo Orlando, per costatare il grado di preparazione militare dei Battaglioni. Il suo parere è favorevole e i volontari sono pronti al combattimento.
Il Ministero della Guerra, con disposizione n.486120 del 12 Aprile 1941, decide di trasformare i Battaglioni G.I.L. nella 301^ Legione CC.NN.; ma dopo una settimana non avendo i volontari adempiuto ancora il periodo di ferma regolare, essendo la M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) un apparato post-militare, il Ministero si affretta ad emanare una nuova disposizione, n. 49640 del 18 Aprile 1941, che modifica la precedente disponendo la costituzione del "Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti" quale unità del Regio Esercito. Nacque così una nuova e particolare unità del Regio Esercito la cui truppa era costituita da giovani, grazie al consenso firmato dai genitori, inquadrati come "volontari ordinari senza vincoli di ferma " anziché come "volontari di guerra", e da sottufficiali ed ufficiali anch'essi come volontari.
Le uniformi ed i pugnali della Milizia sono ritirati e sostituiti dall'Esercito con l'uniforme della Fanteria con due particolarità: al bavero le fiamme sono a due punte bicolore giallo rosse (i colori di Roma e della G.I.L.); come berretto di fatica è adottato il fez nero dei reparti Arditi della Prima Guerra Mondiale. Sarà questo il solo copricapo portato orgogliosamente con un pizzico di spavalderia dai giovani volontari (al reparto non fù consegnato l'elmetto.
A Maggio il "Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti" è trasferito a Napoli in attesa di destinazione. Il 24 Giugno è portata al Duce, da parte del Comando Supremo, una lettera intestata "Battaglioni G.I.L." che porta in calce una annotazione del Generale Magli: "…esprimo parere contrario: le unità che dovranno operare sul fronte Russo non possono essere composte da ragazzi…". Letta l'annotazione Mussolini scrive sotto di suo pugno: "Sta bene! i due Battaglioni andranno in Libia".
Il 29 Luglio 1941 il "Gruppo Battaglioni GG.FF.", composto dal I° e II° Battaglione e dal Comando di Gruppo, sbarca a Tripoli ed inviato con compiti di presidio a Homs e Misurata. I Battaglioni subiscono trasformazioni nell'organico e vengono consegnati i cannoncini 47\32 ed i mortai da 81 mm.
Il 2 Settembre 1941 con disposizione n.3 del Supercomando in Africa Settentrionale, il Gruppo entra a far parte del R.E.CA.M. (Raggruppamento Esplorante del Corpo d'Armata di Manovra) comandato dal Generale Gambara il quale, al momento di comunicare al Ten.Col. Tanucci comandante il Gruppo il loro prossimo impegno sul fronte di combattimento, scrive testualmente: "…il loro compito è arduo. I volontari sono al primo combattimento, sono giovani, ma ho piena fiducia in loro…".
Il 3 Dicembre 1941 il "Gruppo Battaglioni GG.FF." si trova schierato a Bir el Gobi (Libia). Il I° Btg. ed il Comando a quota 182; il II° Btg. alle quote 184 e 188. L'intenzione del Comandante dell'8^ Armata Britannica Generale Ritchie era di occupare Bir el Gobi, secondo il quale avrebbe opposto scarsa resistenza perché presidiata dai "Mussolini's Boys" che ai primi colpi di cannone sarebbero scappati, per poi passare così alle spalle del nemico. Quindi fu ordinato all'XI^ Brigata Indiana comandata dal Generale Anderson di occupare Bir el Gobi. La Brigata era composta da tre Battaglioni di Fanteria ( 2nd Maharatta, 2nd Cameron, 1st Rajaputana), da due Reggimenti d'Artiglieria pesante e leggera, da una compagnia di Carri Armati dell'8th Royal Tank Regiment. Il "Gruppo Battaglioni GG.FF." era composto da 1454 uomini armati di 24 fucili mitragliatori Breda mod.30, 12 mitragliatrici Breda mod.36, 12 fucili controcarro Polacco, 6 fucili controcarro Solothurn, 8 cannoncini da 47/32 e 8 mortai da 81mm e due casse di bombe Passaglia (una per Battaglione). Inoltre a Bir el Gobi c'era un presidio composto da 12 carri L3 (alcuni inutilizzabili ma furono interrati ed usati come nidi di mitragliatrici), 2 carri armati M13, 2 cannoncini 47/32 e 2 mitragliere da 20mm.
La battaglia inizia nel pomeriggio del 3 e continua nei giorni 4,5,6 Dicembre. E' presente anche la fanfara del Gruppo che durante gli attacchi nemici suona "Fischia il sasso". Gli scontri sono violenti, i volontari combattono con fredda determinazione, le fanterie nemiche sono falciate dal tiro preciso dei Giovani Fascisti, i carri nemici attaccati e distrutti; per tre giorni l'11^ Brigata Indiana e parte della 22^ Brigata Guardie accorsa in suo aiuto, non riuscirono ad occupare il caposaldo. Nei combattimenti parteciparono anche elementi della 1^ Divisione Sudafricana e della 2^ Divisione Neozelandese.
Innumerevoli sono gli episodi di valore come i sacrifici del Capitano Barbieri, dei Sergenti Lupo, Naldi e Ravaglia, dei volontari Bilferi, Calvano, Cocchi, Crocicchio, Bolognesi, Guidoni, Meloni, Minarelli, Nulli, Romagnoli, Togni e primo fra tutti il Cap.Magg. Ippolito Niccolini benché ferito per tre volte riesce a neutralizzare un carro nemico. Sarà insignito di Medaglia d'Oro al Valor Militare. Anche il Comandante del Gruppo Ten.Col. Tanucci è ferito e impreca contro gli Inglesi urlando "…vigliacchi, colpire un Bersagliere ai c…". Il Comandante del I° Btg. Maggiore Balisti ferito gravemente alla gamba sinistra che sarà successivamente amputata, si fa portare in barella nelle postazioni per incitare " i suoi ragazzi". La mattina del 7 Dicembre arrivano due colonne delle 15^ e 21^ Divisioni Corazzate tedesche. Il Generale Rommel osserva il campo di battaglia e si complimenta con il Ten. Milesi, quindi riparte con le Divisioni all'inseguimento del nemico. Gli Inglesi non sono riusciti ad occupare Bir el Gobi e pesanti sono state le loro perdite: due compagnie la Maharatta e la Cameron sono state completamente distrutte, le loro perdite ammontano a circa 300 morti, 250 feriti, 71 prigionieri; distrutti sei carri amati pesanti, sei leggeri e molti automezzi.
Le perdite nei Volontari GG.FF. ammontano a 54 morti con 117 feriti e 31 dispersi. Dopo l'aspra battaglia il "Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti" ripiega con altre unità italo-tedesche.
Il Gruppo entra a far parte della Divisione Sabratha, prende parte ai combattimenti di El Agheila e Marsa el Brega subendo lievi perdite. Successivamente a seguito un ordine inaspettato i Volontari GG.FF. sono inviati a riposo presso il Villaggio Gioda quando nessuno ne sentiva la necessità.
Il 24 Maggio 1942 come riconoscimento del valore dimostrato dai Volontari GG.FF. a Bir el Gobi, per ordine di Mussolini viene costituita la 136^ Divisione Corazzata "Giovani Fascisti", nella quale essi costituiscono il nucleo principale. Presso il Villaggio Gioda fanno seguito visite importanti come quelle del Generale Gambara, dei Marescialli d'Italia Cavallero e Bastico dove quest'ultimo consegna la decorazioni al Valor Militare.
Le forze italo-tedesche hanno ripreso l'avanzata, i Volontari fremono. Finalmente giunge l'ordine di occupare l'Oasi di Siwa in Egitto ed il 23 Luglio 1942 è occupata da una colonna della costituenda 136^ Divisone Corazzata "Giovani Fascisti". Il 21 Luglio un Battaglione di GG.FF aviotrasportato da Junkers 52 atterra nell'Oasi per completare l'occupazione. Siwa riveste particolare importanza strategica per azioni difensive contro eventuali attacchi alleati ma anche per azioni offensive come base di partenza per attacchi tendenti a raggiungere l'interno egiziano. Dall'Oasi partono diverse piste verso Giarabub e la Marmarica ad ovest e verso Bagarya, Sitra, Ain Zeitun ad est (km 370) è la più interessante perché ha ottimi collegamenti con la Valle del Nilo.
Il 30 Agosto il "Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti" assume la denominazione di Reggimento "Giovani Fascisti". Il reparto viene schierato presso i vari passi e l'artiglieria divisionale attorno l'Oasi. La popolazione locale ha apprezzato il gesto di lasciare sventolare la Bandiera Egiziana accanto a quella Italiana. Il Mamur invita gli ufficiali ad un pranzo. Viene costituito un Ufficio Affari Civili utilizzando personale egiziano per tenere i contatti con i vari commercianti del luogo.
Il 22 Settembre il Feld Maresciallo Rommel ispezione la Divisione ed in un colloquio con gli Ufficiali Italiani si dimostra interessato alla pista che da Bagarya porta a Moghaga che prosegue sino alla Valle del Nilo ma anche verso la capitale egiziana, Il Cairo. In seguito si intrattiene poi coi le autorità egiziane presenti nell'Oasi. In serata "radio scarpa" comunica che il nemico sarà aggirato e i Volontari riprendono a cantare. Nel frattempo è giunta anche una compagnia del 3° reparto esplorante tedesco. La nuova 136^ Divisone sta prendendo la sua fisionomia con l'arrivo di truppe e mezzi vari mentre il nemico, per mezzo delle ricognizioni aeree, tiene in osservazione tutti gli spostamenti italo-tedeschi presso l'Oasi. Brevi scontri con pattuglie alleate causano lievi perdite mentre il pericolo più insidioso è la malaria che colpisce quasi tutta la guarnigione con circa 800 ricoveri ospedalieri.
Quando inizia l'offensiva ad El Alamein nel Reggimento cresce il malumore per il mancato combattimento e induce ben 825 volontari a chiedere il trasferimento presso reparti operativi con il risultato che l'aiutante Maggiore in I^ annulla tutte le richieste. L'esito sfortunato della battaglia induce il Comando Italiano a far ripiegare la 136^ Divisione.
Il 4 Novembre 1942 alcuni notabili egiziani esprimono il loro dispiacere per il prossimo ritiro dell'Esercito Italiano; il commerciante che riforniva la Divisione di frutta e verdura si presenta al Comando e restituisce le Lire Italiane avute come pagamento delle merci acquistate ma rifiuta le Sterline offertegli in cambio, aggiungendo "…per me è stato un onore avervi conosciuti…". Giunge il VI° Battaglione Libico che si trovava fra le depressioni di Qattara.
Il 6 Novembre, salutati da una parte della popolazione, la 136^ Divisione in due scaglioni inizia il ripiegamento che la porterà ad Agedabia (Libia) mentre il reparto tedesco ripiega verso Sollum. Le due colonne composte da circa 3000 uomini montati su 290 automezzi iniziano il ripiegamento e nella sosta a Giarabub si unisce il reparto che presidiava quest'ultima Oasi. Percorrendo circa 1200 Km su piste sconosciute e mai percorse da una intera Divisone, fu evitato l'accerchiamento da parte del nemico ma subendo due attacchi aerei che causarono diversi morti e feriti. Il ripiegamento si conclude ad Agedabia tra il 16 e il 18 novembre ed essendo il reparto ancora efficiente al 95% delle sue forze è messo in retroguardia allo schieramento italo-tedesco.Il Reggimento di schiera tra Marsa el Brega e El Agheila per poi ripiegare, sempre combattendo, a En Nufilia dove presso l'Ara dei Fileni avviene l'incontro coi Volontari del III°Battaglione che viene sciolto per reintegrare le perdite del I° e del II°. Il Reggimento prosegue fino ad assestarsi tra Buerat e Gheddaia dove avvengono scontri con il XXX° Corpo d'Armata Inglese. I Volontari lasciano due compagnie in retroguardia che si riuniscono a nord di Tarhuna dove avvengono brevi combattimenti con la 7^ Divisione Corazzata Inglese e la 2^ Divisione Neozelandese.
Il 25 Gennaio 1943 superando il confine con la Tunisia viene abbandonata con dolore la Libia. Il ripiegamento si arresta sulla ex linea fortificata del Mareth, sull'uadi Zig Zao, creata dai francesi per fermare un eventuale attacco italiano. E' protetta da un profondo fossato anticarro dove si attestano le Divisioni italo-tedesche. Il Reggimento GG.FF. è schierato verso il mare e a Marzo una compagnia di formazione partecipa all'operazione "Capri" subendo qualche perdita.
Tra il 17 e il 30 Marzo si combatte la battaglia del Mareth. Inizia con un violento bombardamento da parte delle forze alleate, cadono sotto l'attacco nemico alcuni capisaldi come il "Biancospino" che, data la sua posizione crea molti problemi al Reggimento. E' occupato dal 7° Battaglione Green Howard con elementi della 201^ Brigata Guardie Inglesi. Viene deciso di rioccuparlo: partono all'attacco due compagnie di formazione una composta dai volontari GG.FF. ed una dai Legionari CC.NN. del X° M (che era stato assegnato al Reggimento). Quest'ultimo viene preso d'infilata dal nemico e non può avanzare. A suo sostegno interviene il Capitano Baldassari, i combattimenti sono cruenti assalti all'arma bianca con lancio di bombe a mano e il caposaldo "Biancospino" è riconquistato. Molti sono i caduti tra i Volontari compresi due Ufficiali, uno tra i GG.FF. il secondo del X°M. In questo combattimento il III° Battaglione GG.FF. ha avuto il battesimo del fuoco. Dopo la riconquista del caposaldo un ordine inspiegabile del Comando del Corpo D'Armata obbliga l'abbandono della postazione. Il 23 Marzo un contrordine dello stesso invierà un reparto speciale per rioccupare il "Biancospino". A questo punto il Comandante del Reggimento GG.FF. precede tutti e invia una compagnia al comando del Capitano Niccolini (fratello di Ippolito, caduto a Bir el Gobi) che dopo due ore di cruenti combattimenti riesce a conquistare il caposaldo. Nel pomeriggio giunge il reparto inviato dal Comando: "…siamo gli assalitori, dobbiamo rioccupare il caposaldo Biancospino…". Il Colonnello Sechi risponde: "…è già stato rioccupato dai miei Volontari."
I combattimenti proseguono sino al 30 Marzo; per evitare l'accerchiamento lo schieramento italo-tedesco ripiega sulla linea Akarit Chott. La battaglia dura due giorni, il 5 e il 6 Aprile, poi è inevitabile la ritirata sull'ultimo baluardo di Enfidaville.
Questa è l'ultima linea di resistenza e i Volontari vengono schierati sulle quote 97-126-130-141. La prima battaglia di Enfidaville dal 19 al 30 Aprile 1943 inizia con un attacco massiccio dal cielo e da terra. Alle prime luci dell'alba del 25 Aprile, giorno di Pasqua, la 6^ Brigata Neozelandese con elementi della 167^ Brigata Guardie Inglese attaccano tutto il settore tenuto dai Volontari GG.FF., ma è la quota 141 che subisce la maggiore pressione. Essa è tenuta dalla 2^ Compagnia. Il Capitano Raumi organizza il contrattacco, la posizione e persa due volte ma viene riconquistata con violenti a corpo a corpo. Sul campo di battaglia vengono contati circa 150 nemici caduti, mentre le perdite del Reggimento tra morti, feriti e dispersi ammontano a 156. Molti gli episodi di valore. Tra tutti quello del Volontario Stefano David il quale, ferito e catturato dal nemico, viene sospinto dalle baionette inglesi con lo scopo di penetrare nelle linee dei Giovani Fascisti. Giunto nelle vicinanze delle postazioni dei Volontari e accortosi che questi gli andavano incontro per aiutarlo, trova la forza per rialzarsi e gridare: "2^ Compagnia fuoco! Sono nemici" e cade falciato assieme ai nemici. Verrà insignito di Medaglia d'Oro al Valor Militare. Il 29 Aprile la quota 141 è definitivamente riconquistata dai volontari della 3^ Compagnia che alla fine del combattimento sarà ridotta a soli 20 Giovani Fascisti.
La seconda battaglia di Enfidaville dal 9 al 13 Maggio 1943 è violenta e breve, i combattimenti si susseguono, le postazioni dei Volontari ora sono attaccate dalla 69^ Brigata Inglese. La lotta è impari ma la quota 141 è sempre teatro di cruenti scontri ma resta saldamente in mano ai Giovani Fascisti. I camerati della 90^ Divisione Tedesca si arrendono, i volontari del II° Battaglione GG.FF. occupano le postazioni abbandonate dall'alleato e continuano a combattere.
Il 12 Maggio giunge da Roma l'ordine di resa. A malincuore i Volontari accettano la decisione. In nottata seppelliscono le Fiamme di Combattimento del II° e III° Battaglione, mentre quella del I° è divisa in 17 parti (è stata ricostruita in parte a fine guerra e d'ora si trova esposta presso il Museo Reggimentale). Distruggono armi e bruciano il materiale che può essere utile al nemico. Molti reparti inviano telegrammi inneggianti alla Patria, al Re, al Duce, mentre i giovani fascisti volevano ancora combattere, infatti sul diario storico della 2^ Divisione Neozelandese si legge: "…finalmente il fronte tace. Solo su punto 141 il nemico è ancora attivo…". Quota 141 è occupata dai Giovani Fascisti che non persero alcuna delle posizioni loro assegnate.
Il 13 maggio 1943 sulla piana di Bou Fichà i resti del Reggimento sono passati in rassegna dal Colonnello Comandante del Reggimento e dal suo Aiutante in I^, tra lo stupore del nemico venuto a catturarli.
Il reparto perse la metà degli effettivi. Il Reggimento "Giovani Fascisti" è stato l'unico reparto del Regio Esercito Italiano ad essere composto da tutti Volontari ed anche l'unico reparto a non aver ricevuta la Bandiera di Combattimento. Il Reggimento ha onorato la tradizione militare Italiana.



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