Terni: Vieni a "Passeggio" con me

 
Cortometraggio sul "Parco La Passeggiata"

Servi dell' impero







 di Marco Tarchi

Dieci anni fa, di questi tempi, le parole d'ordine imposte dalla giaculatoria massmediale alla opinione del pubblico erano due. Dopo l'11 settembre, si diceva, il mondo non sarebbe stato «mai più come prima»: l'Occidente era stato ferito al cuore e avrebbe dovuto, di lì in poi, fronteggiare la tentacolare minaccia di un estremismo islamico che rischiava di metterlo in ginocchio. E per questo - ecco il secondo slogan - era venuto il momento del «siamo tutti americani», ovvero della solidarietà incondizionata con Washington, riassurta, a solo dodici anni dal crollo del muro di Berlino, al ruolo di baluardo del Mondo Libero contro l'Asse del Male, gli Stati canaglia e i loro sgherri, votati all'odio perché invidiosi del livello di vita e di ricchezza raggiunto dagli Usa e dai loro più fedeli alleati. Un'invidia che, non si mancava di aggiungere, si nascondeva dietro le invettive contro l'empietà e l'arroganza dei nemici dell'islam. Fummo tra i pochi, allora e dopo, che cercarono di opporre al frastuono della propaganda la voce critica della ragione, proponendo argomenti invece di proclami. Dicemmo chiaramente - chi vuole, può sincerarsene leggendo due libri (entrambi editi da Laterza) come il nostro Contro l'americanismo e La paura e l'arroganza curato da Franco Cardini - che, nei suoi tratti essenziali, la dinamica politica, economica e culturale del mondo non sarebbe stata modificata dall'attacco aereo alle Torri gemelle: la scalata all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, in atto ormai da un abbondante decennio, ne avrebbe semmai tratto un ulteriore impulso; l'Europa avrebbe accentuato la già marcata sudditanza ai voleri d'oltre Atlantico, rinunciando a qualsiasi iniziativa indipendente; la tanto temuta propagazione di sentimenti antiamericani nell'ex Terzo mondo non ci sarebbe stata; il mondo islamico non avrebbe imboccato la via del radicalismo oltranzista. E, soprattutto, l'infiltrazione dell'american way of life, con il suo carico di precetti individualistici, materialistici e cosmopoliti, negli anfratti dell'immaginario collettivo delle popolazioni di ogni angolo del globo non solo non sarebbe rallentata ma avrebbe tratto nuova linfa dalla vittimizzazione degli States che gli attentati di New York e di Washington favorivano: rappresentare il paese della più potente, spietata e attiva macchina da guerra esistente nei panni del gigante buono e vulnerabile vigliaccamente colpito dai malvagi era un'arma formidabile per rafforzarne il mito e creare, sulla base della compassione, complicità verso le nuove imprese belliche che si annunciavano all'orizzonte.
A distanza di un decennio, è inevitabile constatare che avevamo azzeccato l'analisi. Sulle ali della retorica dell'11 settembre, che le attuali celebrazioni si incaricano di tenere ben viva con un intento politico celato, come di consueto, dietro il richiamo ai buoni e doverosi sentimenti, gli Usa hanno costruito un percorso lastricato di guerre, bombardamenti a tappeto, massacri di militari e civili dei paesi nemici, che soltanto in virtù degli accorgimenti tecnologici che consentono agli aggressori di distruggere dall'alto ogni bersaglio senza rischiare danni non hanno prodotto una contabilità di vittime equiparabile a quella dei maggiori conflitti del XX secolo. E nel loro sanguinoso itinerario verso il dominio, oltre a godere del plauso dell'apparato comunicativo dell'intera area di influenza occidentale, pronto a tacere, distorcere, negare, mentire a comando ogniqualvolta veniva ritenuto necessario, hanno potuto contare sull'efficace azione di una nutrita retroguardia economico-finanziaria, pronta a ricostruire ciò che era stato distrutto traendone e in parte distribuendo ai più servizievoli amici ampi profitti, e soprattutto sull'impegno di una fureria intellettuale, che nei paesi soggiogati a suon di bombe ha diffuso a piene mani, seguendo una tradizione consolidata, quei formidabili strumenti di condizionamento mentale che sono i gadgets della cultura di massa made in Usa.
La conquista dell'agognato ruolo di gendarme planetario è stata però, bisogna riconoscerlo, ostacolata dalla forte crescita economica di concorrenti inattesi, prime fra tutti Cina e India, e lo scenario unipolare disegnato dagli strateghi neoconservatori dell'amministrazione Bush si è rivelato sin qui impraticabile. L'esplosione della bolla economica interna del 2008 ha poi accentuato i problemi. Ma per assurgere a padroni del mondo, gli eredi dei Padri pellegrini ce l'hanno messa davvero tutta. E nella partita più importante, quella per il controllo delle mentalità collettive, il loro vantaggio è ancora straordinariamente consistente. Le aspettative che si sono create attorno alla cosiddetta "primavera araba", dalla quale ci si attende formalmente un'ondata di democratizzazione ma si esige sostanzialmente una robusta occidentalizzazione - dei costumi, dei consumi, delle leggi, degli stili di vita, delle credenze - ne sono una spia evidente. E non si può negare, come invece piace fare da sempre agli ambienti pervasi di un antiamericanismo pregiudiziale, rancoroso e sommario, mosso non dalla critica rigorosa di un modello di civiltà ma da un confuso mix di nostalgie ereditarie (di destra e/o di sinistra) e wishful thinking, che l'azione condotta dagli Usa e dai loro volenterosi complici sia stata, e sia, molto efficace. Tanto da rendersi pressoché impermeabile agli argomenti con cui coloro che non ne condividevano né le premesse né gli obiettivi hanno tentato di contrastarla.
I motivi di questo successo attengono sia all'ordine delle sue premesse teoriche sia a quello degli strumenti empirici incaricati di tradurle in realtà.
Sul primo di questi versanti, la carta vincente degli Usa è stata il ricorso sistematico e onnipervadente all'ideologia dei diritti dell'uomo, costruita ad immagine e somiglianza del loro modello di società e dei progetti di espansione imperiale connaturati al paese che aveva già partorito nel corso degli oltre due secoli di vita le dottrine del «destino manifesto» e del «cortile di casa» e che fin dalla nascita ha coltivato la convinzione di aver ricevuto da Dio il compito di adempiere ad una missione universale di conversione al Bene dei miscredenti, non esitando a ricorrere ai mezzi più crudeli per adempierla (gli ormai dimenticati nativi, ridotti dopo il genocidio a stereotipo per un genere cinematografico oggi non più di moda, ne sanno qualcosa). In nome e per conto dei dogmi contenuti in queste nuove Tavole della Legge, si è fatto strame del concetto di sovranità nazionale che per secoli aveva costituito un cardine del tentativo di imporre un diritto internazionale condiviso, si è negata la nozione di autodeterminazione dei popoli quando le scelte da questi compiute non andavano nella direzione auspicata, e soprattutto si è varata la mortifera formula della "guerra umanitaria" che ha derubricato le uccisioni di civili dei paesi aggrediti a "danni collaterali" riparabili a suon di scuse postume, ha legittimato l'uso di ordigni micidiali come i proiettili al fosforo e all'uranio impoverito. Insomma, si è celebrato il trionfo del principio per cui il fine giustifica i mezzi se ad utilizzare anche i più abietti fra questi sono i Buoni contro i Cattivi.
A far da velo a questa evidenza e a magnificare, per coprirla, la nobiltà del nuovo umanesimo sterminatore e devastatore ha provveduto un'armata intellettuale variegata, fatta perlopiù di convertiti dell'utopia comunista pronti a tutto pur di allinearsi al clima di opinione dominante e di goderne le rendite — si pensi a Bernard-Henri Lévy e André Glucksmann, esempi estremi di una specie molto diffusa e assai ben pagata dai giornali che ne pubblicano i periodici violenti sfoghi umorali —, mentre sui pochi critici (come l'Alain de Benoist di Oltre i diritti dell'uomo o il Danilo Zolo di Chi dice umanità) si è abbattuta la scure del silenzio, aggravata dallo stato semicomatoso in cui vegetano gli ambienti sedicenti nonconformisti, da tempo incapaci anche soltanto di leggere, far proprie e far circolare al di fuori delle rispettive nicchie le riflessioni attorno alle quali potrebbe essere costruita una linea di resistenza culturale all'omologazione sistemica.
L'imposizione di questa ideologia ipocrita e insidiosa, veicolata dalle migliaia di voci - dai conduttori di talk shows televisivi agli inviati sugli scenari bellici, dagli editorialisti dei quotidiani ai bloggers consenzienti, dai redattori radiofonici agli opinionisti, ai romanzieri, ai filosofi, sociologi e politologi accademici allineati allo spirito del tempo - di cui la odierna fabbrica del consenso dispone non sarebbe tuttavia stata sufficiente a raggiungere gli scopi che gli occidentalizzatori del mondo si proponevano se la declamazione teorica non fosse stata seguita dai fatti. Cioè dalle risoluzioni delle istituzioni internazionali, dagli embarghi, e poi dalle forniture di armi e denaro
a dissidenti e ribelli, dal lavorio dei servizi segreti, dalle incursioni aeree, dai bombardamenti, dalle invasioni di truppe. Delegittimazione del nemico e suo assoggettamento con la forza dovevano procedere di pari passo. E così è stato. Una volta dipinti i soggetti ostili come spietati tiranni e sfoderata la risorsa della demonizzazione dei "nuovi Hitler" - una galleria infinita, che dopo Milosevic, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, non ha risparmiato né Assad né Gheddafi, inevitabilmente rappresentati con balletti e ciuffetto ribelle malgrado le evidenti incongruenze fisiognomiche, e ha sfiorato i capi di Hezbollah e Hamas e perfino Mubarak (I) -, si è potuti passare alle maniere spicce.
Un ruolo fondamentale è stato svolto, in questo quadro, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui gli Usa e i loro vassalli da decenni deplorano e neutralizzano le ripetute pronunce di Assemblea, quando sono dirette a deplorare gli atti di violenza perpetrati da Israele, ma utilizzano le opportunità quando è il ristretto Consiglio di Sicurezza ad avallare, grazie a bilanciamenti di interessi, ricatti e compensi, le loro decisioni. Dall'indecorosa sceneggiata di Colin Powell all'epoca dell'invenzione delle inesistenti armi di distruzione di massa irachene ai contorsionismi dialettici adoperati per giustificare i diversi atti di aggressione, gonfiando o nascondendo a seconda dei casi e dei soggetti implicati stragi e repressioni, fino alla grottesca risoluzione che ha dato il via alle migliaia di bombardamenti contro gli obiettivi libici che hanno consentito di vincere la resistenza di Gheddafi e dei suoi, il catalogo delle genuflessioni dell'organo supremo dell'Onu ai voleri statunitensi è vastissimo, e ancora una volta basterebbe leggere quanto ha scritto in argomento uno studioso libero da tutele e condizionamenti come Danilo Zolo, in libri come Cosmopolis, I signori della pace e La giustizia dei vincitori per rendersene conto.
Se l'Onu ha costituito l'elemento fondamentale del circuito legittimante che ha all'altro capo l'ideologia dei diritti dell'uomo, e ha consentito di far apparire come repressioni di regimi tirannici contro popolazioni plebiscitariamente insorte quelle che erano in realtà guerre civili tra contrapposte minoranze desiderose di conquistare o mantenere il potere con ogni mezzo, autorizzando forze estranee allo scenario dello scontro a scendere in campo militarmente a favore dell'una fazione contro l'altra, a fare da braccio armato all'interventismo umanitario (sul quale la lettura d'obbligo è quella degli studi di Alessandro Colombo: La lunga alleanza, La guerra ineguale e La disunità del mondo) è stata, come è noto, la Nato. All'organizzazione militare transatlantica spetta infatti il ruolo più pesante ed ambiguo nella trama dell'imperialismo statunitense tessuta nell'arco dell'ultimo ventennio, dall'Afghanistan al Kosovo alla Libia senza trascurare i molti scenari collaterali e minori, e la trasfigurazione dei suoi obiettivi originari - in realtà, un vero e proprio tradimento degli intenti proclamati alla sua nascita — è la prova più eclatante dell'inconsistenza politica dell'Europa, che per suo tramite si è soggiogata completamente ai disegni e agli interessi dell'alleato-padrone d'oltreoceano, rinunciando anche solo ad un motivato diritto a dissentire dalle sue iniziative. Il bombardamento di Belgrado ha reso trasparenti gli intenti che i promotori dell"'adeguamento strategico" dell'Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (la cui ragion d'essere si era estinta con lo scioglimento del Patto di Varsavia) si prefiggevano: riaffermare ed ampliare il dominio sul Vecchio Continente, legarlo completamente a sé con le buone o con le cattive (il soft e l'hard power) e poi trascinarlo, facendogli pagare costi salati, nelle proprie avventure bellico-umanitarie. La spedizione libica, che si è tradotta in migliaia di bombardamenti giustificati sino all'ultimo, con suprema ipocrisia, dalla necessità di «proteggere la popolazione civile» che soltanto le loro micidiali incursioni contro gli obiettivi urbani potevano minacciare, ha dimostrato che, con l'andar del tempo, il potenziale bellico della struttura l'ha resa utilizzabile per scopi ancora più vasti, nel contesto di un piano di addomesticamento agli interessi occidentali in genere — e a quelli di alcuni paesi dell'area più in particolare — dei residui paesi riottosi. Giunti a questo punto, non è azzardato immaginare che in futuro la Nato potrà servire sistematicamente da maschera di comodo degli Stati Uniti in ogni conflitto, potendo vantare quella parvenza internazionale, ormai a vocazione universalistica, che nell'ambito della strategia adottata dai governi di Washington è una carta cruciale da giocare.
Lultimo tassello di questo mosaico, a suo modo non meno efficace degli altri, è il meccanismo dei Tribunali internazionali, primo fra tutti quello de L'Aia, che consente di ricorrere ad un altro strumento di condizionamento psicologico dell'opinione pubblica mondiale, l'accusa di crimini contro l'umanità, sostituto ben più impressionante della precedente nozione di crimini di guerra. Celando il sempiterno Vae victis sotto le prescrizioni di una legislazione ad hoc, voluta, amministrata ed interpretata ad hoc dai vincitori, questo presunto sistema di giustizia si è finora distinto per il rifiuto di assoggettare a procedimenti giudiziari i responsabili di notori atti di violenza perpetrati dalla "parte giusta" e per il clamore mediatico offerto ai processi o ai mandati d'arresto che hanno avuto per. oggetto alcune "bestie nere" degli Usa, da Milosevic a Karadzic e Mladic, da Bashir a Gheddafi (con il supporto di qualche capro espiatorio croato o bosniaco, utile per un'equanimità puramente di facciata e comunque additabile come esempio delle colpe del-l'esecrato nazionalismo altrui). Appare sempre più chiaro che la sua funzione, nell'ottica degli ispiratori, non consiste nel cercare le prove delle colpe degli indagati, ma nel dissuadere esemplarmente chiunque osi contrastare i principi santificati dall'ideologia dei diritti umani e, soprattutto, ostacolare l'omologazione del pianeta alla volontà e ai valori di chi si refigge di controllarlo integralmente. Pur con qualche intoppo, e con una rilevanza massmediale variabile a seconda dei casi, il meccanismo ha svolto il compito che gli era stato assegnato.
Il combinato di questi fattori ha prodotto nell'ultimo decennio, pur con modalità diverse e non sempre riuscendo a controllare sino in fondo gli esiti delle mosse compiute, un notevole impulso del processo di occidentalizzazione del mondo pilotato dagli Stati Uniti d'America. I vaticini sull'imminente implosione degli States che si ripetono periodicamente ad ogni accenno di crisi economica, e hanno trovato rinnovato vigore dall'autunno 2008 in poi, hanno nascosto agli occhi di molti osservatori pur non prevenuti questo dato di fatto, ma la sua sostanza resta, ed occorre capire, come il dossier di «Eléments» che pubblichiamo in questo numero si propone, se i recenti sconvolgimenti del mondo arabo siano o no un altro decisivo passo avanti in tale direzione. Ce lo dirà, comunque, il prossimo futuro.
Quel che è certo è che il progetto imperiale coltivato a Washington ai tempi di George W. Bush non si è estinto con la pur più riluttante e incerta presidenza Obama. E che ha trovato, oltre ai molti entusiasti corifei, un numero crescente di servitori volontari, talvolta inconsapevoli, i quali, abbracciando la dottrina che ne è alla base, predispongono il terreno per nuovi gravi conflitti a venire (in Siria? In Iran? In Libano? Nell'Asia orientale?) proprio mentre vanno celebrando l'epopea di una presunta età di. Pace perpetua, di Giustizia e di Libertà. Come ha scritto Alessandro Colombo, uno studioso attento delle relazioni internazionali che, oltre a conoscerle, sa interpretare ed applicare all'attualità le analisi schmittiane, nel suo recente La disunità del mondo (Feltrinelli), dopo il 1989 «l'eccezionale coerenza del mondo bipolare ha lasciato il posto a un sistema internazionale nel quale le diverse aree regionali continuano a essere in contatto tra loro grazie alla globalizzazione dell'economia e dell'informazione, ma nel quale ogni regione tende sempre più ad abbracciare protagonisti, interessi, conflitti e linguaggi diversi. Tale scomposizione è un potentissimo fattore di instabilità: accentua le differenze istituzionali e culturali tra le diverse regioni, aumenta il peso delle gerarchie di prestigio e potere al loro interno e, in questo modo, apre la strada a nuove diffidenze e competizioni sulla sicurezza. Ma, soprattutto, tale scomposizione rende sempre più inadeguate le risposte di portata globale, anzi rischia di trasformarle da fattori di ordine in fattori di disordine internazionale».
Questo è il lascito velenoso che la predicazione universalistica dell'ideologia liberale reca dentro di sé e che il progetto di dominio planetario statunitense sta liberando. Sarebbe davvero tempo di accorgersene e di reagire. Questa sì, ben più di altre, è una ragione profonda per indignarsi dello stato di cose che siamo costretti a sopportare.
(editoriale di Diorama Letterario, n. 305)

Identità è futuro





La mia identità non è una fortezza cieca, una corazza dietro la quale mi nascondo per tagliarmi fuori dagli altri. È quella finestra che appartiene solo a me grazie alla quale posso scoprire il mondo.

Alain De Benoist





Opporsi alla tirannia di un presente smemorato.
Difendere le nostre identità ambientali, culturali e storiche da modelli estranei, globalizzanti e mercantili che annullano le differenze e spersonalizzano ambienti, usi, e costumi.



Italia sei bellissima

Terni tra i siti più inquinati d’Italia: lo dice il rapporto del ministero della Salute




Ecco il rapporto del ministero della Salute sui 44 siti più inquinati d’Italia. Esposti a tumori ed altre malattie oltre 6 milioni di Italiani.
Dalla Val D’Aosta alla Sicilia. Quarantaquattro aree del Paese inquinate oltre ogni limite di legge. Sei milioni di persone esposti a rischio malattie, tutte mortali: tumori, malattie respiratorie, malattie circolatorie, malattie neurologiche, malattie renali.   

E’ importante che la gente sappia e sia consapevole dei rischi, quando ci sono.

La scheda riguardante Terni pubblicata dal ministero della salute:

Terni-Papigno
Comune di Terni. «Il Decreto di perimetrazione del SIN  (Sito di Interesse Nazionale) elenca la presenza delle seguenti tipologie di impianti: siderurgico e discarica di 2a categoria tipo B rifiuti speciali. Tra gli uomini residenti in questo SIN si è osservato un eccesso della mortalità per tutte le cause e per tutti i tumori rispetto all’atteso; tra le donne si è osservato un eccesso di mortalità per tutti i tumori e per le patologie dell’apparato digerente».

Fonte: il ministero della Salute



Uranio impoverito: Verità e giustizia. Si!

Da anni siamo a conoscenza che gli USA sono dotati di missili e munizioni contenenti uranio impoverito e che le hanno usate nei recenti conflitti (Balcani, Afghanistan e Iraq) non curandosi delle disastrose conseguenze.
Un missile da crociera contiene nella testata circa 400 chili di uranio impoverito,ma praticamente tutte le munizioni USA le contengono:
-i proiettili da 120 mm dei carri armati
-le bombe da 500 e da 2000 libre
-le cosiddette bombe intelligenti e quelle stupide
L’uranio impoverito è usato perchè è un metallo di altissima densità e peso specifico che permette ai proiettili di essere più penetranti.
Quando si colpisce un bersaglio, questo materiale si sfarina istantaneamente in polvere finissima radioattiva che entra nei polmoni di chi respira…
Solo in Iraq sono stati sparsi ben 2 milioni di chili! E la radiazione che emana da quelle duemila tonnellate di uranio impoverito è pari a quella di 250.000 bombe nucleari del tipo lanciato su Nagasaki.

L’inalazione di un decimo equivale a subire una radiografia ogni dieci ore per il resto della vita di un uomo:una vita,del resto, che l’uranio impoverito provvede ad accorciare efficacemente.
Il destino delle popolazioni che hanno subito questi bombardamenti è segnato, infatti, molti medici hanno denunciato il proliferarsi di cancri e leucemie specie nei bambini.
Anche i “i nostri ragazzi”, i soldati italiani… hanno respirano quelle polveri, e stanno morendo a centinaia, soli.  Qual'è il reale contributo di sangue dell'Italia alle "missioni "? Nessuno può dirlo sino a che non verrà fatta chiarezza sulla vicenda dell'uranio impoverito e i caduti ottenuto giustizia. Si.

URANIO: ASS.VITTIME CHIEDE NUOVA COMMISSIONE INCHIESTA. LETTERA A PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO E A CAPIGRUPPO

Istituire una nuova commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito e sui numerosi casi di morte e malattia che hanno colpito il personale militare e civile impiegato nelle missioni all'estero e non. E' questa la richiesta che l'Associazione Vittime Uranio ha inviato, con una lettera, ai presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, e ai capigruppo. ''I risultati dell'ultima commissione - spiega il legale Bruno Ciarmoli - sono stati assolutamente deludenti, sotto molti punti di vista. Ancora oggi, ad esempio, non sappiamo nulla sulle reali dimensioni del fenomeno, che e' in continua e preoccupante evoluzione, anche se nessuno ne parla piu'. 

Pertanto - prosegue Ciarmoli - e' necessario ristabilire un luogo istituzionale di confronto e approfondimento con i principali esperti della materia per dare al personale malato e alle famiglie dei deceduti almeno la percezione tangibile che lo Stato e' dalla loro parte nella ricerca di verita' e giustizia''. ''Dai dati, assolutamente parziali in nostro possesso - conclude il legale - sarebbero oltre 200 i morti e oltre 2.500 i malati. Occorre fare luce su quanto accaduto e cercare di stabilire di chi sono le responsabilita'''. (ANSA). 
 
il Marò Salvo Cannizzo


C’è ancora bisogno di Patrioti che non abbandoneranno questo Paese a chi non l’amerà mai





L’Italia fu fatta anche sull’Adamello e sul Carso e questo è bene ricordarlo, e onore a chi si sacrificò per farla; ma oggi l’Italia non si fa sull’Adamello e sul Carso, non si fa contro i tirolesi e gli austriacanti, e non si fa soprattutto con la retorica. Perché l’irredentismo annunciato al fronte non è retorica, ma l’irredentismo annunciato al mercato lo è senz’altro.
Proveniamo da decenni di dipendenze culturali e non solo culturali: l’asservimento ai due grandi modelli culturali dominanti, Stati Uniti e Unione Sovietica, ha dominato per decenni gran parte della nostra popolazione e dei suoi soggetti civili, politici e sociali, a cui si aggiungevano come supplemento di esotismo Castro, Che Guevara, Ho Chi Min e Mao, fino ai pellerossa e ai kamikaze. Non sono poi mancate minoranze più o meno illuminate: la passione anglosassone di una certa cultura elitaria di estrazione laica, la tentazione svizzera ancora serpeggiante al nord. Oggi sotto la pressione dei media ci scopriamo essere “occidentali ”. Spiega Marco Tarchi: “ L’uso martellante della parola “Occidente” da parte dei mezzi di informazione, che adoperandola vogliono instillare la sensazione di una comunanza originaria di interessi e valori fra le popolazioni e gli Stati collocati sulle due sponde dell’Oceano, e nel contempo sottolineare la loro diversità rispetto a quelli del resto del mondo”.  
Viviamo così ancora un Italia lottizzata, mentalmente serva dello straniero, l’Italia dei sette nani. Occorre un patriottismo che sappia guardare alla storia del nostro paese senza perdere l’equilibrio . Che sappia digerire il fascismo e l’antifascismo, dopo averli tenuti così a lungo sullo stomaco. Che sappia riscoprire le ragioni del Risorgimento ma senza demonizzare coloro che furono dall’altra parte a difendere una loro idea di patria, legata a una terra, una dinastia e una chiesa. Un patriottismo che non risparmi l’autocritica per carità di patria ma si sottragga all’auto denigrazione sport nazionale ad alto tassa d’improduttività. Occorre smettere di vedersi sempre attraverso le lenti delle varie guerre civili. In questo quadro occorre sviluppare una forte e libera ricerca storica e culturale che ci consenta di uscire dalla paralisi a somma zero dei veti incrociati delle varie “vulgate”. Un Patriottismo come destinazione e non solo come pura provenienza e come semplice naturalismo. Non manca solo uno Stato, o una classe politica di qualche dignità, ma frana sotto i nostri occhi l’intero paese. C’è un Italia profonda da tirar fuori.
“Noli foras ire, in interiore Italiane habitat veritas”. Non la verità assoluta, ma la nostra verità d’Italiani.
La storia d’Italia è stata finora concepita in chiave antagonista come una storia dimezzata ad uso celebrativo La storia d’Italia è stata finora intesa alla luce della coppia mitizzazione-rimozione: mitizzazione di alcuni avvenimenti, destoricizzati e imbalsamati e rimozione dell’identità nazionale e della sua continuità. Ne è uscita una storia costellata di fratture e reliquie senza vita. Un’Italia meno italiana, più anglosassone e “americana”. Un paese di trovatelli o di arteriosclerotici che non ricordano niente  Un paese che aspetta il futuro come la bella addormentata nel bosco. Anzi nel sottobosco. Lo Stato evoca sempre più in Italia il participio passato del verbo stare.  Ma è possibile fondare lo Stato solo in negativo chiamandolo in  servizio solo come freno d’emergenza? E’ possibile cioè esigere forza ed efficienza, superiorità rispetto alle parti in campo, da un “fantasma” a cui non si riconosce alcuna autorevolezza, alcuna fondatezza e alcuna prospettiva di futuro? L’idea che il mercato dia a ciascuno secondo i suoi meriti è falsa quanto l’idea che il socialismo dia a ciascuno secondo i suoi bisogni.. Nessun gruppo politico, nessun leader politico può oggi invocare a suo sostegno la coerenza ideale o la giustezza politica di un suo programma o di un suo comportamento.Vi è una pura logica aziendale, secondo cui la politica si misura dai profitti ricavati per l’azienda, e tanto peggio per gli interessi generali o nazionali. In occidente esistono più di duemila popoli, ognuno con la sua cultura particolare, perché a noi, invece di questa ricchezza vengono dati tutti gli intrugli e i miscugli della pseudocultura di massa. “occidentale”. Perché il nostro pane quotidiano deve essere zeppo di vermi? Masticatelo se vi piace. Le “patrie “ di ciascuno devono coalizzarsi, cominciando a non concepirsi in antagonismo, superando i confini topografici di destra e sinistra. Non è il caso di sprecare le proprie energie per insultarsi fra dirimpettai di marciapiede quando il rullo compressore minaccia di spianare tutto. I patriottismi vedono nell’Europa la macroappartenenza ad una Patria-civiltà  e  la nascita di un soggetto forte che tuteli le specificità dal progetto di un mondo uniforme e unipolare, tutto l’inverso dei tecnocrati di Bruxelles.
C’è ancora bisogno di Patrioti che non  abbandoneranno  questo paese a chi non l’amerà mai.



 Questo mondo non basta

L' Italia non è nata il 25 aprile del 1945




"Vivere il proprio tempo sapendo, coscienza di carne, che c’è stato altro e altro ci sarà dall’oggi. La società non è nata il 25 aprile del 1945, la cultura non è riducibile all’epopea del beat che pare averci generati, e per far fronte al disastro del presente qualche lezione di storia e d’arte bisogna pur farle. E’ obbligatorio".  
Giovanni Lindo Ferretti




Sentinelle d'Italia riprendete il vostro posto!



"Non vi lasciate illudere, non vi lasciate ingannare, non vi lasciate impietosire. Tal mandra non ha rimorsi, non ha pentimenti, non ha pudori. Chi potrà mai distogliere dal gusto e dall'abitudine del brago e del truogolo l'animale che vi si rivoltola e vi si sazia"

Gabriele D'Annunzio
dal discorso del Campidoglio

Roma, 17 maggio 1915



Marcia «Parata di eroi»
March «Parade of heroes»
Марш «Парад героев»

Terni: Lo stile dei cavalieri nella Basilica di San Valentino





Basilica di San Valentino Terni S. Michele Arcangelo di Giuseppe Cesari detto Il Cavalier D’Arpino.

Una pittura colta, raffinata, profondamente legata alla tradizione cinquecentesca, che tornava a privilegiare la chiarezza dell’espressione, il decoro nella rappresentazione delle immagini sacre.
                   

Era il 24 giugno del 1606 quando ebbero inizio i lavori di costruzione dell’attuale Basilica di San Valentino. La prima pietra fu posta dal Vescovo di Alatri Mons. Lucantonio Gigli, nativo di Terni, la seconda pietra dal venerabile P. Pietro della Madre di Dio predicatore apostolico, Carmelitano Scalzo e già superiore Generale dell’Ordine, la terza dal Servo di Dio Giovanni Battista Vitelli, di Foligno. Ebbe così inizio in quel lontano giugno del 1606, la presenza a Terni, dei discendenti di quei cavalieri crociati  che qualche secolo prima, attirati dall’esempio di Elia, vollero consacrarsi al servizio della Madonna sul Monte Carmelo, situandosi sulla principale via di pellegrinaggio che conduceva da Akko a Cesarea e che nei secoli donarono alla Chiesa personalità come Santa Teresa D’Avila e San Giovanni della Croce. Valentino suona come valorem tenens, «che mantiene valore», cioè «che persevera nella santità»; oppure significa valens tyro, «valoroso soldato», cioè «soldato di Cristo», così Valentino non arretrò di fronte al martirio, colpì distruggendo l'idolatria, si difese rafforzando la fede, e vinse patendo il martirio», come scrive nella Leggenda Aurea Jacopo da Varazze, dal di Terni. Finalmente restaurate due importanti opere, la Madonna col bambino tra i santi Giuseppe e Teresa di Luca della Haje e il S. Michele Arcangelo del Cavalier D’Arpino. Il restauro è stato effettuato dalla Fondazione Cassa di Risparmio. Particolarmente gradito il ritorno del bel S. Michele Arcangelo di Giuseppe Cesari detto il Cavalier D’Arpino, realizzato su committenza della famiglia Sciamanna. Il Cesari era uno dei principali esponenti “dello stile dei cavalieri”, una pittura colta, raffinata, profondamente legata alla tradizione cinquecentesca, che tornava a privilegiare la chiarezza dell’espressione, il decoro nella rappresentazione delle immagini sacre. Il S. Michele è un immagine lievemente arcaicizzante, preziosa negli accostamenti del colore e tributaria del classicismo raffaellesco: i contorni nitidi, i panneggi “scheggiati”, le ombre trasparenti, l’equilibrio della posa, la calma fermezza dell’atteggiamento ne fanno un magistrale esempio dell’arte ufficiale della Chiesa. Il suo nome in ebraico suona Mi - ka - El e significa: Chi è come Dio? Nel Nuovo Testamento, S. Michele Arcangelo è presentato come avversario del demonio, vincitore dell'ultima battaglia contro satana e i suoi sostenitori. Troviamo la descrizione della battaglia e della sua vittoria nel capitolo 12° del libro dell'Apocalisse: Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Per i cristiani, quindi, l'Arcangelo S. Michele è considerato come il più potente difensore del popolo di Dio. Nell'iconografia, sia orientale sia occidentale, S. Michele viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano, sotto i suoi piedi il dragone - mostro, satana, sconfitto nella battaglia. I credenti da secoli si affidano alla sua protezione qui sulla terra, ma anche particolarmente nel momento del giudizio.

Le “eroiche” gesta della Banda Toso: gli slavo-comunisti titini in Valnerina




 Memoria Storica, la rivista del Centro Studi Storici Terni, diretta dal professor Vincenzo Pirro, ha pubblicato, a firma dello stesso direttore, un’ampia e documentata analisi dei fatti riguardanti l’uccisione di Alverino Urbani da parte di bande partigiane il 29 dicembre 1943. Il caso di Alverino Urbani è il primo ad aprire una serie di uccisioni, di uomini, che non avevano altra colpa  che quella di essere o essere stati fascisti, è il caso del sindacalista Maceo Carloni, oppure quello del seniore Carlo Orsini e del vice capo squadra  Francesco Conti della Guardia Nazionale Repubblicana, caduti  il 23 gennaio 1944 sulla piazza di Polino, non prima di essere depredati del denaro e dei valori giacenti presso le rispettive abitazioni. “A sessant’anni dalla fine della guerra ci sono ancora morti- spiega il professor Pirro- che aspettano di riposare in pace, perché oltre la vita è stato tolto loro anche l’onore. Si tratta di uomini e donne uccisi barbaramente da bande di partigiani o sedicenti tali, per vendetta, per rapina, per rappresaglia, con o senza un disegno politico…La storiografia ufficiale –continua Pirro- ha fatto sua la versione dei vincitori, senza preoccuparsi di accertare la verità dei fatti; e le istituzioni, che lungamente si sono fondate sulla vulgata resistenziale, hanno celebrato i carnefici come eroi”. Alverino Urbani apparteneva ad una famiglia di Scheggino, suo fratello Carlo fu anche podestà del piccolo comune, quando venne ucciso aveva quarantacinque anni, lasciò la moglie e due figli ancora bambini. Lo studio di Pirro, riccamente documentato da note bibliografiche, dimostra come l’Urbani non avesse alcun collegamento con i fatti accaduti un mese prima della sua morte il 30 novembre 1943. Quel giorno tre colonne tedesche, circa 360 uomini, sorpresero la banda di Toso, Svetor Lakotic. Un gruppo di slavi, per lo più montenegrini, fuggiti dal carcere di Spoleto, costituitesi in formazione autonoma, circa sessanta uomini, più alcuni italiani, come scrive Pilevic su Panorama percepivano sé stessi come una “formazione dell’Esercito Popolare di Liberazione della Yugoslavia”. Romano Battaglia, che ebbe l’occasione di frequentarli a Cascia, in “Un uomo, un partigiano”, nota che gli slavi, nel loro estremismo, erano privi di ogni rispetto per la vita propria e l’altrui, capaci di uccidere in ogni occasione a sangue freddo senza la dubbiosa consapevolezza che è dell’uomo. Lo scontro di Mucciafora fu duro, perché il gruppo Toso fu accerchiato e solo in parte riuscì a rompere il cerchio ed a sottrarsi dall’annientamento. Sui sentimenti anti italiani e sulla  mancanza di scrupoli di Toso vi sono numerose prove, per citarne una l’assassinio dei due partigiani italiani Giovanni Terrinelli e Francesco Russo, anch’ essi evasi dalla Rocca di Spoleto, unitosi alla banda Toso, erano poi venuti in contrasto per via dei suoi sistemi eccessivamente crudeli e autoritari, formarono un’altra banda per loro conto. I giudici del Tribunale di Spoleto, per far scattare l’amnistia Togliattii, fecero rientrare arbitrariamente l’uccisione di Terrini e Russo nella fattispecie dei reati “compiuti in occasione della lotta partigiana contro i nazi-fascisti e per ragioni di ferrea disciplina delle bande operanti contro il nemico invasore”. Alla luce della verità storica, dovrebbero riflettere gli amministratori del comune di Spoleto che nel 1972 concessero  la cittadinanza onoraria all’ ”eroico” Svetozar Lakovic. Nella zona, all’incrocio tra le province di Terni, Perugia  e Macerata opera anche la formazione partigiana Spartaco Lavagnini al comando di un Albanese di nome Pietro. Chi sia stato materialmente ad uccidere Alverino Urbani, gli slavi di Toso, od elementi dello Spartaco Lavagnini, non risulta chiaro, l’autore dello studio propone alcune ipotesi, ma quello che ci sembra importante da rilevare è che, dalla ricostruzione degli eventi, Alverino Urbani risulta chiaramente estraneo allo scontro di Mucciafora., non fu lui a segnalare la presenza degli Slavi di Toso, tesi accreditata da numerose falsificazioni storiche, sistematicamente svelate dalla ricerca del professor Pirro. 

 

Canzone partigiana e inno della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci, operante in Valnerina tra il 1943 e il 1944.

 La musica è tratta da "Po šumama i gorama", un canto partigiano jugoslavo.


Su fratelli e su compagni
su villaggi su città
siamo noi i partigiani
per la vostra libertà.

Operai e contadini
tutti uniti lotterem
all'appello di Stalin
siamo i primi partigian.

Operai e contadini
distruggete l'invasor
i fascisti burattini
e il tedesco distruttor.

Italiani alla riscossa
giunta è l'ora di pugnar
comunisti bandiera rossa
già si vede sventolar.

 


Esodo
di
Raoul Lovisoni

Sentinelle d'Italia riprendete il vostro posto!

Suona la tromba, ondeggiano
Le insegne gialle e nere
Fuoco, per Dio, sui barbari,
Sulle vendute schiere.
Già ferve la battaglia,
Al Dio dei forti osanna:
Le baionette in canna!



                                                    "Suona la tromba"

Terni: Quali sono i reali dati dell’inquinamento dell’aria della città?

Terni: panorama

Il respiro è il primo segnale della vita che nasce, l’idea di una città Vivibile non può che iniziare da un’analisi della qualità dell’aria che suoi cittadini respirano, solo così la vita può svolgere il suo percorso naturale. Occorre quindi chiedersi quale sia il reale livello di vivibilità della nostra città rispetto all’aria che tutti respiriamo. Quali sono allora i veri reali dati dell’inquinamento dell’aria della città di Terni? I dati della qualità dell’aria vengono rilevati dalla Provincia di Terni, attraverso un sistema di rilevamento di centraline, fisso, o mobile, diffuso nella città. Le testate di misura di queste centraline sono di fabbricazione americana, modello Teom serie 1400 A, realizzate dalla Ruprecht e Pataschinich c.o. inc. USA, distribuite in Italia dalla Sartec Saras di Milano. Forniscono dati attraverso una rilevazione in continuo, sarebbe a dire che le centraline inviano i dati attraverso un sistema elettronico, in maniera continuata, al laboratorio di analisi centrale che elabora i dati. Ora sembrerebbe, che questo sistema non abbia il certificato di Equivalenza Europea, nè da parte del C.N.R , ne da parte dell’ Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro, nè da altro istituto equivalente europeo. Sarebbe a dire che i dati rilevati, seppur utili ad un’attività gestionale interna, non hanno alcun valore legale, per semplificare possiamo ricorrere all’esempio dei giocattoli cinesi, che non hanno il certificato di conformità europea. Le apparecchiature che hanno ottenuto la Certificazione Europea, sono tutte di tipo discontinuo, hanno quindi bisogno di un tecnico che si rechi sul luogo dove sono poste, ed elabori sul momento quelli che sono i dati che l’apparecchiatura fornisce. Inoltre la legislazione europea Direttiva 96/62 CE, recepita dal D.M 60/02, pur fissando in modo preciso e assoluto i valori di soglia degli inquinanti, sia per la media giornaliera (che non deve superare più di 35 volte in un anno i 50,0 microgrammi al metro cubo), sia la media annuale ( che deve essere inferiore o uguale a 40 microgrammi al metro cubo), stabilisce un margine di errore di più o meno 25%. La rilevazione dei dati in continuo quindi ha una forbice di errore molto alta, le apparecchiatura invece discontinue non hanno margine di errore. Se poi aggiungiamo l’osservazione, che vengono misurate soltanto le particelle micrometriche PM 10, e non quelle di inferiori come le 2,5, e che già la ricerca ha individuato nuovi inquinanti di diametro molto inferiore, i dati su cui basiamo il livello della nostra qualità dell’aria sono del tutto illusori. Nessuno sa bene di fatto quali siano i valori degli inquinanti presenti nell’aria che respiriamo, ne ci aiutano a capire in questo, senso, anche se la sperimentazione e la ricerca sono sempre importanti, i palloni sonda, aereostatici, poiché vale lo stesso discorso che per le misurazioni continue effettuate dalla provincia di Terni. Saremmo felici che qualcuno smentisse le nostre osservazioni. Per intanto c’impegniamo a far si che le politiche amministrative, della Terni Vivibile, in cui vogliamo che crescano i nostri figli e i nostri nipoti, siano sempre più attente alla qualità dell’aria che respiriamo. Poiché gli uomini non valgono per quanto sanno possedere, quanto per quello che sanno lasciare. Oggi che anche l'ARPA conferma i dubbi sollevati. La cosa veramente grave è che la stragrande maggioranza dei sistemi di monitoraggio dell'aria di tutte le province italiane sono stati realizzati con gli stessii macchinari, utilizzati dalla Provincia di Terni, quindi potremmo dire che tutta la rete di monitoraggio dell'aria sul territorio nazionale serviva poco o niente. Ma sicuramente realizzarla ha avuto costi elevatissimi.